In attesa della festa della Beata Maria Teresa Fasce

Al via un Sinodo speciale, con l’augurio della Priora

La Beata Fasce e l’Alveare in un fumetto

In Udienza col Papa: rendiamo concreta la speranza

Nei santi cerchiamo degli amici

La diretta dall’Urna di Santa Rita arriva su Instagram e YouTube

Fra Massimo Ubaldo Monacelli diventa diacono

I frutti della devozione

I giovani sono una risorsa da coltivare

La devozione, un ritorno all’Amore disinteressato

Il 12 ottobre è il giorno della memoria solenne della Beata Maria Teresa Fasce, che è stata Badessa del nostro Monastero per 27 anni, nella prima metà del 1900, lasciando un’impronta indelebile nella storia.

La nostra famiglia Agostiniana è pronta a festeggiarla dedicandole alcuni eventi che celebreranno il suo Spirito, le sue opere e la grande eredità che ci ha lasciato.

Ci sarà un appuntamento per i 100 anni della Rivista “Dalle Api alle Rose“, che la Madre Fasce ha creato nel 1923.
Poi, ispirato alla sua figura di donna che ha saputo coniugare la vita contemplativa con la lungimiranza di una moderna imprenditrice illuminata, verrà assegnato il Premio “Madre Maria Teresa Fasce 2023, come riconoscimento per gli imprenditori e le imprenditrici che si sono particolarmente distinti per il loro impegno a improntare le proprie scelte ai valori del Vangelo.

E, infine, presenteremo una novità editoriale, che vuole portare la voce di Santa Rita nelle vite di tutti, così com’era intento della Beata, e che speriamo arrivi dritta ai cuori!

Presto vi diremo di più su tutto!

Ricordando la “Madre”

Nata il 27 dicembre 1881, a Torriglia, nell’entroterra genovese, in una famiglia di estrazione borghese e fervente religiosità, a 19 anni Maria si innamora di Santa Rita: l’incontro con la santa di Cascia è come un colpo di fulmine, tanto da maturare il desiderio è di essere accolta nello stesso Monastero in cui era vissuta Rita.

Nonostante l’iniziale opposizione dei suoi familiari, lei sente che il Monastero di Santa Rita è il luogo in cui Gesù la voleva e, grazie alla sua tenacia il 22 giugno 1906, festa del Sacro Cuore, fa il suo ingresso in Monastero. Un anno dopo, il 25 dicembre 1907, emette la professione dei voti temporanei e nella primavera del 1912, a 30 anni, quella solenne.

Nel luglio del 1914 le è affidato l’incarico di Maestra delle Novizie. È perfetta in questo ruolo: predisposta, organizzata, sensibile, forte e dolce, ideale come guida spirituale. Nel 1917 è scelta come Madre Vicaria e, allo scadere del triennio, nel 1920 viene eletta Abbadessa, incarico che le verrà rinnovato con voto unanime per nove volte di seguito.

Donna di misericordia

Affidandosi alla Provvidenza, durante i 27 anni in cui è alla guida del Monastero, la Fasce compie un’opera magnifica, orientata all’accoglienza, all’ascolto, al portare conforto e carità. L’opera di misericordia più bella arriva nel 1938, quando accogliendo tra le monache una bambina, di cui la mamma vedova non poteva prendersi cura, dà inizio all’attuale Alveare di Santa Rita, che da 85 anni è un nido sicuro per tanti minori.

Il suo faro è Santa Rita e, infatti, a lei si deve la diffusione del culto in tutto il mondo, una missione iniziata dalla Rivista e proseguita poi dal sogno di costruire l’attuale Basilica di Cascia. Che vedrà la luce nel 1947, dopo quattro mesi dalla morte della Madre Fasce.

Esempio di santità

Tra il canto delle sue Apette (così sono ancora chiamate le bambine accolte nell’Alveare) e la preghiera delle sue monache, la Fasce lascia il mondo terreno nel gennaio del 1947. Insieme ad altri malesseri, il tumore che l’aveva colpita nel 1920 l’accompagna fino alla morte, ma per lei è un dono del Signore, tanto da chiamarlo “il mio tesoro“.

E’ beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 12 ottobre 1997, che nel suo discorso sottolinea: “Dal Chiostro del suo Monastero, questa fedele serva di Dio ha costruito una grande varietà di opere, animate dall’amore per Dio e per l’uomo. Possiate presentarvi di fronte a Dio con le mani piene di tanti gesti d’amore“.

Comunione, partecipazione, missione

Queste tre parole racchiudono il tema della XVI Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, che si è aperta ieri con la Messa presieduta dal Papa in piazza S. Pietro. Comunione, partecipazione e missione per una Chiesa sinodale, questo è l’obiettivo di questo Sinodo, che si chiuderà domenica 29 ottobre. Sarà un tempo prezioso di ascolto, dialogo, preghiera, condivisione e discernimento, per continuare il cammino verso la Chiesa del futuro.

Il compito del Sinodo: ricentrare il nostro sguardo su Dio

“Siamo qui per camminare insieme – ha detto, infatti, ieri mattina Papa Francesco – con lo sguardo di Gesù, che è uno sguardo benedicente e accogliente”.

Uno sguardo che dev’essere di tutti noi fedeli, per essere “una Chiesa che, fra le onde talvolta agitate del nostro tempo, non si perde d’animo, non cerca scappatoie ideologiche, non si barrica dietro convinzioni acquisite, non cede a soluzioni di comodo, non si lascia dettare l’agenda dal mondo”.

Inoltre – ha proseguito – lo sguardo di Gesù “ci invita a essere una Chiesa che non affronta le sfide e i problemi di oggi con uno spirito divisivo e conflittuale ma che, al contrario, volge gli occhi a Dio che è comunione e, con stupore e umiltà, lo benedice e lo adora, riconoscendolo suo unico Signore”.

Si fa la storia: voto anche alle donne

Tra gli oltre 400 partecipanti all’Assemblea, per la prima volta nella storia avranno diritto di voto e saranno parte attiva dei lavori anche 54 donne, religiose e laiche, provenienti da tutto il mondo e di tutte le età. Un’apertura straordinaria, voluta dal Santo Padre, per conferire maggiore collegialità al sinodo ed anche per valorizzare le donne, che – ha detto recentemente – sono “impressionanti per determinazione, coraggio, fedeltà, capacità di soffrire e di trasmettere gioia, onestà, umiltà, tenacia”.

Attenzione all’ambiente: l’esortazione apostolica Laudate Deum

Il Sinodo avrà riguardo anche per la tutela dell’ambiente, preferendo all’uso della carta quello di tablet. E non poteva essere diversamente iniziando nel giorno in cui il Papa ha reso nota la sua nuova Esortazione apostolica sulla crisi climatica. “«Lodate Dio» è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso”.

Si chiude così il documento nel quale il Pontefice torna, 8 anni dopo l’enciclica Laudato Sì, sulle tematiche ambientali, esortando tutti a fare di più, a sentire la responsabilità dei vari segni di sofferenza della Terra, partendo in primis dal mondo politico e decisionale che dovrebbe garantire i diritti di tutti e non solo dei più forti.

L’augurio della Priora per il Sinodo

“Quello che sta vivendo la Chiesa in questi giorni – commenta Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia – è un tempo di grazia che ci apre a guardare il mondo, la storia e le vicende liete o drammatiche con uno sguardo, come ci ricorda Papa Francesco, rivolto a Dio Padre tenendo al centro Gesù Cristo, che ancora oggi ci rivela il volto misericordioso del Padre. 

Uno sguardo carico di speranza che ravvivi, con la grazia dello Spirito Santo, la fede della Chiesa e attui una nuova Pentecoste. Preghiamo il Signore perché tutti i lavori tendano al bene comune nell’ascolto della Parola con un atteggiamento di umiltà e mitezza“.

“Il 24 settembre 1938 arrivò al monastero di Cascia Edda Petrucci di 7 anni, la prima “apetta” di Santa Rita, come la Madre Fasce chiamò le bambine orfane che formavano l’Alveare. La Beata accolse diverse orfanelle in quegli anni, affidandosi totalmente alla Provvidenza di Dio in tempi durissimi […]”

Così Mauro Papalini, nel numero di settembre-ottobre della rivista “Dalle Api alle Rose”, nello speciale dedicato al suo centenario, commenta la nascita dell’Alveare così come viene raccontata nell’episodio del fumetto dedicato alla Beata Maria Teresa Fasce, ideatrice del magazine, attraverso la voce narrante di Santa Rita.

Le Apette di Santa Rita

“Ci prenderemo cura di voi, insieme a Edda, sarete le Apette di Santa Rita”.

Queste le parole della Beata nella seconda scena del fumetto, sottolineando l’aspetto del prendersi cura e ribadendo il nome dato alle orfane che decide di accogliere, in virtù dell’amore e della carità, rompendo le regole della clausura.

Le trasformazioni nel tempo

“…oggi, dopo 85 anni, l’Alveare non accoglie più orfane, ma bambine provenienti da famiglie con difficoltà economiche e sociali, rivolgendosi a giovani di tutte le nazionalità”.

Così commenta, invece, la voce narrante di Santa Rita nell’ultima scena, mettendo in risalto i cambiamenti che l’Alveare ha subito nel corso degli anni, per rispondere ai bisogni mutati dei suoi beneficiari.

Dal 1974 ha adottato due percorsi distinti: quello residenziale, per le Apette, bambine e ragazze dai 6 ai 19 anni, assicurando un ambiente familiare e accogliente in cui crescere; quello semiresidenziale, chiamato Millefiori, per bambini e bambine del territorio tra i 6 e gli 11 anni, garantendo doposcuola con attività scolastiche e di tempo libero. Oggi, nella sua parte residenziale, sta per diventare una comunità educativa, pronta ad accogliere bambine dagli 11 ai 17 anni provenienti dai servizi, nei casi previsti dalla legge, e dalle famiglie con problemi socio-economici e di integrazione.

La parola d’ordine: accoglienza

Ciò che non è cambiato, in questi anni, è l’attenzione al minore e ai suoi bisogni, mantenendo fede all’idea di accoglienza che aveva la sua fondatrice, Madre Fasce.

Vuoi saperne di più?

Iniziamo oggi quello che vuole essere un appuntamento per riflettere sulle catechesi del Papa, dopo l’Udienza Generale del mercoledì.

Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia, ogni settimana commenta le parole del Santo Padre, per fissare il suo messaggio nel cuore e lì trasformarlo insieme in azione.

Per uno sguardo di umanità

L’Udienza di ieri, è stata incentrata sul recente viaggio apostolico di Papa Francesco a Marsiglia, per gli Incontri del Mediterraneo, l’evento che ha riunito un mosaico di popoli, culture e religioni, per costruire insieme una nuova speranza. “Il Mediterraneo – ha detto in Piazza S. Pietro il Papa – è culla di civiltà, e una culla è per la vita! Non è tollerabile che diventi una tomba, e nemmeno un luogo di conflitto. È l’esatto opposto, perché il Mediterraneo mette in comunicazione l’Africa, l’Asia e l’Europa; il nord e il sud, l’oriente e l’occidente; le persone e le culture, i popoli e le lingue, le filosofie e le religioni”.

Dalla sua sponda orientale – ha sottolineato – duemila anni fa, è partito il Vangelo di Gesù Cristo. Il suo annuncio non avviene per magia e non si realizza una volta per tutte. È il frutto di un cammino in cui ogni generazione è chiamata a percorrere un tratto, leggendo i segni dei tempi in cui vive”.

“Dall’evento di Marsiglia – ha analizzato il Santo Padre – è uscito uno sguardo sul Mediterraneo che definirei semplicemente umano, cioè capace di riferire ogni cosa al valore primario della persona umana e della sua inviolabile dignità. Poi nello stesso tempo è uscito uno sguardo di speranza. Questo è oggi molto sorprendente: quando ascolti i testimoni che hanno attraversato situazioni disumane o che le hanno condivise, e proprio da loro ricevi una ‘professione di speranza’. E anche è uno sguardo di fraternità”.

Ridiamo speranza alle nostre società

“Fratelli e sorelle – ha detto rivolgendosi ai noi fedeli – questa speranza, questa fraternità, non deve ‘volatilizzarsi’, no, al contrario deve organizzarsi, concretizzarsi in azioni a lungo, medio e breve termine. Perché le persone, in piena dignità, possano scegliere di emigrare o di non emigrare”.

Per operare questa trasformazione, però, lo stesso Pontefice ha osservato che “occorre ridare speranza alle nostre società europee, specialmente alle nuove generazioni. Infatti, come possiamo accogliere altri, se non abbiamo noi per primi un orizzonte aperto al futuro? Dei giovani poveri di speranza, chiusi nel privato, preoccupati di gestire la loro precarietà, come possono aprirsi all’incontro e alla condivisione? Le nostre società tante volte ammalate di individualismo, di consumismo e di vuote evasioni hanno bisogno di aprirsi, di ossigenare l’anima e lo spirito, e allora potranno leggere la crisi come opportunità e affrontarla in maniera positiva”.

La Priora: occorre diventare esempi di incontro

“Ha ragione il Santo Padre – esordisce la Priora – quando si parla di culla, si parla di vita. Come è possibile che tutte queste culture che si affacciano sul Mar Mediterraneo non possano ancora trovare soluzioni pacifiche, per attraversarlo senza pericoli di morte? Perché prevalgono più gli interessi di parte?”.

“Se ci sono però ancora persone che si incontrano per parlare di nuove possibilità, la speranza resta accesa, ed è quella, fosse pure piccola, che  apre a un futuro migliore. Il Signore sostenga i propositi che sono stati presi e rafforzi la volontà di bene di quanti operano per renderli esecutivi; renda sensibili i cuori dei governanti per promuovere politiche che favoriscano l’incontro tra le culture, le popolazioni, nello scambio. Solo in questo modo, con l’esempio, le nuove generazioni potranno superare l’individualismo e l’egoismo, che adombra le loro coscienze”.

Il nostro viaggio all’interno dell’ultimo numero di Dalle Api alle Rose, prosegue condividendo le riflessioni sulla devozione, tema della rivista di settembre-ottobre, di Suor Maria Lucia Solera nella rubrica “Tracce di Rita”.

Se abbiamo devozione, non siamo soli

L’agostiniana inizia il suo articolo invitandoci a farci diverse domande: “Perché ci rivolgiamo ai santi? Cosa cerchiamo, cosa speriamo da loro? Che ci ottengano quanto noi chiediamo; che ci siano intercessori nelle nostre necessità; che ci risolvano le situazioni di dolore che stiamo attraversando, col loro carico di angoscia. Tutto vero, tutto lecito. Ma, verrebbe da chiederci: solo questo?
Proviamo a scavare più a fondo: nei santi desideriamo una compagnia. Riconosciamo in loro degli amici in grado di comprenderci, di affiancarsi a noi per fare proprie le nostre richieste“.

Un legame che nasce e trae forza da Dio

“I santi: amici nostri, perché passati attraverso le stesse strettoie della vita in cui ci troviamo noi. Come hanno fatto, loro? Come sono riusciti a non soccombere, a non lasciarsi rubare la loro fiducia? Hanno tratto la loro forza dall’amicizia di Dio: è questo il loro segreto. Un’amicizia accolta anzitutto, custodita come un tesoro preziosissimo e impagabile, ricambiata nel concreto e irrorata di preghiera.

Anche di Rita possiamo dire che la sua forza è tutta nell’amicizia dell’umile Gesù. Alleanza sponsale, partita da lontano, dal cuore di Dio che, a lei come a ciascuno di noi ripete dolcemente: «Ti ho amata di amore eterno!» (Geremia 31, 3)”.

Rita, amica di Gesù e di tutti

“Nel «tesoro» dell’amicizia di Cristo, Rita, come la vedova del Vangelo (Marco 12, 42), getta tutta la sua vita, senza risparmio. Avrebbe potuto fermarsi alla richiesta di consolazione per sé, e invece Rita va oltre, spingendosi a una reciprocità che la coinvolge interamente: desidera farsi strumento di consolazione e intercessione per tutti.

Possiamo immaginare le lunghe veglie di Rita, a contatto col cuore di Gesù: un “bagno” interiore nei suoi sentimenti. Aver caro ciò che a Lui è caro, partecipare alla sua Passione di salvezza per tutti. E il cuore di Rita si dilata, si allarga a dismisura, per ospitare quanti si rivolgono a lei. Nasce così la santa che sentiamo vicina, prossima, anzi: proprio amica”.

Devozione è amicizia

“Rivolgiamoci a Santa Rita confidando al suo cuore magnanimo le nostre pene, ma anche nella fiducia di avere in lei un’amica fidatissima che ci accompagna lungo il sentiero dell’amicizia di Cristo“.

Santa Rita, Sorella nostra,
amica di Dio e degli uomini,
ottienici di crescere nell’amicizia
dolce e ricca di sapore
dell’umile Gesù.

Leggi tutta la Rivista di settembre-ottobre

La diretta dei 15 minuti con Santa Rita, che le monache tengono ogni mercoledì dalle 21:40 su Facebook, da domani (27 settembre) sarà visibile anche sul profilo Instagram e sul Canale YouTube del monastero.

In questo modo, anche le circa 60mila persone, che seguono le agostiniane tramite questi social, potranno unirsi alla preghiera davanti al corpo di Rita.

Un momento speciale per i devoti

La diretta, voluta fortemente dalle monache durante la pandemia, permette ai devoti d’Italia e del Mondo di essere vicini a Santa Rita. Di entrare nell’Urna in cui è custodito il suo corpo, all’interno della Basilica di Cascia: lì dove ognuno vorrebbe essere sempre per “parlare” con Rita!

Si tratta di un’appuntamento tra i più attesi dalle quasi 700mila persone che seguono la pagina Facebook, alle quali da domani si uniranno ancora altri devoti da Instagram e YouTube.

Coi devoti in collegamento, le monache avviano la diretta ogni mercoledì sera. Una meditazione silenziosa, che ogni settimana si dedica a una particolare intenzione, conclusa da una preghiera, solitamente recitata dalla Madre Priora, Suor Maria Rosa Bernardinis.

Quello di oggi è un pomeriggio di grande festa per la nostra Famiglia Agostiniana di Cascia, perché insieme celebreremo l’ordinazione a diacono del nostro confratello fra Massimo Ubaldo Monacelli!

Alle 18:00, unitevi a noi, grazie alla diretta streaming dalla Basilica di Santa Rita, alla Concelebrazione Eucaristica presieduta dall’Arcivescovo di Spoleto-Norcia, Monsignor Renato Boccardo.
Presente gran parte della Famiglia Agostiniana d’Italia, con il Priore Generale, Padre Alejandro Moral Antón, accompagnato da tutti i priori e gli economi. Le monache animeranno i canti!

Fra Massimo: quel sì liberatorio di 28 anni fa

Nato a Gubbio, storico borgo medievale dell’Umbria, fra Massimo, che per una vita ha svolto la professione di cuoco, entra nell’Ordine Agostiniano a 35 anni… ma per lui quell’ingresso è un ritorno a casa!

Fin da ragazzino, infatti, è cresciuto nella parrocchia di Sant’Agostino a Gubbio, tanto da considerarla come una seconda famiglia. Il legame non si interrompe mai, ma nel 1990 torna forte e vivo, quando accetta una proposta di lavoro proprio dagli agostiniani che lo vogliono a servizio del loro Convento, per gestire tutti i lavori necessari a mandare avanti la “casa”.

Tutto scorre liscio, finché un giorno, solo in Convento con un frate anziano, Massimo è “costretto” (dalla Provvidenza, capirà poi) a prendersi cura di lui, mansione che non gli competeva. Da quel primo giorno, per quattro anni lo ha accudito come un padre e attraverso questa persona ha capito la vita cristiana, l’amare il prossimo come se stessi, il soccorrere i deboli…

Questi sentimenti maturano, per arrivare al 1° aprile del 1994, anniversario della morte di sua madre. Quella sera uno dei frati è a cena a casa sua e gli domanda: “Perché non ti fai frate?”. Massimo, che non aveva mai avuto il coraggio prima di riconoscere con sé stesso la sua vocazione, che aveva radici già nell’infanzia, dice sì e inizia il suo cammino al servizio del Signore.

“Ho sentito una porta davanti a me aprirsi”, racconta.

Dai primi passi al Diaconato: la seconda chiamata

Il suo percorso inizia da Palermo, con il pre-noviziato e la ricchezza di un maestro prezioso. Poi, si susseguono vari spostamenti e vari testimoni importanti nella sua vita: il noviziato nelle Marche, 7 anni a Roma, Genova, Firenze, Tolentino, di nuovo Roma e Palermo e poi, infine, da 7 anni a Cascia, dov’è economo e sacrista della comunità.

Un giorno, a colloquio con l’Arcivescovo Boccardo, Fra Massimo raccoglie un secondo segno di Dio, quando il porporato gli propone il diaconato e dice sì, una seconda volta: “Perchè al Signore non si dice mai di no“.

Oggi, a poche ore dalla sua ordinazione diaconale, Fra Massimo è pervaso dall’incoscienza, quella tipica di un nuovo inizio, ma pronto ancor di più a mettersi al servizio della Chiesa, impegnandosi anche nell’evangelizzazione, nella carità. Fiducioso e certo che Dio lo guiderà!

Un nuovo cammino che inizia da un dono speciale

Siamo del Signore, per il Signore e con il Signore, questo è il mio obiettivo. Perseveranza e coerenza sono le preghiere che chiedo. Ho tante cose per cui ringraziare!”.
L’ultima, una settimana fa, Fra Massimo mi racconta di un grande dono di Dio che ha ricevuto: conoscere un amico, con una grande fede, tanto da stordirlo. Un ragazzo venuto a pregare Santa Rita per la mamma malata dalla Sicilia, verso il quale Fra Massimo si è sentito trasportare. Così gli si è avvicinato, tendendogli la mano.

Da qui è nata un’amicizia bellissima, inaspettata… un’amicizia che lo ha fortificato e confermato al suo nuovo ministero diaconale. “Siamo servi del Signore e, come dico sempre, la tonaca è una tuta da lavoro!“.

Segui in diretta la celebrazione e unisciti a noi

Nella sua rubrica “Ti porto Gesù”, all’interno dell’ultimo numero della rivista Dalle Api alle Rose, anche la Priora Madre Maria Rosa Bernardinis si interroga sulla devozione.

La devozione ci avvicina al mistero di Cristo

“La definizione che il vocabolario dà della parola devozione – scrive la Priora – è: adesione agli aspetti spirituali del culto e delle pratiche religiose in genere. Ma ce n’è una seconda, “fiducioso abbandono in Dio”, che mi soddisfa di più.
Il mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio, che si fa uomo, fino al punto di morire in croce per amore, per ricondurre l’umanità a Dio Padre, che da Lui si era allontanata e smarrita a causa del peccato originale, è vastissimo! È una Fonte inesauribile, una miniera d’oro dove si trovano sempre nuovi filoni auriferi. La devozione ci aiuta a sondare il mistero per amarlo di più“.

Un legame di amicizia, fiducia e affidamento

La vera devozione, secondo l’agostiniana, sfocia in un legame affettivo col Signore, fatto di amicizia, fiducia e affidamento. Ed è lo stesso sentimento che tanti provano per i santi, che però deve portare a Dio.
Il servo non è più grande del Maestro – dice Sr Maria Rosa – I santi ci indicano la strada per andare a Gesù, affinché si ravvivi in noi la fede, la speranza, la carità in Lui”.

E’ un dono personale e per tutta la Chiesa

“La devozione – continua la claustrale – è dono dello Spirito sia per la persona che lo riceve, per la sua spiritualità, sia per il bene della Chiesa.
Pensiamo a quante devozioni si rivolgono al Figlio di Dio. Quella al Sacro Cuore di Gesù nata in Francia con Santa Margherita Maria Alacoque nel 1673, che il Beato Pio IX estese a tutta la Chiesa, per richiamare la cristianità a quel Cuore umano – divino che ci ama immensamente.

O a quella più recente della Divina Misericordia: Gesù appare a Santa Faustina Kowalska per aiutare l’umanità a uscire da quel buio, causato dai regimi totalitari, che ha accecato il cuore di tante persone, ispirandole la Coroncina della Divina Misericordia. Poi, San Giovanni Paolo II istituì la Festa della Divina Misericordia, nella seconda domenica dopo la Pasqua. La Sua misericordia senza limiti, vuole la salvezza dei peccatori, per loro è morto.

Così la devozione al Santo Rosario, cara al popolo cristiano, è un compendio del Vangelo, “contemplato con gli occhi di Maria”.
Se abbiamo della devozione seguiamola e lasciamoci prendere dallo stupore di ciò che il Signore rivela ai suoi eletti”.

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Con il suo articolo su Dalle Api alle Rose di settembre-ottobre, Suor Giacomina Stuani, direttore editoriale della rivista, ci parla dei giovani, invitandoci a testimoniare loro la gioia dell’essere cristiani.

I giovani e la Chiesa

L’agostiniana, inizia facendo memoria del Sinodo indetto per i giovani nel 2018, ricordando ciò che un Vescovo ha affermato allora: “È questa la svolta: l’umano della Chiesa come via per entrare nell’umano dei giovani e poi riproporre la verità di Cristo come portatore di una significativa pienezza che vale non solo per i giovani di oggi, ma per quelli di ieri e quelli di sempre. In questo modo, il dialogo tra la Chiesa e i giovani è reciprocamente educativo, perché porta i ragazzi a venire fuori e gli adulti a essere più liberi.
Mobilità – intesa come qualcosa che ha il sapore della ricerca, del desiderio dei giovani di impegnarsi per cercare un senso alla propria esistenza – e ascolto sono i due binari da percorrere per creare un nuovo incontro tra la Chiesa e i giovani”.

Noi monache li ascoltiamo e accompagniamo

Spesso in Monastero arrivano gruppi di ragazzi e ragazze, in cammino. “Dall’ascolto dei giovani – sottolinea Sr Giacomina – emergono alcuni aspetti interessanti. I giovani non sono chiusi, al contrario manifestano il desiderio di essere raggiunti nei luoghi “virtuali” e “reali” dove sono ogni giorno e la Chiesa “in uscita” può farlo. La Chiesa ha di fronte giovani disponibili a essere protagonisti del loro tempo, a mettersi all’opera, che hanno il desiderio di dare il proprio contributo a partire da ciò che si sa fare e questa risorsa va coltivata”.

Dio è sentito come vicino – continua – individualmente e nelle emozioni, nel silenzio interiore, nei momenti forti di gioia o dolore. Noi, cerchiamo di farci compagne di viaggio e di rendere loro nostri compagni di viaggio, come faceva Gesù, di dialogare con i loro sogni“.

Cosa cercano? Una testimonianza autentica

Grazie a molti incontri coi giovani, l’agostiniana può ben dire di conoscere i loro cuori, in particolare, di cosa sono alla ricerca e cosa ognuno di noi può dare loro. “È nella quotidianità – scrive – che i giovani chiedono una testimonianza di autenticità, che dimostri che essere cristiani porta alla felicità, a una vita piena, nonostante le difficoltà e le sofferenze”.

Cercano una Chiesa presente, fatta di persone “in carne e ossa”, umili e a costo zero, che si spendono e ci mettono la faccia, persone che ascoltano, dialogano, accolgono, accompagnano e sostengono le loro scelte. Nella nostra testimonianza cercano il riferimento a Gesù, al Vangelo”.

Impariamo a dialogare coi giovani

“Non è certamente il Vangelo – dice Sr Giacomina – a essere diventato antiquato, Gesù è bellezza così antica ma sempre nuova, siamo noi che non sempre siamo capaci di dialogare con le nuove generazioni, di trasmettere la gioia della fede, dell’incontro con Cristo.

E qui ci viene in aiuto il Santo Padre Agostino: “Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Confessioni.1, 1, 1). È così… la quiete del nostro cuore si trova nel Cuore mite e umile di Gesù… E ancora: “Amiamo il Signore, Dio nostro; amiamo la sua Chiesa! Lui come padre, la Chiesa come madre. Amiamo lui come signore, la Chiesa come sua ancella. Difatti noi siamo i figli dell’ancella. … Ebbene, fratelli, tenetevi tutti stretti insieme a Dio come padre, e alla Chiesa come madre” (Esposizione sul Salmo 88, IIa, 14).

Per noi agostiniane è vitale questo respirare all’unisono con la Chiesa, l’amore per la Chiesa, essere Chiesa, sentirsi Chiesa, avere l’anima della Chiesa, servire la Chiesa, vivere di ciò che fa vivere la Chiesa. E cerchiamo di trasmetterlo, ai giovani e non, con speranza e coraggio, innamorate di Cristo e testimoni credibili del suo Vangelo”.

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Il nostro viaggio all’interno di Dalle Api alle Rose di settembre-ottobre, in cui approfondiamo i cambiamenti all’interno del mondo della devozione, continua attraverso un’intervista al professor Mario Polia, antropologo e docente universitario, che ne esplora il significato più intrinseco.

La devozione componente innata dell’essere umano

Secondo il professor Polia, la componente religiosa è innata nell’essere umano e si esprime attraverso la pratica della preghiera e del sacrificio spirituale.

“L’uomo ha bisogno di credere in un essere reale, intelligente, ma che sia fuori dal reale – dichiara –  Per le religioni monoteiste è un Essere Supremo, nel politeismo sono gli Dei. La parola “devozione” proviene dal latino ‘devoveo’ e significa ‘dedicarsi a qualcuno in forma di voto'”. Tuttavia, “la devozione va nutrita, contestualizzata e insegnata perché altrimenti il rapporto Uomo-Dio viene meno. Alla base di tutto c’è una componente insostituibile: l’Amore”.

L’uomo ha disimparato ad amare

L’antropologo osserva che nell’attuale contesto storico, l’uomo sembra aver perso la capacità di amare disinteressatamente, in quanto tutto ruota intorno a sé. Spesso gli basta usare chi serve e creare un Dio che gli somigli.

“Dio creò l’uomo a Sua immagine e somiglianza ma l’uomo crea un Dio che gli somigli – sottolinea – Non è sempre così ma se l’uomo non torna ad ascoltare Dio nel silenzio della preghiera e a imparare la cultura dell’Amare, rischia di essere devoto solo a sé stesso. Per natura si ha bisogno di trascendere ma spesso si scambia il rituale magico con la preghiera”.

I devoti credono e basta

Conclude il prof Polia: “La devozione esiste ancora oggi ma si basa sull’amore disinteressato che ben sa che i santi sono solo intermediari. I devoti credono e basta. Non chiedono nient’altro in cambio se non l’amore di coloro ai quali sono devoti. Sono devoti all’Amore solo per amore“.

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