Dalle Api alle Rose: Chiesa, rischi e opportunità del digitale

La Chiesa cattolica sta affrontando non solo le sfide della rivoluzione digitale, ma anche il cambiamento della società, “il modo in cui i valori della Chiesa sono percepiti”. Così Angelo Scelzo, giornalista esperto di comunicazione della Santa Sede, commenta nell’intervista pubblicata nel numero di settembre-ottobre della nostra rivista “Dalle Api alle Rose”, dedicata a come la devozione sia cambiata a causa del progresso tecnologico.

Il cambiamento dei valori

“L’entrare in contatto continuo con il popolo pone la Chiesa nella condizione di doversi aggiornare – commenta Scelzo – non solo in senso tecnico ma nella concezione dei valori, che, pur restando sempre unici, sono formulati diversamente a seconda delle epoche. Si arriva forse a intaccare il valore definito di ogni singolo insegnamento ma questo non significa che la Chiesa debba recedere dai propri insegnamenti; piuttosto li deve comunicare meglio a una società non più modellata sui valori della fede tradizionale”.

I rischi del digitale

Sul fronte digitale, secondo Scelzo, i media consentono alla Chiesa di raggiungere “un pubblico più vasto e di veicolare il proprio messaggio in zone dove prima non era possibile. Però cambia  il modo in cui esso arriva”. Il digitale comporta infatti i rischi della superficialità e della frammentazione dei contenuti.

L’importanza di fare comunità

Inoltre, i media digitali possono rendere difficile la creazione di una comunità reale tra i fedeli. Invece, la Chiesa “deve sempre puntare all’obiettivo dell’incontro diretto, della possibilità di entrare in contatto. Perché l’iperconnessione non porta a maggiore conoscenza, ma all’incomunicabilità”.

“Durante la pandemia, abbiamo assistito a tentativi anche molto generosi dei parroci di riunire la collettività con strumenti digitali ma proprio mentre tutto questo avveniva si è sentita ancora di più l’assenza della comunità, dell’eucarestia, dell’incontro – riflette Scelzo – Queste forme di comunicazione allargano il respiro della Chiesa ma dobbiamo riuscire a valutare la differenza tra una comunicazione che ripara a una assenza da quella attiva, finalizzata alla creazione della comunità”.

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