Sesto Giovedì di Santa Rita, c’è una porta da attraversare per arrivare a Dio

Dalle Api alle Rose, guardando alla Pasqua tra redenzione e riparazione

La Priora per l’8 marzo: “Riscoprire e allenare una ‘intelligenza materna’, che chiama al coraggio, alla gioia e alla speranza della vita”

Quinto Giovedì di Santa Rita, la preghiera inizia dall’ascolto della Parola

70 anni di vita consacrata per Suor Consolata

Professione Solenne di Padre Gennaro Lione: “Vivo questo momento con forte sentimento di paternità”

Quarto Giovedì di Santa Rita, sappiamo stare nel silenzio?

“Suor Pierina è sempre stata originale”: una vita passata in Monastero, da Apetta a monaca

Terzo Giovedì di Santa Rita, nell’umiltà sentiamo l’amore di Dio

Pregare per riconoscere la presenza del Signore nel quotidiano

Nulla ti turba, nulla ti spaventa, (perché) Dio solo basta”.

Partiamo da questa riflessione di Santa Teresa D’Avila per continuare il nostro percorso spirituale verso la Festa di Santa Rita, attraverso i 15 Giovedì, un cammino quest’anno dedicato alla preghiera. Santa Teresa d’Avila paragona l’anima a un castello interiore formato da sette stanze: nella settima avviene l’unione con Dio, il tema del nostro sesto appuntamento. Egli diventa così “la fortezza inespugnabile”, come sottolinea Suor Maria Rosa Bernardinis, la Madre Priora del nostro Monastero

Secondo Padre Pasquale Cormio, Rettore del Collegio “Santa Monica” di Roma, “la preghiera è come una porta da attraversare, per avere accesso a Dio, per restare con Lui, per aderire a Lui”, attraverso la mediazione di Gesù Cristo.

L’unione con Dio è opera sua

Evidenzia la Madre: “Stiamo camminando insieme verso la festa di Santa Rita riflettendo e, spero, anche facendo esperienza di preghiera, la quale non è altro che dialogare con Dio. Se il predisporre l’animo a farlo dipende dalla nostra libertà, sotto l’azione dello Spirito Santo, partendo da una necessità, un desiderio, un atteggiamento di umiltà, dal silenzio e dall’ascolto, l’unione con Dio invece è sola opera Sua”.

Le fa eco Padre Cormio: “Spesso riteniamo che la preghiera sia un’iniziativa nostra: siamo noi a decidere quando rivolgerci a Dio e e a chiedergli di realizzare qualcosa che desideriamo per noi stessi. In realtà, quando ci poniamo alla presenza di Dio e perseveriamo in questa disposizione del cuore, rinnovando la nostra fiducia in Lui e rimettendo la nostra vita nelle sue mani, ci accorgiamo che la preghiera non è più un atto da compiere, un dovere da assolvere, ma è un dono prezioso, un invito che il Padre ci concede per essere in comunione con Lui e con il Figlio suo, Gesù Cristo”.

“Tutto si compie per mezzo del Figlio”

A questo punto, facendo riferimento alla preghiera come “porta da attraversare”, il Padre precisa: “Tutto parte dal Padre, tutto si compie per mezzo del Figlio, che unisce a sé la comunità degli uomini, per elevare la lode al Padre. Dal basso della nostra condizione umana, spesso affranta e provata da sofferenze, la preghiera è accolta da Gesù, l’unico e vero sacerdote. Egli, infatti, la presenta a Dio Padre, perché sia esaudita”.

Il cristiano non si limita a pregare Dio, solo con se stesso, ma in unione con Cristo, che prega con noi e in noi, per essere inseriti in quello scambio d’amore che coinvolge il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La preghiera è apertura del cuore dell’uomo al cuore di Dio, «per ricevere la gioia di vibrare all’unisono con il suo amore… è questa allora la preghiera delle preghiere: “Padre, dammi il tuo amore! Gesù concedimi di amare il Padre con il tuo stesso amore”» (card. Comastri).

La cupidigia per i beni terreni ci allontana da Dio

“Agostino ci ricorda con il racconto della sua vita che l’anima corre costantemente il pericolo di allontanarsi da Dio, non percorrendo una distanza spaziale, ma aderendo alla cupidigia per i beni terreni – sottolinea Padre Cormio – ; più sente l’attrazione per le realtà inferiori a se stessa, tanto più l’anima diviene stolta e misera”.

Purtroppo, la preghiera di unione con il Signore non va di moda nel nostro tempo storico.

Quale può essere la soluzione?

Secondo il Padre agostiniano, “per avvertire la presenza spirituale del Signore, la sua luce e consolazione tra le ansie e le prove della vita e nei momenti di solitudine, ci vuole una preghiera continua e perseverante che purifica la coscienza liberandola dal male, e alimenta il desiderio di stare con il Signore. L’unione con Dio sarà completa e stabile solo quando giungeremo nel regno dei cieli, dove ogni creatura redenta avrà un compito da assolvere, quello di lodare Dio. Alla presenza di Dio non avremo più bisogno di pregare, ma solo di godere della bellezza del volto di Dio, immersi nel suo amore”.

GUARDA QUI LA MESSA DEL 6° GIOVEDì DI SANTA RITA

“Mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo”

(Lettera ai Romani 5,10)

In un’epoca segnata dalle violenze atroci che si manifestano sempre più vicine, nelle strade e nelle famiglie, nell’editoriale di Dalle Api alle Rose di marzo-aprile, che sta arrivando nelle vostre case, riflettiamo sul profondo significato della Pasqua. Lo facciamo a partire dal commento di Sant’Agostino a questi versi della Bibbia. Il vescovo d’Ippona riflette su come attraverso il sacrificio di Cristo sperimentiamo l’amore di Dio, che si estende persino verso i nemici. Questo amore, così profondo e commovente da sacrificarsi per noi peccatori, ci insegna la vera natura dell’amore di Dio per l’umanità, proponendoci anche un nuovo concetto di Giustizia.

Riconquistiamo lo sguardo redentivo di Cristo

Suor Giacomina Stuani, Direttrice Editoriale della rivista e autrice dell’editoriale, ci esorta quindi, in questa Pasqua di Dolore, a riconquistare “lo sguardo di Cristo, capace di andare oltre la Passione e l’odio”.

Continua: “Se, infatti, solo nell’ottica della Risurrezione capiamo il disegno d’amore di Dio, che ama proprio la nostra debolezza, riempendola di valore e significato, allo stesso modo solo nei termini della riconciliazione, anche sociale, potremmo superare le tensioni che viviamo”.

In quest’ottica, attingendo all’esempio di Santa Rita, impegniamoci per far “crescere una cultura del perdono per liberarci dalla violenza, guarire ferite aperte e rancori, facendo fiorire rapporti sani con noi stessi e nelle comunità”. 

Il potere rigenerativo della giustizia

“Dove sta la giustizia nel perdono?”


Così si chiede a questo punto Suor Giacomina. La risposta è che forse la vera giustizia non consiste nella punizione, bensì nell’affermazione del valore umano al di là degli errori commessi, proprio come fa la giustizia divina, diventando così una giustizia chiamata “perdono”.

Per esplorare insieme questa idea, nelle pagine di Dalle Api alle Rose discuteremo della redenzione e della giustizia riparativa, “un approccio che mette al centro il potere rigenerativo della giustizia”.

E lo faremo, si legge nell’editoriale, anche attraverso la testimonianza toccante di Maria Agnese, figlia di Aldo Moro, ex Presidente del Consiglio dei Ministri sequestrato e assassinato dalle Brigate Rosse nel ‘78. Una donna che ha abbracciato il perdono nei confronti di coloro che hanno causato la morte di suo padre.

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Per la Giornata Internazionale della Donna, il pensiero di Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia, con un parallelo alle Donne di Rita, quelle che ogni anno sono protagoniste della festa del 22 maggio, modelli universali dei valori ritiani, attuali e preziosi.

Celebriamo le donne che sono culle di vita e ali di speranza

In questo 8 marzo, tra bilanci di morte e un clima di grande sfiducia, celebriamo le donne che sono culle di vita e ali di speranza.
Da donna e per l’umanità, oggi che si fa un gran parlare di intelligenza artificiale, invito tutti a riscoprire e allenare una ‘intelligenza materna’, più tipica ma non esclusiva delle donne. Quella che chiama ogni essere umano al coraggio, alla gioia e alla speranza della vita, per costruire una fiducia ritrovata, nel domani e nella vita stessa, di cui c’è estremo bisogno.

… e custodi del futuro

Lo sanno bene le donne che ogni giorno sono terreni fertili e custodi di vita e futuro.

Come Cristina Fazzi, che da medico nello Zambia cura i bambini che sono gli ultimi della società. Virginia Campanile, che ha perso suo figlio ma è mamma per tanti genitori e ragazzi in difficoltà. E Anna Jabbour, profuga siriana che per sua figlia ha attraversato la guerra divenendo testimone di pace.

Sono le donne che premieremo a maggio alla Festa di Santa Rita: tre donne diverse ma unite, come tante nel mondo, dalla scelta di essere strumenti di vita oggi, come Rita ieri.

Donne di Rita: un piccolo anticipo della Festa di Santa Rita

“Donne di Rita”, sono chiamate le donne scelte per il prestigioso Riconoscimento Internazionale Santa Rita. Dal 1988 premia donne che, come Rita da Cascia, sanno incarnare i valori su cui si fonda il nostro presente, che è il domani del mondo.

Ecco le tre donne che, il 20 maggio alle 10.00 nella Sala della Pace del Santuario di Santa Rita a Cascia condivideranno le loro testimonianze.

E, il 21 maggio alle 17.30 nella Basilica, riceveranno il Riconoscimento:

  • Cristina Fazzi, medico di Enna (Sicilia), che riceve il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024 per il rispetto, la giustizia e l’amore con cui nei suoi 24 anni di servizio, professionale e umano, nello Zambia, in Africa, ha protetto la vita e costruito il futuro di tante persone nelle aree di estrema povertà, con un’attenzione speciale ai bambini e ai giovani, in una società dove sono ultimi tra gli ultimi, spesso abusati e maltrattati: ha creato il primo centro di salute mentale del Paese per i minori e progetti formativi, per generare opportunità di cambiamento e realizzazione;
  • Virginia Campanile, che vive a Otranto (Lecce) e riceve il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024 perché dal dolore indescrivibile per la perdita del figlio Daniele e dalla libertà e pace acquisite grazie al perdono offerto a chi ne ha causato la morte in un incidente stradale, ha fatto nascere un ‘investimento d’amore’ che condivide con gli altri: ascoltando e aiutando tanti genitori toccati dal lutto a ritornare a vivere e impegnandosi coi giovani per tutelarli nella fragilità sociale e psicologica, accompagnandoli a riscoprire la bellezza della vita;
  • Anna Jabbour, che è nata ad Aleppo (Siria) ma oggi vive a Roma, che riceve il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024 per la testimonianza di pace, fratellanza e fede che incarna con la sua storia, da profuga di guerra a mamma di speranza e coraggio per sua figlia e allo stesso tempo per tutti coloro che incontra, non avendo mai perduto il forte desiderio di sognare e impegnarsi per un futuro di umanità e unione che possa cancellare ogni odio e sofferenza.

L’ascolto è un’arte davvero difficile e rara. Desideriamo più parlare che ascoltare, eppure per la nostra vita di fede è fondamentale e, solo se impariamo ad ascoltare, la nostra vita spirituale cresce, si fortifica, acquista sapienza. La bellezza della nostra umanità dipende molto da questa ‘virtù’”

Così esordisce Suor Maria Rosa Bernardinis, la nostra Madre Priora, nel commentare la quinta tappa del nostro percorso spirituale dei 15 Giovedì di Santa Rita, dedicato quest’anno al tema della preghiera

La parola “ascolto”, nella sua radice greca, richiama un altro vocabolo: “obbedienza”, che tradotto letteralmente significa “dare ascolto”, nel senso di eseguire quello che si è ascoltato. La preghiera è dunque fatta più di ascolto che di parole dette a Dio. Lui da noi desidera soprattutto questo. Anzi, desidera di più, ossia che noi non solo ascoltiamo la Parola di Dio, ma la mettiamo in pratica, come ci esorta Padre Pasquale Cormio, Rettore del Collegio “Santa Monica” di Roma.

Il Vangelo è la “lettera” di Dio per noi

Continua il padre agostiniano: “L’ascolto della Parola di Dio non riguarda un sentire superficiale e distratto, come un suono che percuote le orecchie e lascia indifferenti. Il vero ascolto richiede un’assimilazione interiore della voce divina. Ci rendiamo conto di come il nostro tempo sia incapace di nutrire un ascolto profondo: si sentono parole, notizie, messaggi senza un coinvolgimento, senza un riferimento al senso della realtà, della vita, del rapporto con un “tu”, con Dio, con l’altro”

Quante persone rifiutano Dio senza nemmeno averlo ascoltato, senza sapere che cosa ci ha detto e continua a dirci! Eppure il Verbo, la Parola, si è fatta carne, il nostro Dio è un Dio che parla, non è come gli idoli che hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono.

Padre Cormio ci ricorda come “per Agostino Dio pronuncia parole di amore, che riaccendono nel cuore dell’uomo il desiderio della patria celeste. Il nostro Dio è il Dio vivente, parla e comunica: la sua voce è la Parola che leggiamo, ascoltiamo, meditiamo nella sacra Scrittura. Questa Parola non resta fissata solo su una pagina bianca: per la fede, la Parola di Dio si è fatta carne in Gesù Cristo, colui che ci comunica il volere del Padre. Il Vangelo è per noi la rivelazione della volontà di Dio per ciascun uomo”.

Pregare, dunque, è predisporre il cuore all’ascolto di Dio Padre, che parla e si comunica attraverso suo Figlio. Diventa così importante avere tempo nella giornata per leggere anche un solo versetto della Scrittura e interpretarlo, come una lettera che Dio mi invia per orientare le mie scelte. San Paolo, quando scrive al discepolo Timoteo, assicura che le sacre Scritture possono istruire per la salvezza e promette:

Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona 

(2Tim 3,15ss).

L’ascolto della Parola si apre all’azione concreta verso Dio e il prossimo

Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi 

(Gc 1, 22).

Così scrive l’apostolo San Giacomo, evidenziando che se non si pratica la Parola, tutto resta illusione; ma chi la mette in pratica, troverà la sua felicità nell’atto stesso di praticarla.

Conclude Padre Cormio: “La Parola di Dio diviene chiara solo quando si comincia a praticarla ed il suo senso ultimo si riassume nel comandamento dell’amore. Agostino ricorda che tutta la Scrittura può sintetizzarsi in un solo versetto: “Dio è amore”. L’ascolto della parola non resta dunque un sentire superficiale, ma si apre ad un’azione concreta verso Dio e il prossimo. La preghiera non è infeconda, ma si arricchisce di opere buone”.

L’esempio di Santa Rita e l’ascolto degli altri

Santa Rita ha fatto dell’ascolto della Parola il fondamento della sua vita. Ha cercato di rispondere sempre con una sottomissione amorosa, mettendola in pratica, andando controcorrente perché per lei non esisteva una parola più autorevole della Parola di Dio.

“Non possiamo, però, pensare di ascoltare Dio se non sappiamo ascoltare chi vive accanto a noi – interviene la Madre Priora – . L’ascolto è un’arte da imparare giorno per giorno. Quanto soffriamo, quando non ci sentiamo ascoltati! Quanto soffrono gli altri, quando non li ascoltiamo! Quante crisi nella famiglia hanno questo centro! Impegniamoci in questo cammino con gesti concreti nati dall’ascolto di Dio e dell’altro e vedremo rifiorire i nostri rapporti.

GUARDA QUI LA MESSA DEL 5° GIOVEDì DI SANTA RITA

“Sono sempre riconoscente al Signore perché non ha guardato ai miei limiti ed è sempre stato generoso con me. Io voglio continuare ad essere generosa con Lui, a dire sempre ‘Sì, eccomi!’, a ogni sua richiesta e prego perché altre giovani siano pronte a rispondere con generosità alla Sua chiamata”.

Queste le parole pronunciate da Suor Consolata Sabatelli, lo scorso primo ottobre, nel cuore del Monastero Santa Rita da Cascia – come ha ricordato sulla rivista Dalle Api alle Rose, di cui è Direttore editoriale, Suor Giacomina Stuani – in occasione dei festeggiamenti dei suoi 70 anni di vita consacrata. Settanta anni che hanno rappresentato un un cammino di amore, fedeltà e bontà.

Il rinnovo dei voti

Il rinnovo dei suoi voti di castità, povertà e obbedienza è stato un momento commovente, permeato dall’intensità della fede e dall’amore verso il suo Signore. “Con tutto lo slancio del mio cuore rinnovo i miei voti, desiderando servire fino alla morte”, ha pronunciato con fervore, testimoniando così la sua totale dedizione alla Famiglia Agostiniana e alla Chiesa.

“La vocazione è l’espressione della volontà del Signore, del suo piano divino su ogni anima – ricorda Suor Giacomina – Ogni vocazione ha una sua storia propria, soprattutto la vocazione alla vita religiosa. È una particolare chiamata d’amore che ognuna di noi ha sentito in fondo al suo cuore”.

Per Suor Consolata, la vita consacrata è stata caratterizzato dalla costante ricerca della volontà divina e dalla generosità nel servire gli altri, anche se non sono mancate difficoltà e sfide.

Dono totale di sé

La sua testimonianza di vita è un faro di ispirazione per tutti coloro che la conoscono. Attraverso la sua semplicità e la sua dedizione quotidiana al servizio degli altri, Suor Consolata ha incarnato l’amore di Cristo, mettendo da parte se stessa per donarsi totalmente agli altri.

Nella celebrazione del suo settantesimo anniversario di vita consacrata, la claustrale ha ricevuto l’affetto e il sostegno di parenti, familiari e amici, che hanno voluto ringraziarla per la sua testimonianza di perserveranza.

Con profonda gratitudine, la nostra comunità vuole ringraziare Suor Consolata per i suoi settant’anni di dedizione e prega affinché possa continuare a illuminare i cuori con il suo amore e la sua fede incrollabile. Deo gratias!

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Domani, sabato 2 marzo alle 12.00, vi invitiamo a vivere con noi monache e padri agostiniani di Cascia e d’Italia, la Professione Solenne nell’Ordine di Sant’Agostino di Padre Gennaro Maria Lione, che si terrà nella Basilica di Santa Rita a Cascia, anche in diretta streaming. Presiede la Celebrazione Eucaristica il Priore Provinciale dell’Ordine, Padre Giustino Casciano.

Festeggiamo insieme il dono di questo nostro confratello, a cui si stringe la nostra famiglia in questa gioiosa occasione di conferma e crescita nel cammino della vita e della fede, raccontandovi un po’ di lui e della sua vocazione.

Una vita per Dio, nata da radici forti

Padre Gennaro è nato a Cernusco sul Naviglio, nella provincia di Milano, nel 1976. “La mia infanzia – ricorda – è stata sempre vissuta all’interno della comunità parrocchiale, dove a 7 anni ho iniziato a fare il chierichetto. In me c’è stata sempre una grande devozione verso il Signore, fin da bambino. Tanto che a 11 anni chiesi ai miei genitori di poter andare in seminario, perché desideravo diventare sacerdote”.

Spinto dall’esperienza del servizio all’Altare, dall’esempio di tanti sacerdoti e parroci e appoggiato dalla famiglia, modello di umanità e di fede, Gennaro entra così in seminario. Il suo percorso formativo, però, procederà poi all’esterno, pur essendo partecipe di incontri comuni.

Gennaro cresce e la sua vita scorre “normale”, tra studi di ragioneria, servizio civile nelle Misericordie in provincia di Firenze e, poi, il lavoro come operaio-magazziniere e tre fidanzamenti. In questi anni, il desiderio del sacerdozio si affievolisce, pur mantenendo uno stretto legame con la realtà parrocchiale.

“Una chiamata nella chiamata”

Poi… “Il giorno di Pentecoste del 2002, durante l’Eucaristia, decisi di ritornare sui miei passi: guardando il sacerdote e guardami accanto alla mia fidanzata, ho sentito che il mio cuore era spinto lì. Abbandonai tutto, lavoro, fidanzata e anche la mia città”.

Si trasferisce a Ferrara, infatti, dove studia teologia e diventa sacerdote, nel 2009. “Nel mio percorso Diocesano, sono stato parroco per due volte, poi nel 2015 feci un ritiro proprio qui a Cascia, con Padre Vittorino Grossi. Sperimentare la vita fraterna e di comunione che avevo visto tra i frati mi colpì, tanto da rimettere in discussione la mia vocazione diocesana. Chiesi così al mio Vescovo di poter fare una prova nell’Ordine Agostiniano e, nonostante un primo no, feci i miei primi tre anni di prova a Tor Bella Monaca, Roma. Poi sono entrato nel quarto anni di pre-noviziato a Tolentino. Da lì, il noviziato a Pavia, dove ho emesso nel 2020 i miei primi voti. Dopo un altro anno a Tolentino, sono a Cascia da 3 anni come professo“.

Verso un nuovo percorso: tra comunità …

“Per me inizia un nuovo corso, bello, perché la vita comune è una cosa bella, che ti fa capire meglio come la Chiesa non è fatta da singoli ma da una comunità, che abbraccia tutti, fedeli laici e noi sacerdoti. E nella vita di comunità vedo la bellezza del Signore, soprattutto nella vita degli altri. Non vivi più per te: è un totale abbandono a Lui per il bene comune. Questo è il dono grande che il Signore mi sta facendo”.

Domani saranno tante le persone che si stringeranno attorno a Padre Gennaro, la sua famiglia e tutti coloro che lo hanno accompagnato finora, tra cui molti sacerdoti che non ci sono più e che lui porta nel cuore.

… e paternità

“Ripercorrerò nella consacrazione quelle che sono le virtù che Dio mi ha donato al mio Battesimo, perché la consacrazione è vivere ancora in modo più completo il proprio Battesimo.

E poi, anche se già da sacerdote ero “padre”, la paternità che mi offre questa giornata è ancora più forte, perché ci saranno tante persone verso le quali io dovrò essere padre. E questo mi fa sentire come se il Signore domani mi rigenera Padre e genera per me tante figlie e figli… perché il Signore non toglie nulla alla mia vita.

Spesso sentiamo dire “questi poveri preti, senza famiglia, senza affetti…”. Ecco non è così, perché il Signore quando dice che ci dà cento volte tante, in fratelli, sorelle, madri, padri, figli e figlie è verissimo… a me non manca l’affetto, non manca la paternità, che sento forte… e non mi ha tolto nulla di ciò che ogni essere umano può desiderare nella vita. Questo mi rende felice e mi fa vivere questo momento con grande emozione e responsabilità!”.

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“Stai in silenzio davanti al Signore e spera in Lui“

Salmo 36,7

Comincia così la nostra riflessione sul valore del silenzio, nel quarto Giovedì di Santa Rita, percorso in quindici tappe che quest’anno dedichiamo alla preghiera.

Il silenzio è la “piena cittadinanza del presente”

Esordisce Suor Maria Rosa Bernardinis, la nostra Madre Priora: “Il silenzio è l’habitat della preghiera per ascoltare Dio e noi stessi, nei nostri bisogni più veri e profondi e apre il cuore all’adorazione; è “la piena cittadinanza del presente”, ha detto un predicatore contemporaneo. Ed è vero! E Sant’Agostino nella Regola, esorta a meditare nel cuore ciò che diciamo con le labbra, quando preghiamo”.

Come si fa a stare in silenzio davanti al Signore nella preghiera personale o comunitaria, quando siamo ansiosi, preoccupati o peggio proviamo risentimento, rabbia?

“Non è facile, è vero; ma non è impossibile – commenta la Madre – Occorre un esercizio continuo iniziale, di autocontrollo, per lasciare le emozioni che disturbano fuori dalla porta del cuore. Ho letto che un Santo, quando andava a pregare, teneva a portata di mano una penna e un bloc-notes. Se un problema o un pensiero disturbava la sua preghiera, lo scriveva. Al termine della preghiera, ciò che aveva scritto poteva essere anche un suggerimento alla sua meditazione”.

Dio parla nel silenzio del cuore

Il Signore non si fa sentire alle orecchie del corpo in maniera più forte che nel segreto del pensiero, dove Lui solo ascolta, dove Lui solo è udito

(Sant’Agostino, Discorso 12, 3). 

“Nel cammino di fede non vi sono solo tempi segnati dalle parole, come quando recitiamo una preghiera, ma anche tempi di silenzio: se tace la lingua, è per aprire l’orecchio del cuore alla voce di Dio che parla in noi- così interviene Padre Pasquale Cormio, Rettore del Collegio “Santa Monica” di Roma – . Per Agostino chi prega prepara nel silenzio un nido nel quale accogliere degnamente Dio”.

Dio parla nel silenzio del cuore, per cui secondo il Santo d’Ippona «nessuno può conoscere ciò che Dio vuole, se interiormente non risuona un certo tacito grido della verità” (Discorso 12, 3). Il peccato, invece, è per Agostino frastuono e indispone il cuore all’ascolto, alla ricerca di ciò che è vero e buono, perché interrompe quel silenzio interiore, che è la condizione necessaria per dialogare con Dio.

Il silenzio di Dio come un medicinale

Rifletta il padre agostiniano: “Spesso nella preghiera dobbiamo affrontare un altro silenzio, che non appartiene al cuore, ma è attribuito direttamente a Dio. Quante volte ci capita di lamentarci: Dio non mi parla, non mi dice nulla! Oppure: Dio è lontano dalla mia vita, non mi ascolta! Come interpretare questo silenzio di Dio, che talvolta è causa di inciampo nella fede e nella speranza?”

Gesù sulla croce si rivolge a Dio, intonando il salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” . Ma proprio in quel salmo, dopo il lamento, quando sembra che tutto sia ormai finito, la voce di chi prega si leva ad esclamare: “Tu mi hai risposto”. 

“Si tratta di fare discernimento: è Dio che fa silenzio oppure il credente, che è incapace di cogliere che Dio parla ed opera anche attraverso il suo silenzio?”, commenta Padre Pasquale.

Agostino nella sua vicenda giovanile, alla ricerca di amore e successo, ci dà una testimonianza del silenzio di Dio nella sua vita, un silenzio che invita alla conversione e non alla disperazione. Al rumore e al frastuono suscitati dalle sue passioni, che lo spingono ad abbandonare la fede cattolica trasmessa dalla madre Monica, Agostino contrappone il silenzio divino. Dio tace, concede al giovane la libertà di sbagliare; tuttavia, Dio continua ad operare. L’azione silenziosa di Dio è medicinale, perché cosparge di amarezza la dolcezza di quei piaceri della carne che risultano sterili.

L’esempio di Santa Rita

Di fronte al silenzio di Dio, occorre rimanere fedeli e perseveranti nella fede. I santi, che sperimentano momenti di oscurità interiore e di silenzio di Dio, ci insegnano a non venire mai meno nella salda adesione al Signore. La stessa Santa Rita ha sperimentato la forza del silenzio, quando saliva sullo scoglio a pregare, quando viveva a Roccaporena, oppure anche in monastero.  

Il silenzio, che dispone l’animo alla preghiera, è frutto sì di ascesi, ma è anche dono del Signore. Di fronte alle prime difficoltà, non dobbiamo arrenderci, bensì chiedere aiuto allo Spirito Santo. Dio è sempre presente all’uomo, creato a propria immagine ed amato fino alla fine.

GUARDA QUI LA MESSA DEL 4° GIOVEDì DI SANTA RITA

Nella nostra rivista di gennaio-febbraio un articolo a firma di Suor Maria Giacomina Stuani, direttrice editoriale di Dalle Api alle Rose, ci racconta la storia di Suor Pierina Bella, che ha lasciato la comunità lo scorso settembre per raggiungere in Cielo Gesù e la Beata Fasce, che per prima l’aveva accolta a Cascia nel 1938, come Apetta…

Faceva freddo e la Fasce mi coprì col suo mantello

Anna Maria (il nome di battesimo di Suor Pierina) è entrata in Monastero come Apetta: aveva superato i dieci anni, veniva da Monteleone di Spoleto, un borgo situato nelle zone montuose vicino Cascia, (attualmente era l’unica monaca di origini umbre) e la Madre Fasce, essendo una giornata fredda, le mise addosso il suo mantello per coprirla. Lei ce lo raccontava così: “Nell’ormai lontano 1938, il 27 dicembre, venni qui a Cascia e mi ricevette la Madre stessa. Quel giorno era festa perché era il suo compleanno e onomastico (il nome di battesimo della Madre Fasce era Maria Giovanna, ma tutti la chiamavano Marietta). Mi accolse con il suo abbraccio materno e con un bacio. Faceva freddo e mi ricordo che mi coprì subito con un mantello e mi diede qualche dolcetto. Eravamo appena sette; con me c’erano Palma (poi monaca agostiniana anche lei con il nome di Suor Teresa) e Irma (divenuta poi Suor Arcangela)”.

Quando Suor Pierina – scrive Suor Giacomina – ci raccontava questo episodio le si illuminavano gli occhi! Poi la Madre l’ha fatta uscire perché riflettesse sulla sua vocazione… E quando è entrata definitivamente in Monastero per rispondere alla chiamata del Signore e farsi monaca, la Madre Fasce aveva già lasciato questo mondo per il Cielo.

La sua originalità spiazzava

Suor Pierina sarebbe piaciuta molto al Beato Carlo Acutis, il quale ha affermato che “nasciamo originali e moriamo fotocopie…”. Lei è sempre stata originale… in tutto… Un’originalità che spiazzava lasciandoti senza possibilità di ribattere… e che faceva sempre sorridere. Era molto precisa, amava l’ordine, pignola e critica ma con sentimento giusto… al punto che un giorno, in uno scambio di vedute tra me e lei, ricordo di averle detto queste parole, con un non so che di ironico: “Pierina, quando sarai con Gesù, troverai qualche difetto anche a Lui…”, e lei alzò le spalle con un sorriso altrettanto ironico. Fu molto originale anche in un’altra circostanza, quando ormai la memoria cominciava a vacillare. Era un giovedì e lei stava pregando con il breviario i salmi del martedì, mi avvicino e le dico: “Pierina, oggi è giovedì, tu sei al martedì, devi cambiare le pagine. Risposta: “che nostro Signore si offende se prego i salmi di un altro giorno?” … No comment…

Curiosa per desiderio di imparare le cose, non per altro, fai-da-te in tante cose, meccanico per riparare macchine da cucire e altro, appassionata raccoglitrice di immaginette e di oggetti vari, decoratrice e restauratrice per hobby… un vero e proprio factotumjolly a 360°…

Fedele alla preghiera e alla vita comunitaria

A febbraio sempre dello scorso anno avevamo festeggiato i suoi 70 anni di professione religiosa e a fine luglio i 95 anni di età… Due bellissimi traguardi vissuti nella gioia e assieme anche ai suoi familiari, una schiera di nipoti, pro-nipoti e pro-pro-nipoti, tutti che ancora le volevano davvero molto bene.

Grazie Pierina, sei stata una simpatica e fortissima compagna di cammino e una bellissima testimonianza di costanza e perseveranza.

Il Signore ti ricompensi con la gioia del Paradiso. Deo gratias!

LEGGI LA RIVISTA DI GENNAIO-FEBBRAIO QUI

“Quando si parla di umiltà c’è il rischio di pensare che essere umili significhi riconoscersi in persone incapaci. È  importante, invece, unire l’umiltà alla verità per non cadere nel delirio di onnipotenza, ma nemmeno nel disprezzo di sé”. Così esordisce Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del nostro monastero, nell’affrontare questo argomento nel terzo dei 15 Giovedì di Santa Rita, percorso che quest’anno dedichiamo al dal tema della preghiera.

L’etimologia ci dice che umile deriva dalla parola humus, terra, che ci riporta a quando Dio plasmò Adamo e poi soffiò nelle sue narici. Siamo uomini fatti di terra, fragili creature a cui è stato però impresso il soffio vitale di Dio, che continua a infondere negli uomini il suo Spirito d’amore e di sapienza. 

“Umiltà è quella virtù che ci fa vivere nella verità di noi stessi, permettendoci di riconoscerci  creature davanti al Creatore – evidenzia la claustrale – . È  riconoscere che tutto ciò che siamo l’abbiamo ricevuto dall’Alto e che siamo un suo meraviglioso prodigio. È l’amore che Dio ha per me, sua creatura che mi rende persona degna di essere amata”.

La preghiera va vissuta con umiltà

“Lo sai che nella preghiera ci viene proprio chiesta la virtù dell’umiltà?”, ci chiede Padre Pasquale Cormio, Rettore del Collegio ‘Santa Monica’ di Roma

“I santi sono nostri educatori su questo aspetto: la persona umile non va confusa con quella umiliata dalla violenza o dalla forza o dal dolore – sottolinea – . È umile chi riconosce di non bastare a se stesso, di aver bisogno di Dio, di essere – come direbbe Agostino –mendicante di Dio. L’umiltà prepara il cuore alla preghiera di supplica, di ringraziamento, di lode a Dio, che dona ogni bene ai suoi figli”.

Gesù ha espresso tutto ciò nella parabola del fariseo e del pubblicano. Il primo, dall’alto della sua superbia, riconosce di fronte a Dio quanto ha fatto in opere di bene e di culto; mette avanti il suo “io” fino al punto di disprezzare chi invece si è macchiato di peccati, come il pubblicano, che, con gli occhi bassi e da lontano, ha solo la forza di supplicare il perdono.

Continua Padre Cormio: “La preghiera umile non esalta se stessi né ci fa ritenere “giusti” o “meritevoli” nei confronti di Dio; la preghiera vissuta con umiltà consente di riconoscere la propria miseria, chiede soccorso, ricerca la luce per lo spirito, la forza per la volontà, la vittoria sulle passioni. Gli ostacoli più grossi alla preghiera sono dentro di noi: orgoglio, egoismo, presunzione, risentimenti, rancori, chiusura e durezza di cuore. Spogliarci di noi stessi attraverso un’invocazione quotidiana di umiltà è il compito di chi vuol incontrare veramente Dio. Non è un’impresa facile, ma la preghiera umile è un bene sommo; per ottenerlo vale la pena fare qualunque sacrificio”.

L’umiltà è la scala per salire a Dio

Agostino, per aver nella sua giovinezza vissuto sotto l’effetto della ricerca continua delle lodi, delle gratificazioni personali, degli amori e delle ricchezze, ha saputo riconoscere la natura perversa della superbia, che guasta anche le opere buone, e la natura semplice e genuina dell’umiltà, che non esige altro se non di ammettere quello che noi siamo: creature che hanno ricevuto tutto da Dio e che di proprio non hanno se non il limite e il peccato.

“Per Agostino la conversione si è compiuta quando ha incontrato Cristo umile, il Figlio di Dio che si fa uomo e come uomo è disprezzato fino a morire in croce per tutti i peccatori – conclude il padre agostiniano. L’umiltà, quindi non è più derisione, ma la scala per salire a Dio. Per raggiungere simili traguardi, però, non c’è che una via profonda: l’umiltà del cuore”.

“Per salire in alto bisogna infatti partire dal basso. Nessuno può costruire una fabbrica alta se prima non ha impiantato in basso le fondamenta. Io lo so, lo riconosco: non c’è alcuno tra voi che non desideri l’immortalità, l’eterna gloria e di avere l’amicizia con Dio”

 (discorso 20/A, 8)

L’esempio di Santa Rita

“Quanto grande doveva essere l’umiltà di Santa Rita che riesce ad ottenere così grandi grazie, tanto che è denominata la santa degli impossibili?”, conclude Suor Maria Rosa.

GUARDA QUI LA MESSA DEL 3° GIOVEDì DI SANTA RITA

Nel turbine della quotidianità, spesso ci troviamo immersi in una frenesia che ci porta a vivere gli eventi uno dietro l’altro, riuscendo con fatica a trovare un collegamento tra di essi. Tuttavia, è importante riflettere su una prospettiva diversa, in cui la quotidianità viene vissuta come una forma di preghiera, una prospettiva che la nostra amata Rita ci invita ad abbracciare.

È quanto ci ricorda Suor M. Lucia Solera OSA, superiora della comunità agostiniana di Rossano Calabro, in provincia di Cosenza, nella sua rubrica Tracce di Rita contenuta nel numero gennaio-febbraio 2024 della nostra rivista Dalle Api alle Rose e che andiamo ad approfondire.

Una riflessione che ben si inserisce nel percorso dei 15 Giovedì, quest’anno dedicato alla preghiera.

La sacralità del quotidiano

La preghiera, ci ricorda Rita, non dovrebbe essere vista come un’attività separata dalla nostra esistenza, bensì come un atteggiamento di profonda attenzione verso tutto ciò che ci circonda, proprio come fece Gesù nei suoi insegnamenti evangelici. Dal momento in cui ci alziamo al mattino fino a quando chiudiamo gli occhi per dormire, ogni gesto, ogni azione è intrisa di sacralità, poiché è permeata dalla presenza di Dio.

“Tutto, ma davvero tutto ciò che compone la nostra esistenza è sacro, cioè abitato dalla presenza di Dio – scrive Suor Lucia-  Da parte nostra, non occorre tanto sottolineare questa verità attraverso, ad esempio, la ripetizione di giaculatorie o formule di preghiera; ci è chiesto, piuttosto, di avere occhi per questa sacralità in cui siamo immersi. Ecco il nostro compito: sentire e dare alle cose quello che le cose già hanno, ma che il nostro peccato ha loro tolto: la sacralità. Recuperare la trasparenza del cuore, perché tutte le cose veramente manifestino Dio e ci comunichino Lui. Questo è il clima che prepara e introduce a conoscere la paternità di Dio verso di noi”.

Imparare a coltivare l’attenzione del cuore come Rita

La vita di Rita stessa è stata un esempio di questa consapevolezza spirituale. Crescendo come moglie e madre, ha imparato a riconoscere la presenza di Dio in ogni aspetto della sua esistenza. Il suo cammino di santità è stato caratterizzato da una profonda attenzione al divino nel quotidiano.

Evidenzia la claustrale: “Rita diventerà l’umile santa di Cascia, configurata alla Passione di Cristo, attraverso un’intera vita in cui lei progressivamente cresce proprio così: sentendo la presenza di Dio attraverso tutte le cose. Il quotidiano vissuto come visita di Dio. E questo, sin dagli anni della sua giovinezza, come sposa e madre. È questa sorta di attenzione del cuore che dona unità al vivere, lo riscatta dalla dispersione, raccoglie ogni frammento e lo riconosce significativo, senza buttare via nulla”. Secondo Suor Lucia, anche noi, in un’epoca in cui c’è minore “dimestichezza nel vivere come religiosi gesti anche molto semplici, ordinari”. Possiamo coltivare l’attenzione del cuore, crescendo nella relazione con il Signore.

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