Primo Giovedì di Santa Rita, pregare è connettersi con se stessi e con Dio

Nel primo dei nostri 15 Giovedì di Santa Rita, quest’anno dedicati al tema della preghiera, riflettiamo sul bisogno che l’uomo ne ha, a partire dal suo cuore inquieto. Lo facciamo con Suor Maria Rosa Bernardinis,Madre Priora del nostro monastero, e Padre Pasquale Cormio, Rettore del Collegio ‘Santa Monica’ di Roma.

“Il mondo di oggi ci offre tante possibilità, pensiamo ad esempio l’invenzione geniale della tecnologia – esordisce la Madre – Che cosa stupenda! Basta mettere la mano in tasca e, prendendo lo smartphone, possiamo scattare foto, filmare, guardare le ultime notizie, vedere un film, mandare messaggi a tutta la famiglia. Possiamo controllare casa, accendere il forno a distanza, mettere l’allarme, metterci in viaggio per vie sconosciute. Per non parlare della simpaticissima Alexa, “coinquilina” così efficiente nell’eseguire i nostri comandi”.

Eppure, sottolinea la claustrale “non esiste strumento tecnologico che possa metterci in contatto con noi stessi, con la verità del nostro cuore. Questa chiave appartiene solo a noi e questo viaggio possiamo percorrerlo solo noi. Non c’è scuola guida che ci possa insegnare. È solo la nostra esperienza e la nostra personalissima ricerca che ci mette in contatto con la nostra verità. Ogni conoscenza va vagliata dentro di noi e solo nella sincera risonanza interiore possiamo comprendere la verità. Possiamo leggere tanti libri, sapere tante cose, ma non avere un contatto sincero
con noi stessi”.

Nel cuore dell’uomo vi è un vuoto che non può essere colmato se non da Dio

Nel Vangelo di Luca la preghiera precede le scelte decisive di Gesù: egli si intrattiene in un colloquio intimo e fiducioso con il Padre per tutta la notte e al nuovo giorno mette in atto le decisioni prese. Vedendo tutto ciò, anche i discepoli sono afferrati dal desiderio di sperimentare questa vicinanza con Dio e chiedono al Maestro:

“Signore, insegnaci a pregare!”

(Lc 11,1)

Spiega Padre Cormio: “La richiesta svela una prima verità su noi stessi: non sappiamo come pregare. Non si tratta solo di recitare delle formule, ma di imparare, come Gesù, a dialogare con il Padre, per riconoscere la sua volontà buona per ciascuno di noi. La richiesta dei discepoli dimostra un’altra condizione umana: sentiamo un qualche bisogno di entrare in un rapporto di amicizia con Dio. La preghiera è la prova che non riusciamo a bastare a noi stessi: per quanto siano grandi siano le capacità intellettuali, per quanto abbondanti siano i beni materiali, per quanto sia soddisfacente il livello di benessere raggiunto, vi è nel cuore dell’uomo uno spazio o un vuoto che non può essere colmato se non da Dio. La preghiera ci aiuta ad interrogarci sul senso della nostra esistenza, che rimane oscuro e sconfortante, se non entra in rapporto con Dio e con la sua volontà per ogni uomo”.

Pregare non è un obbligo, ma un bisogno

“Solo chi è consapevole di questo “spazio vuoto” può domandare al Signore la grazia di essere ricolmo della sua presenza – commenta il Padre – Per Agostino l’uomo è una creatura capace di Dio: la “capacità” non è legata ad una semplice conoscenza di Dio, ma all’esperienza di Dio, che dona stabilità, senso, pienezza, gioia. L’uomo è come un recipiente che deve contenere Dio: ma per raggiungere questo scopo, prima deve svuotarsi di sé, delle sue paure, delle passioni che lo affliggono, dell’amore egoistico”

«Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, perché si presenti adatto ad accogliere Dio»


(Sant’Agostino, Commento alla Prima Lettera di san Giovanni 4, 6)

Conclude il Padre: “Abbiamo bisogno di pregare, non per soddisfare un obbligo che ci è stato trasmesso ai tempi del catechismo; è un bisogno per la qualità della nostra vita, alla pari del bisogno dell’aria che ci tiene in vita”.

L’esempio di Santa Rita

“Quanto sono importanti le nostre delusioni, le insoddisfazioni, i nostri inevitabili fallimenti – interviene la Madre – Questo vuoto che fa capolino in molti modi, che nessun rapporto può colmare, nessun amore umano può riempire è la porta che ci apre all’infinito”.

Secondo la claustrale, imparare a pregare significa anche imitare Santa Rita quando saliva allo scoglio di Roccaporena con il cuore a pezzi, “senza fuggire dal dolore, senza cercare di narcotizzarlo, di soffocarlo come facciamo noi cercando ogni genere di compensazioni, lei ci entrava dentro e si apriva all’infinito amore di Dio alimentando la fiducia nella sua onnipotente provvidenza. In ogni dolore Dio era il suo rifugio, la sua salvezza, la sua sola speranza”.

GUARDA QUI LA MESSA DEL 1° GIOVEDì DI SANTA RITA

Iscriviti alla newsletter

Inserisci la tua mail per restare sempre aggiornato su tutte le novità e le iniziative del Monastero.