Beata Fasce: l’imprenditrice che non lavorava per sè
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Il perdono apre il cuore alla speranza e alla gioia: 4° Giovedì di Santa Rita
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Sperare vuol dire credere all’avventura dell’amore
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Gli anziani sono cuori saggi capaci di attrarre alla fede
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L’Indulgenza plenaria dona più forza al nostro cammino di fede: 3° Giovedì di Santa Rita
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Partecipa al Giubileo della Pia Unione Santa Rita. Il 7 e 8 giugno a Roma
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I consigli del Beato Simone Fidati per una vita serena: “Sta’ bene e prega”
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Il Monastero Santa Rita da Cascia ha una nuova Vicaria: eletta oggi Suor Maria Giacomina Stuani
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Voglio salvare il mio cuore arido. Come si prega?
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In pellegrinaggio verso Cristo e nel profondo di noi stessi: 2° Giovedì di Santa Rita
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Lo voglio benché costi, lo voglio perché costa, lo voglio a qualunque costo
Beata Madre Maria Teresa Fasce
Parte da questa citazione della Beata Fasce, storica Abbadessa del Monastero Santa Rita da Cascia, che nel 1900 ha scritto una pagina di storia, l’articolo di Mauro Papalini, nel numero di gennaio-febbraio della Rivista Dalle Api alle Rose.
Lo storico agostinianista, vuole dare voce alla Beata, presentandone di volta in volta un aspetto, capace di essere modello ed esempio per ciascuno di noi!
… operava solo per gli altri…
Ogni persona che arriva a Cascia si rende subito conto che tutto parla di Santa Rita, tante opere sono sorte nel suo nome; tutto ciò si deve all’attività instancabile della Beata Maria Teresa Fasce. Pur riferendosi al contesto spirituale, le sue parole che riportiamo sopra, richiamano la perseveranza, il coraggio e la tenacia con cui si è impegnata nell’edificazione della nuova Basilica, favorendo tutte le opere di contorno che hanno interessato l’intera città: alberghi, strutture di accoglienza per i pellegrini, strade migliori per raggiungere Cascia.
Si è trovata a gestire lavori, questioni economiche complicate e pastoie burocratiche nonché grosse somme di denaro. Ha dovuto trattare con persone non sempre oneste che hanno cercato di approfittarne; di questo ne soffriva moltissimo e in alcune sue lettere se ne usciva con espressioni del tipo: “Oh monsignore, quanto è brutto il mondo!” o “Questa mattina abbiamo mandato giù più lacrime che latte”. Allora si può dire che è stata un’imprenditrice? Forse sì, ma dobbiamo intenderci sul significato di questo termine. Gli imprenditori lavorano per proprio conto. Devono fare profitti per andare avanti, così possono dare lavoro ad altri e tutti ne traggono benefici (parliamo ovviamente degli imprenditori onesti).
Dio e Santa Rita erano i suoi “padroni”
Maria Teresa Fasce non era padrona di niente, avendo professato il voto di povertà, non lavorava per sé, ma solo per gli altri; poi aveva due ‘padroni’ molto esigenti: Dio e Santa Rita e questo lo rimarcava sempre. Tante volte nelle sue lettere, parlando delle varie fasi dei lavori affermava: “Lo vuole Santa Rita, Santa Rita ha scelto, etc.”. Il guadagno poi … le spese erano enormi e si era anche indebitata, ma i suoi ‘padroni’ sono stati generosi e tramite moltissimi devoti è riuscita a far fronte a tutte le spese, a costo di vivere in grande povertà, specialmente durante la guerra. Non ha guadagnato niente per sé, ma per i suoi ‘padroni’, e non soldi ma anime. Tutti i devoti di Santa Rita che lei aveva attirato erano anime per il Signore, il vero fine della devozione ai santi e alla Madonna; in questo Maria Teresa Fasce ne ha guadagnate moltissime!
Aveva un’etica imprenditoriale molto severa e che ha imposto a tutti quelli che hanno collaborato con lei: far lavorare prima i casciani, pagare sempre adeguatamente i lavoratori, usare i soldi che venivano dai devoti secondo le loro intenzioni, su questo era inflessibile.
Avendo lei amministrato le cose di Dio, di Santa Rita e degli altri, più che imprenditrice la potremmo definire una “direttrice delegata”, il Sergio Marchionne di Santa Rita! Ma contrariamente ai direttori delegati delle aziende che sono ben retribuiti per il loro lavoro, Maria Teresa Fasce ha ricevuto la sua retribuzione solo dopo aver lasciato questo mondo il 18 gennaio 1947, quando ha raggiunto i suoi ‘padroni’ in Paradiso.
Crediamo con buone ragioni che la Fasce oggi può e deve essere additata come modello per chiunque voglia fare impresa in modo corretto, basandosi su valori cristiani, avendo a cuore il bene degli altri più che il proprio guadagno, che ci deve essere naturalmente.
Procediamo il cammino dei 15 Giovedì di Santa Rita, che quest’anno si svolge nel cuore del Giubileo e ci condurrà alla Festa del 22 maggio.
Con le riflessioni delle monache del Monastero Santa Rita da Cascia e dell’agostiniano Padre Pasquale Cormio, ti invitiamo a partecipare alla nostra missione. Porta la Speranza insieme a Santa Rita!
4° tappa: il perdono è medicina per le ferite del corpo e dell’anima…
Sin dal primo Giubileo del 1300, l’Anno Santo è stato contrassegnato dal messaggio del perdono dei peccati e della misericordia di Dio.
Ecco allora che il Giubileo è la festa del perdono di Dio, di una grazia per tutti ed illimitata, che attraverso la preghiera e le opere di misericordia raggiunge e trasforma il cuore. Il perdono non è solo un atto spirituale, ma una medicina per le ferite del corpo e dell’anima.
È l’espressione più alta dell’amore: frutto della misericordia di Dio che desidera per noi la conversione e la vita. Fin dalle prime pagine della Bibbia cogliamo la premura che Dio ha di ristabilire la pace tra l’uomo e la donna, dopo che con il loro peccato di disobbedienza i progenitori hanno infranto l’armonia con il Creatore e con loro stessi.
Ed è in Gesù Cristo la massima manifestazione dell’amore di Dio per ciascuno di noi. È nella misura con cui ci sentiamo amati e perdonati, che rispondiamo vincendo il male con il bene e perdoniamo chi ci ha offeso.
… e ci offre una nuova possibilità di vita
Nell’atto
del perdonare dobbiamo, però, saper distinguere un doppio movimento: si riceve
il perdono di un Dio misericordioso, pietoso e grande nell’amore, per essere
capaci di perdonare noi stessi e i nostri fratelli e sorelle. Nel Padre
nostro chiediamo al Signore di cancellare i nostri debiti, così come
noi siamo disposti a rimetterli ai nostri debitori, perché il perdono che
imploriamo è strettamente connesso al perdono che intendiamo concedere al
prossimo. Sant’Agostino ricordava ai suoi fedeli: “Noi prendiamo un impegno
solenne, facciamo un patto e un accordo con Dio. Dio tuo Signore ti dice:
Perdona tu e perdonerò anch’io” (serm. 56, 9.13).
Il perdono, così, è una nuova possibilità di vita; è un segno dell’amore divino che non ci abbandona nel male, ma ci dà una seconda possibilità di riscatto e poi una terza, e così via…; è un gesto che libera da tanti pesi e rimorsi che gravano sulla coscienza; è apertura al futuro e alla gioia; è un’opportunità che ci sprona ad agire secondo giustizia e compassione. Solo un cuore riconciliato con Dio ha la forza di condividere con gli altri i benefici ricevuti: accolgo il perdono, per vivere la riconciliazione con i miei fratelli e sorelle.
Perdonare è sempre difficile, ma non impossibile!
Rita, la santa dei casi impossibili, ci aiuta a riscoprire questa verità. Guardando il Crocifisso, ha trovato la forza di perdonare gli uccisori del marito Paolo e ha indicato ai figli la strada per non lasciarsi imbrigliare il cuore nel rancore e nella vendetta. Il perdono di Rita è il preludio di un’alba nuova per sé e per i suoi familiari. Il perdono consente sempre un cambiamento in meglio, non è una resa a chi sembra essere più forte.
Chi perdona manifesta una forza interiore straordinaria, perché sa vivere in modo diverso, senza rancore e vendetta, ma con la speranza che proviene dalla misericordia del Padre.
Chi perdona non può cambiare il passato, ma può vivere meglio ora e nel futuro
Affinché il Giubileo sia efficace, chiediamo al Signore la grazia di intraprendere un cammino di redenzione, se fossimo bloccati nel rancore o avvertissimo nel nostro cuore una resistenza al perdono.
Sant’Agostino ci ricorda che il perdono deve procedere dal profondo del cuore: “Perdonate nell’intimo vostro, ove penetra lo sguardo di Dio. Talora infatti l’uomo perdona con la bocca, ma conserva l’odio nel cuore. Rimettete veramente tutto ciò che avete ritenuto fino a questi giorni” (serm. 58, 6.7).
Tutti abbiamo qualcosa da farci perdonare o qualcuno cui perdonare qualcosa: azzerare questi debiti sarà il segno di una conversione in atto nella nostra vita.
Con Suor Maria Lucia Solera, Superiora del Monastero Sant’Agostino a Rossano (Cosenza), celebriamo i 125 anni della Canonizzazione di Santa Rita rileggendo la sua vita come donna di speranza. Lo facciamo tra le pagine della Rivista del Monastero, Dalle Api alle Rose!
Sant’Agostino parla della speranza con parole che sembrano
dipingere un ritratto di Rita: “Sperare significa credere all’avventura
dell’amore, aver fiducia negli uomini, compiere il salto nell’incerto e
affidarsi completamente a Dio”.
Avventura è ciò che
avviene mentre vivi la vita di tutti i giorni
Vediamo come ciascuna di queste affermazioni ha preso corpo
nella vicenda di Santa Rita. Avventura non è qualcosa di sensazionale, che sta fuori
dalla piccola gittata della tua quotidianità. È avventura ciò che avviene mentre
vivi la vita di tutti i giorni: ti si fa
incontro una persona, e tu la accogli; c’è da prendere una decisione grave,
e tu ti dai il tempo di maturarla seriamente; c’è qualcuno che chiede il tuo
tempo, il tuo aiuto, il tuo ascolto, e tu ti fai trovare.
Per il cristiano, così come per Rita, ogni giorno, situazione, contesto, anche quello così abitudinario che
sembra non avere molto da offrirti,è
avventura: cioè, occasione per
accogliere l’umile Gesù che ti viene incontro; occasione per esercitare la
carità di marca evangelica doc.
Santa Rita ha detto
anche tanti NO nella sua esperienza, che oggi ci sono d’esempio
Noi crediamo che Rita sia la donna di gesti di amore perché
generativi nel loro sì: al perdono; alla riconciliazione; alla pace. Questo è senz’altro
vero. Ma è altrettanto vero che Rita è stata anche capace di alcuni no
potentemente generativi.
NO alla fuga: sarebbe
stato comprensibile, da parte sua, dopo tutto quello che le era successo: il
marito ammazzato, un’intera parentela che fa pressione perché la legge della
vendetta si compia. Avrebbe potuto, e a ragione, desiderare lei un po’ di pace
e allontanarsi da quella cittadina sanguinaria. Rita non lo fa. Sceglie di rimanere.
NO alla rassegnazione:
nessuna cronaca dà conto di quel tempo così duro, in cui Rita resta completamente
sola. Ma sappiamo come Rita ne riemerge: maturando la disponibilità alla
consacrazione. Rita non si ripiega sul
proprio dolore. Crede fermamente che ci sia un’alternativa al lamento che
sa produrre solo altro lamento.
NO al clamore, che
poi è un sì: al nascondimento; alla normalità; al silenzio. Oggi si sbandiera tutto, finendo per
diventare gente che vive come in una vetrina. Rita segue un sentiero diverso:
quello del silenzio; della piccolezza che non fa proclami.
Preghiamo
Rita per aiutarci ad acquisire questa speranza
Santa Rita, sorella nostra, ottienici di apprezzare le nostre piccole storie e di considerarle quali esse sono: una grande avventura di amore, perché la nostra speranza si espanda e prenda vigore.
Su Dalle Api alle Rose di gennaio-febbraio, l’Anno Santo che si unisce ai 125 anni dalla Canonizzazione di Santa Rita viene celebrato con uno speciale, dal nome “Pellegrini di speranza”.
Di queste pagine, condividiamo quelle con il messaggio di speranza che Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia (prima della neo eletta Badessa Madre Maria Grazia Cossu) ha scritto pensando agli anziani.
La fede è un dono che può essere trasmesso con l’attrazione: ecco la vostra missione
Che cosa spera un credente, uomo o donna ormai “sazio di giorni” (Giobbe 42,17), di lasciare alle generazioni future? La fede è un dono di Dio, che va alimentato perché porti frutto, altrimenti si disperde e muore.
Può essere, però, trasmessa… non con l’imposizione, ma con l’attrazione; l’esperienza personale che ciascuno fa con il Signore la rende viva ed efficace. E chi ha più esperienza di un anziano o un’anziana: ecco allora la vostra e nostra missione, specialmente in questo Anno Santo.
Sull’esempio dei Patriarchi e Gesù
Leggiamo dalle prime pagine della Bibbia che i grandi patriarchi hanno trasmesso ai discendenti non solo i beni materiali, espressione della benevolenza divina, ma anche l’esperienza mistica che hanno vissuto con Dio, aggiungendo ciascuno un tassello a quella conoscenza.
Dio rivelandosi a Mosè sul Monte Sinai dice: “Dirai agli Israeliti, il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe mi ha mandato a voi” (Esodo 3,15). Gesù stesso ha scelto degli uomini che stessero con Lui perché dopo la sua morte, la sua risurrezione e l’ascensione, continuassero l’opera: far conoscere il Vangelo a tutti, sostenuti dalla forza del suo Spirito. Negli Atti degli Apostoli vediamo davvero l’attrazione che quest’annuncio ha esercitato su molte persone, fino al punto di morire per Cristo, pur di restargli fedeli.
Ma non solo uomini, anche donne. Pensiamo a quanta autorità esercitava la donna cristiana in quel tempo nell’ambito familiare! San Paolo nelle sue lettere presenta alcune di loro; noi abbiamo un esempio in Santa Monica, mamma di Sant’Agostino.
Sono certa anche oggi, possiamo attirare e attrarre le nuove generazioni alla fede, con la nostra testimonianza, facendo nostri i sentimenti e gli insegnamenti del Signore.
Per diventare punti di riferimento
Ricordo, anche con piacere, che per molti dei miei nipoti e pronipoti, gli insegnamenti dei nonni sono diventati dei punti di riferimento, di sensibilità umana e spirituale nelle loro scelte.
Un mio nipote, che allora aveva otto anni, alla domanda meravigliata del parroco, che l’aveva visto alla Messa della Veglia Pasquale e poi all’orario solito: “Perché non sei stato a dormire ancora, sarai stanco; c’è un’altra Messa più tardi”; ha risposto: “La nonna mi ha insegnato, che al Signore dobbiamo dare l’erba fresca, non il fieno”.
Io stessa, colgo tanto nell’esempio delle monache anziane del nostro monastero: serenità, pace, gratitudine, accettazione della fragilità crescente… frutti questi di un rapporto fedele con il Signore e di una preghiera silenziosa e continua per l’umanità.
Invito, allora, tutti gli anziani a dire con il Salmista: “Signore, insegnaci a contare i nostri giorni, e acquisteremo un cuore saggio” (Salmo 90,12).
Procediamo il cammino dei 15 Giovedì di Santa Rita, che quest’anno si svolge nel cuore del Giubileo e ci condurrà alla Festa del 22 maggio.
Con le riflessioni delle monache del Monastero Santa Rita da Cascia e dell’agostiniano Padre Pasquale Cormio, ti invitiamo a partecipare alla nostra missione. Porta la Speranza insieme a Santa Rita!
3° tappa: il dono dell’Indulgenza
Parliamo oggi di un dono inestimabile che la Chiesa offre al popolo di Dio e che possiamo ricevere in questo Anno Santo: l’Indulgenza plenaria.
Per comprenderne il significato, partiamo dalla Confessione che risana il nostro cuore ed elimina ogni peccato, consentendo la riconciliazione con noi stessi, con Dio e con i fratelli. Ogni peccato, anche veniale, lascia però «nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”», delle tracce negative, che necessitano di un’ulteriore purificazione sia nel tempo presente sia dopo la morte, nello stato del purgatorio: tali residui costituiscono la “pena temporale” del peccato. Se la confessione distrugge il peccato commesso, l’indulgenza giubilare agisce su tutti quei residui di male, cancella la pena temporale dovuta ai peccati.
La “pena temporale” non è un castigo che Dio riserva al peccatore, piuttosto è quella «impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri» (Papa Francesco), vale a dire cattive abitudini cattive, disordine degli affetti, debolezza della volontà, inclinazione a ricadere nel peccato, ma anche prepotenza, arroganza, egoismo, dipendenze…
L’Amore di Dio per ripulire il nostro cuore
Nella bolla dell’indizione del Giubileo, Papa Francesco afferma che “l’indulgenza permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. Non è un caso che nell’antichità il termine “misericordia” fosse interscambiabile con quello di “indulgenza”, proprio perché esso intende esprimere la pienezza del perdono di Dio”. Non possiamo mai dimenticare che al termine della vita saremo giudicati nell’amore dall’Amore di Dio che rimane giusto giudice. Alla sua luce non rimane nascosta la polvere, con l’indulgenza possiamo ripulire il cuore e ripartire nel cammino di santità al quale Lui ci chiama, come segno del suo amore.
Per noi e per i nostri defunti: accogliamo l’Indulgenza sull’esempio di Santa Rita
Santa Rita, partecipando al Giubileo del 1450, ha ottenuto l’indulgenza plenaria non solo per sé, ma anche per i suoi cari defunti, per liberarli dalle pene del purgatorio. Lei, infatti, portava nel cuore il timore che suo marito non avesse avuto modo di chiedere perdono, prima della morte, e che i suoi amati figli avessero sempre nel cuore il desiderio di vendetta.
Anche noi sull’esempio di Santa Rita accogliamo questo dono che la nostra Madre Chiesa vuole darci. Pensiamo, non solo a noi stessi, ma anche ai nostri defunti che hanno bisogno del nostro aiuto: possiamo donargli la gioia del Paradiso con la nostra preghiera.
Non basta attraversare la Porta Santa
L’Indulgenza non è un dono “automatico” che riceviamo. Bensì ci viene richiesto un impegno sincero e autentico di conversione che, attraverso questo segno del passaggio della Porta Santa, ci rimette in moto nel nostro cammino di fede e di rinascita. La Chiesa, dunque, con l’indulgenza ci offre un aiuto prezioso, sostenendo la debolezza del nostro percorso di fede segnato da ostacoli e guidandoci verso un’adesione all’amore non sempre facile né costante.
I passi da compiere, per ricevere l’Indulgenza plenaria sono:
• recarci ad almeno una delle quattro Basiliche Maggiori di Roma (San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Paolo fuori le Mura) o verso qualsiasi luogo giubilare, come la Basilica di Santa Rita a Cascia. Durante la visita il nostro cuore è chiamato a manifestare un sincero pentimento dei peccati; Confessarci, per poi partecipate alla Santa Messa e ricevere la Comunione, sono passi essenziali, insieme alla recita del Credo e del Padre nostro. Infine, la preghiera, secondo le intenzioni del Papa.
• fare opere di misericordia e di penitenza, per es. visitando i fratelli infermi, carcerati, anziani o disabili…
• intraprendere iniziative di carattere penitenziale: astenendoci, almeno durante un giorno, da futili distrazioni (ad esempio dai media e dai social network) e da consumi superflui; sostenendo opere di carattere religioso o sociale; dedicando del tempo ad attività di volontariato per la comunità.
Accogliamo con gioia questa opportunità e impegniamoci in un serio cammino di rinascita.
Sabato 7 e domenica 8 giugno la Pia Unione Primaria Santa Rita, gruppo che unisce da quasi 20 anni i devoti ritiani in Italia e anche nel mondo, si ritrova eccezionalmente a Roma, per uno speciale appuntamento dedicato al Giubileo della Speranza.
Ecco il programma
7 giugno
Ore 10.00 – Santa Messa, Cappella Santa Monica c/o Curia Agostiniana (Via Paolo VI 25)
Ore 15.00 – Raduno Castel Sant’Angelo. Pellegrinaggio presso la tomba di Santa Monica, per un momento di preghiera
Dalle ore 18.00 alle 20.00 – Preveglia in Piazza San Pietro
Dalle ore 20.00 alle 21:00 – Veglia di Pentecoste, presieduta da Papa Francesco
8 giungo
Ore 9.30 – Santa Messa presieduta da Papa Francesco a Piazza San Pietro
Al termine, ritrovo accanto all’Ufficio Postale in Piazza San Pietro per foto di gruppo e recita preghiera a Santa Rita
Come partecipare: iscrizioni entro il 6 aprile
Ogni gruppo si organizza per proprio conto, anche per il passaggio della Porta Santa: info su www.iubilaeum2025.va
I capogruppi dovranno inviare tramite la mail [email protected] l’elencodei partecipanti (nome e cognome) del gruppo, specificando “Partecipazione al Giubileo 7/8 Giugno Pia Unione Primaria Santa Rita (città di provenienza gruppo)”. Chiusura prenotazioni 6 aprile.
Vivi con animo sereno dove ti trovi, se oggi come oggi non hai la possibilità di vivere meglio in altro luogo. Il Signore di tutti sa che cosa ha programmato nei nostri confronti. Noi riteniamo importanti molte cose che per lui invece sono secondarie. E in genere egli ritiene importante ciò che per noi è secondario. È ottima cosa desiderare il meglio, anche se non possiamo mai realizzarlo. Sii forte d’animo e non voler giudicare i fatti altrui, pensa ai tuoi. Sta’ bene e prega… (Beato Simone Fidati da Cascia)
Con questa frase del Beato Simone Fidati, confratello agostiniano vissuto a Cascia alla fine del XIII secolo, celebriamo la sua memoria liturgica del 16 febbraio.
Fidiamoci del Signore
Questo suo pensiero ci invita a non lasciarci sopraffare dall’insoddisfazione o dal desiderio di un cambiamento immediato.
Sottolinea che Dio ha un disegno per ognuno di noi, spesso diverso dalle nostre aspettative, e che molte cose che riteniamo fondamentali potrebbero non esserlo agli occhi del Signore.
L’esortazione finale a essere forti, a non giudicare gli altri e a dedicarsi alla preghiera indica un cammino di crescita interiore basato sulla fiducia e sull’umiltà.
Un Beato a Cascia
Simone Fidati nacque a Cascia in una famiglia nobile. Fin da giovane si dedicò agli studi filosofici e storici, ma la sua vita prese una svolta decisiva dopo l’incontro con l’asceta Angelo Clareno. Questo evento lo spinse ad abbandonare gli studi e a entrare nell’Ordine di Sant’Agostino, presente a Cascia dal 1256, consacrando interamente la sua esistenza a Dio.
La sua vocazione fu segnata da un episodio straordinario: secondo i suoi biografi, un giorno Gesù gli apparve e gli porse un calice, invitandolo a bere. Dopo l’ordinazione sacerdotale, Simone si dedicò instancabilmente alla predicazione del Vangelo, percorrendo il centro Italia per diffondere la Parola di Dio.
Oltre a essere un fervente predicatore, fu anche un raffinato teologo e scrittore. La sua opera più importante, il De gestis Domini Salvatoris, è un imponente commento al Vangelo composto da quindici libri. Un altro contributo significativo fu l’Ordine della vita cristiana, pubblicato a Firenze nel 1333: il primo catechismo per adulti scritto in italiano, considerato un’opera fondamentale nella storia della letteratura italiana. Numerose sono anche le sue lettere, testimonianza della sua attività di guida spirituale.
La sua vita si concluse tragicamente durante l’epidemia di peste del 1348, il 2 febbraio. Dal 1361, le sue spoglie sono custodite a Cascia e dal 1954 sono venerate nella Basilica Inferiore, accanto al“Miracolo Eucaristico”, uno degli episodi più straordinari del suo ministero sacerdotale.
Il culto di Simone Fidati si diffuse spontaneamente ben prima della sua ufficiale approvazione, avvenuta nel 1833 per volontà di Papa Gregorio XVI. Ancora oggi, la sua figura resta un punto di riferimento nella tradizione agostiniana e nella spiritualità cristiana.
Dopo anni spesi al servizio in economato, affiancherà la neo Badessa Madre Maria Grazia Cossu nel governo della Comunità
È Suor Maria Giacomina
Stuani la nuova Vicaria delle agostiniane di Santa Rita da Cascia, nominata per
volere delle sue consorelle, impegnate nel Capitolo elettivo per l’intera
settimana, alla presenza del
Priore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino, Padre Alejandro Moral Anton.
Da sinistra: Suor Maria Natalina Todeschini, Vicaria uscente, Suor Maria Giacomina Stuani eletta nuova Vicaria, Madre Maria Grazia Cossu neo Badessa e Suor Maria Rosa Bernardinis Priora uscente
Classe 1960, arriva dall’Alto Montovano nel monastero ritiano, dove vive da 26 anni. Chiamata dal Signore,proprio partecipando a un corso vocazionale delle monache di Cascia e parlando della sua inquietudine con la monaca da cui oggi eredita il ruolo di Vicaria, ha le risposte e pronuncia il suo sì.
In questi ultimi otto anni è stata l’economa della Comunità, occupandosi anche dell’accoglienza vocazionale e di quella nei parlatori per devoti e pellegrini. Inoltre è direttrice editoriale della Rivista di Santa Rita “Dalle Api alle Rose”, il bimestrale che da oltre 100 anni unisce la famiglia di devoti ritiani in tutto il mondo, essendo oggi diffusa in 7 lingue (italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, polacco e portoghese) e spedita dalle agostiniane in 250mila copie.
I ringraziamenti delle monache per Suor Maria Rosa Bernardinis e Suor Maria Natalina Todeschini, Priora e Vicaria uscenti
Dal Capitolo delle monache, che prosegue per l’intera settimana al fine di definire il consiglio e tutti i ruoli, arrivano anche i ringraziamenti colmi di gratitudine per Suor Maria Rosa Bernardinis, Priora uscente per i suoi otto anni di ufficio continuativo, e Suor Maria Natalina Todeschini, Vicaria uscente che, in diversi mandati, da oltre 20 anni è punto di riferimento per il monastero.
Come si prega? E’ la prima domanda a cui cerca di rispondere il libro “Aiutami a pregare”, creato dalle monache di Santa Rita come strumento per riscoprire la preghiera, nella vita personale e comunitaria.
La richiesta dei discepoli a Gesù su come imparare a pregare, contenuta nel Vangelo di Luca, dimostra come noi tutti sentiamo un qualche bisogno di entrare in un rapporto di amicizia con Dio. Avvicinarsi alla preghiera fa scoprire che la vita, con Gesù o senza, non è la stessa cosa. Rimettendo Lui al centro delle nostre giornate, trasformiamo il nostro tempo in una storia di salvezza.
Per Sant’Agostino siamo dei recipienti capaci di contenere Dio: ma per raggiungere questo scopo, prima dobbiamo svuotarci di noi stessi, di paure, passioni, dell’amore egoistico. Gli ostacoli più grossi alla preghiera sono, dunque, dentro di noi: orgoglio, egoismo, presunzione, risentimenti, rancori, chiusura e durezza di cuore. Come possiamo liberarcene?
La storia di Stefania: “voglio salvare il mio cuore arido”
Ho 50 anni e sono cresciuta in un piccolo paese della Toscana, un luogo pieno di calore e tradizione. Oggi vivo a Roma, una città meravigliosa, dove a volte, però, è facile sentirsi persi. Sono cresciuta in una famiglia profondamente cattolica, dove la fede non era rappresentata solo da una serie di regole da seguire, ma era un vero e proprio modo di vivere. Da adolescente, pregavo molto. Oggi il mio cuore è arido. Il ritmo incessante del lavoro e le responsabilità quotidiane mi lasciano poco tempo per riflettere e pregare come ero solita fare. Le pressioni della carriera e le aspettative sociali mi fanno sentire sempre sotto esame, senza mai un momento di vera pausa. Inoltre, le delusioni personali hanno eroso lentamente la mia capacità di fidarmi di affidarmi. Non riesco più a pregare come avevo imparato a fare. Mi sento bloccata. È come se avessi perso il filo che mi legava a Dio e a Maria. Questa sensazione di vuoto e di distacco mi preoccupa profondamente. Come posso ritrovare quel filo prezioso? Come posso ricominciare a pregare con il cuore aperto e fiducioso, come facevo un tempo, senza perdermi più?
Partire dall’umiltà
La testimonianza di Stefania, svela il desiderio di moltissimi di imparare o rimparare a pregare. Prima di tutto dovremmo porci una domanda: con quale disposizione mi preparo alla preghiera? È fondamentale curare la virtù dell’umiltà. I santi sono nostri educatori su questo aspetto: la persona umile non va confusa con quella umiliata dalla violenza o dalla forza o dal dolore. È umile chi riconosce di non bastare a se stesso, di aver bisogno di Dio.
Spogliarci di noi stessi, attraverso un’invocazione quotidiana di umiltà, è il compito di chi vuol incontrare veramente Dio.
Desideriamo una grazia? Stiamo attenti a non essere superbi perché Dio resiste ai superbi ma fa grazia agli umili. Quanto grande doveva essere l’umiltà di Santa Rita che riuscì ad ottenere così grandi Grazie, tanto da essere denominata la santa degli impossibili! L’episodio della vite fiorita (tutt’ora visibile nel Monastero a Cascia), ne rappresenta forse l’esempio maggiore. Dopo essere entrata, in seguito a tre tentativi, in monastero, la Badessa, per provarne la sua umiltà, comanda a Rita di piantare e innaffiare un arido legno. La santa obbedisce senza indugi e il Signore la premia, facendo fiorire una vite rigogliosa. La fede è proprio questo: vivere senza aspettare di capire tutto, fiduciosi che, sotto la dura realtà delle cose, scorra una linfa ricca di senso.
Imparare a fare silenzio
Il silenzio è l’habitat della preghiera per ascoltare Dio e noi stessi, nei nostri bisogni più veri e profondi, e aprire il cuore all’adorazione. Non si tratta quindi di assenza di parole, di suoni, ma di assenza di distrazioni, di rumori che vengono da dentro di noi. Come si fa a stare in silenzio davanti al Signore quando siamo ansiosi, preoccupati o proviamo risentimento e rabbia? Non è facile, è vero; ma non è impossibile. Occorre un esercizio continuo, di autocontrollo, per lasciare fuori dalla porta del cuore queste emozioni che disturbano.
Se, nel silenzio, tace la lingua, è per aprire l’orecchio del cuore alla voce di Dio che parla in noi. Oggi i mezzi di comunicazione sono sempre più potenti e grazie a loro possiamo fare cose straordinarie. Essendo sempre connessi, però, rischiamo di non esserlo davvero, perché non siamo più abituati a fare silenzio.
Ascoltare la Parola di Dio
La preghiera è fatta più di ascolto che di parole dette a Dio. Lui da noi desidera soprattutto questo, attraverso un’assimilazione interiore della Sua voce. Purtroppo ci è sempre più difficile, in un tempo in cui siamo sovraesposti alle notizie, ai messaggi senza coinvolgimento, senza un riferimento al senso della realtà, della vita, del rapporto con un “tu”, con Dio, con l’altro. Quante persone, così, rifiutano Dio senza nemmeno averlo ascoltato, senza sapere che cosa ci ha detto e continua a dirci!
Diventa così importante avere tempo nella giornata per leggere anche un solo versetto della Scrittura e interpretarlo come una lettera che Dio ci invia, per orientare le nostre scelte.
L’ascolto della Parola non resta dunque un sentire superficiale, si apre invece a un’azione concreta verso Dio e il prossimo, diventando feconda.
Procediamo il cammino dei 15 Giovedì di Santa Rita, che quest’anno si svolge nel cuore del Giubileo e ci condurrà alla Festa del 22 maggio.
Con le riflessioni delle monache del Monastero Santa Rita da Cascia e dell’agostiniano Padre Pasquale Cormio, ti invitiamo a partecipare alla nostra missione. Porta la Speranza insieme a Santa Rita!
2° tappa: essere pellegrini: la vera meta è in noi
Il Giubileo ci esorta a metterci in cammino come pellegrini, pellegrini di speranza. Ma partiamo dal senso del pellegrinare. Nel Libro della Genesi, Dio rivolge ad Abramo questo comando: “Esci dalla tua terra e va dove io ti indicherò!”. L’esperienza di esodo del popolo di Israele è il prototipo per ogni fedele. Il pellegrinare di Abramo lo porta costantemente a toccare il suo limite, il suo peccato; allo stesso tempo lo sprona a non arrendersi, a guardare in alto, a fare esperienza della presenza costante di Dio, che lo accompagna sempre nella sua vita, nel suo cammino, nelle sue necessità.
Ecco, allora il senso del cammino nel tempo giubilare. E’ un movimento interiore, che ci spinge a centrare la nostra vita in Cristo. Nulla vale attraversare le vie dell’Italia e giungere a Roma o in qualche altro luogo santo, se non abbiamo intravisto in noi la meta da raggiungere: l’incontro con il Signore Gesù.
Richiede impegno, fatica, costanza; ma il desiderio è rafforzato dall’amore che rende lo sforzo gioioso e appagante.
Diventiamo portatori di speranza
In un’epoca di incertezza e sconvolgimenti mondiali, in cui è più facile disperare che alimentare un vivo desiderio di bene, il Giubileo ci esorta a metterci in cammino e a farlo come pellegrini di speranza. A intraprendere un viaggio spirituale verso una maggiore consapevolezza della misericordia divina e un impegno più profondo per diffondere l’amore e la compassione nel mondo.
Si tratta di essere promotori di una grande sfida: portare a tutti il Vangelo di Gesù Cristo, morto e risorto, come annuncio di speranza. Fissare lo sguardo sulla virtù della speranza, ci consente di guardare al futuro con animo fiducioso.
L’esempio di Santa Rita
Tutti sentiamo la necessità di ritrovare le ragioni della speranza, per affrontare le difficoltà che incontriamo. E grazie all’esperienza dei santi, testimoni e intercessori, ci sentiamo rinfrancati nello spirito e motivati.
Santa Rita è un grande esempio per la sua straordinaria quotidianità, che ascolta il grido di tutti noi, indirizzandoci a far sì cheil male non abbia l’ultima parola. Vincendolo, uniti a Cristo, con l’amore da Lui ricevuto.
Il biografo Agostino Cavallucci è con queste parole che descrive la preparazione al pellegrinaggio verso Roma di Santa Rita nel 1450: «Non si moveva per questo viaggio, se prima non sentiva, che tale fosse il volere del suo Signore Gesù Cristo, e in ogni azione, per ben piccola che fosse, prima si raccomandava al suo caro ed amoroso Signore». Rita vive sempre protesa a Cristo e come Cristo giunge alla Croce sempre e solo per amore.
In Cristo Rita ritrova la forza per non arrendersi, per non fermarsi, per confidare non semplicemente nella buona sorte – come spesso potrebbe capitarci di fare – ma nella consapevolezza che non delude né illude, una speranza che è fondata sulla fede ed è nutrita dalla carità.
Allora, come Abramo e come Rita, possiamo metterci in un cammino che tende verso la Croce, ma come àncora di salvezza.