Siamo ormai a metà del nostro percorso spirituale dei 15 Giovedì di Santa Rita, dedicato quest’anno al tema della preghiera. In questo ottavo appuntamento, che nella Settimana Santa cade di martedì, la nostra attenzione si sposta da noi all’altro, come avviene a un certo punto in ogni percorso di crescita.
L’incontro con Dio è un trascendere, un superare il mio “io” confinato in sé per dirigermi verso gli altri. Nella preghiera mi è dunque donata la possibilità di conoscere non solo me stesso, ma anche il prossimo.
“La preghiera, infatti, non può essere slegata da una vita di relazione: verso Dio non si va mai da soli, ma sempre come fratelli e sorelle che vivono nella Chiesa – commenta Padre Pasquale Cormio, Rettore del Collegio “Santa Monica” di Roma – Quando sono alla presenza di Dio imparo a vedere l’altra persona in modo nuovo, senza lasciarmi influenzare da pregiudizi o da impressioni emotive, ma riconoscendone la comune dignità di creatura amata dal Padre”.
Come proviamo concretamente di amare Dio, che non vediamo?
“Amando i fratelli che noi vediamo – così risponde il Padre – Quanto più mi apro a Dio, tanto più Dio mi spingerà ad incontrare il cuore dei miei fratelli, per cui l’amore che ricevo dall’alto, lo restituisco a Dio attraverso la mediazione del prossimo. L’amore fraterno è la certezza del nostro amore per Dio. L’altro diviene un’immagine attraverso la quale posso vedere Dio”.
Nella preghiera riconosco l’altro come fratello
“Proviamo dolore per loro, come per nostri fratelli. Lo vogliano o no, sono nostri fratelli. Cesseranno di essere nostri fratelli, allorché avranno cessato di dire: Padre nostro»
(Sant’Agostino, Commento al salmo 32, III, 29)
Da Agostino riceviamo questo insegnamento: se invochiamo Dio come Padre nostro, allora vuol dire che ci riconosciamo tutti fratelli, che non pregano Dio in modo proprio ed esclusivo, ma sempre inseriti in una dimensione di famiglia.
“Pertanto impariamo a chiedere a Dio ciò di cui l’altro ha bisogno – riflette il padre agostiniano – cerchiamo di immedesimarmi nella sua condizione, di capire cosa gli giova, cosa prova, per che cosa soffra. L’altro non ci è estraneo, ma è un fratello con cui condividiamo un tratto del cammino della nostra vita”.
Conclude quindi: “La preghiera dispone il cuore all’affetto, alla comprensione, alla benevolenza verso l’altro, a sentire che vi è un legame tra la mia vita e quella degli altri, vi è una connessione a livello di amore che da Dio procede verso il basso, così da raggiungere l’umanità”.
La fede consente di avere occhi nuovi
Secondo Padre Pasquale, è lo stesso atteggiamento che riscontriamo nei Vangeli, quando Cristo guarda l’uomo e la donna con occhi misericordiosi, e pur condannandone il peccato, offre una nuova occasione di riscatto. Il peccatore non deve restare per sempre vincolato al suo peccato, ma è una persona che ha bisogno di essere liberato dalla morte spirituale.
Così come, è lo stesso sguardo di Santa Rita, che invocando il perdono per chi aveva ucciso il marito, vede in quegli uomini non solo degli assassini, ma dei peccatori che hanno maggiormente bisogno della grazia divina. La forza della fede consente di avere occhi nuovi e la perseveranza nella preghiera libera dalla sete dell’odio e della vendetta.
Interviene a conclusione Suor Maria Rosa Bernardini, Madre Priora del nostro monastero: “Se ho la consapevolezza di essere figlia di Dio, se mi sento amata da Lui in un modo unico e infinito, saprò essere benevola con il mio prossimo, paziente, accogliente, misericordiosa. Non solo! Mi farò carico della debolezza dell’ altro; avrò misericordia del suo limite, della sua fragilità. Saprò rispettare il momento opportuno per aiutarlo a crescere nell’ amore, rispettando i suoi tempi e la sua libertà. Così il cuore si dilata e diventa capace di amare come ama Dio”.