Come si fa famiglia con Dio?

Un martire vivente dalla Santa degli Impossibili

La Beata Fasce ha riformato il monastero con l’Amore

Il 31 agosto la Pia Unione Primaria si riunisce in Lazio

L’àncora della speranza non affonda nei fondali del mondo, ma è gettata nei cieli

Si può perdere la speranza?

“Venite da Santa Rita”: la Rivista è stata motore dei pellegrinaggi

L’8 agosto torna “Notte sotto le stelle” con il 1° Premio “Santa Rita arbitra di umanità” all’Associazione Italiana Arbitri

Santa Rita è l’influencer del Cielo che porta speranza ai giovani

Dio ha racchiuso in noi la speranza

Su Dalle Api alle Rose di luglio-agosto, la rubrica Per le Famiglie di Madre Maria Rosa Bernardinis, Priora del Monastero Santa Rita da Cascia è dedicata a questa domanda. Scopriamo insieme la risposta!

Le relazioni umani sono fondamentali, ma anche Dio vuole esserci

L’uomo e la donna hanno bisogno di vivere in relazione con gli altri per crescere, progredire, conoscersi, realizzarsi; così ha voluto Dio, creandoci a Sua immagine e somiglianza. Non solo. Dio desidera entrare in relazione con noi, non solo come amico, ma anche come familiare. E, per realizzare questo suo progetto invia il Figlio nel mondo.

Dopo il peccato di Adamo ed Eva, infatti, Dio non li ha abbandonati a se stessi; ha preparato un popolo che, nella pienezza del tempo, accogliesse il Verbo che si è fatto carne, nel grembo verginale di Maria.

Il Signore ha imparato a vivere da uomo all’interno di una famiglia

Gesù, ha sperimentato la relazione familiare, padre e madre, genitori e figlio, per crescere nell’amore con Dio Padre e il prossimo. A trent’anni, lasciata la casa di Nazareth, inizia il suo ministero di annuncio del Vangelo, portando l’annuncio che Dio Padre ci ama e vuole che tutti giungano alla salvezza. Gesù allora, chiama degli uomini perché lo seguissero e stessero con Lui, per istruirli e formarli alla sua scuola.

Per entrare a far parte della Sua famiglia, Gesù stesso ci dice cosa fare: “Chi fa la volontà del Padre mio, questi è per me fratello, sorella e madre”. Questa è stata anche la sua forza caratteristica di amore, per giungere fino a sacrificare la sua vita in riscatto di molti.  In questo modo ha portato a compimento il piano divino. Uniti a Gesù Cristo noi formiamo con lui un corpo, Lui il Capo e noi le membra e siamo figli adottivi nel Figlio.

Tutti possiamo entrare a far parte della Famiglia Trinitaria

La singola anima, il giorno del Battesimo, diventa figlia adottiva; nella famiglia naturale, cresce nella fede, nella speranza nell’amore e fa l’esperienza di Chiesa domestica; la famiglia inserita nella Chiesa locale, aprendo i suoi orizzonti, si scopre Chiesa universale, tutti figli di uno stesso Padre.

Questo è affascinante e rende il cuore aperto alle sfide che incontra sul cammino. Non dobbiamo temere nulla. Lo Spirito Santo ci guida; conosce i pensieri di Dio e le nostre profonde aspirazioni.

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Ha pregato con le monache davanti al corpo di Rita il Cardinale Ernest Simoni, per 28 anni prigioniero del regime comunista albanese, che lo scorso 24 marzo ha celebrato in Basilica la Messa Solenne della Domenica delle Palme.

Su Dalle Api alle Rose, Marta Ferraro ripercorre i punti salienti della sua preziosa e forte testimonianza.

Senza la Madonna non succede niente! Come mangi tutti i giorni, così devi recitare il Rosario ogni giorno

Queste parole sono ciò che mi è rimasto nel cuore e nella mente dell’incontro con Sua Eminenza il Cardinale Ernest Simoni, il porporato, definito dal Papa “un fiore per tutta la Chiesa.

Mi ha colpito ciò che mi ha detto perché non è una frase buttata lì: l’ha pronunciata un uomo che ha patito i morsi della fame fino al punto di brucare l’erba e mangiare il vomito di altri, un uomo che ha risposto alla crudeltà della prigionia facendosi sembrare pazzo, solo perché muoveva continuamente la bocca per recitare il Rosario.

28 anni di prigionia vissuti con Cristo

Il Cardinale Simoni, nato a Scutari in Albania il 18 ottobre 1928, dal Natale del 1963 ha vissuto 28 anni di prigionia e lavori forzati nelle fogne e nelle miniere, considerato ‘nemico del popolo’ negli anni della dittatura comunista e atea di Enver Hoxha, quando anche solo farsi un segno della Croce costava fino a 10 anni di carcere. Lui, invece, non ha mai smesso di celebrare la Messa in latino e coperto da prigionieri musulmani, faceva di un po’ di farina misturata all’acqua e delle gocce di chicchi d’uva il Corpo e il Sangue di Cristo.

La sua vita è una pagina di storia dolorosa ma anche di speranza, perché intrisa dell’amore a Dio

Incontrandolo, mi è sembrato di stare con un santo, in quanto vero testimone della fede. Racconta che è tutta opera di Dio e dai suoi occhi traspare tutto l’amore che nutre per Gesù Cristo e per la Madonna. “Ogni Santa Messa è il sangue di Gesù che illumina e protegge”, ha detto nell’omelia. Quando gli ho chiesto, che cosa gli avesse dato forza negli anni della prigionia, ha risposto: “Essere fedele a Gesù, pregare ogni tanto, pregare per i nemici perché la ricompensa sarà immensa nel cielo”.

Nella sua omelia si è anche raccomandato ai fedeli: “Dio deve essere al primo posto. Se Dio fosse al primo posto oggi il mondo sarebbe un giardino pieno di fiori. Senza Gesù, vediamo com’è!”.

Nel nostro incontro, parlando di guerra mi ha confidato: “L’obbligo morale di ogni buon cattolico è inginocchiarsi davanti a Gesù con le lacrime per chiedere la risoluzione pacifica per tutte le nazioni e che si asciughino tutte le lacrime e abbiano tutti la felicità temporale ma soprattutto per chiedere la felicità piena di luce che ci aspetta”. Ha più valore, quando a dirlo è un uomo che ha sperimentato sulla sua pelle la crudeltà umana fine a se stessa; un uomo che dopo un giorno di vessazioni, in prigionia, ha pronunciato le parole “Amare i nemici, perdonare i nemici, dare la vita per i nemici. Prego per il presidente affinché faccia del bene per il popolo albanese”.

Ai devoti di Santa Rita…

Ai devoti di Santa Rita raccomanda di seguirne l’esempio nella preghiera, nella penitenza, nel digiuno, nell’amore per Gesù per avere tutta la gioia in questo mondo e soprattutto la felicità per l’eternità.

Con i suoi 96 anni, continua a lavorare per la Chiesa e a testimoniare Cristo, pregando per coloro che si affidano a lui, praticando esorcismi e visitando santuari. Riceve fino a 120 telefonate al giorno alle quali non si sottrae mai. Ma, non si attribuisce alcun merito dicendo “è tutto grazia e protezione divina” e non conclude mai una frase che non contenga un ringraziamento a Gesù e alla Madonna. È solito ripetere che “chi non ha provato la fame, non ha provato niente”.

Nel 2014 Papa Francesco, andando in Albania, ha chiesto di incontrarlo e ascoltando le sue parole si è commosso fino alle lacrime e dopo due anni lo ha creato Cardinale.

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In Dalle Api alle Rose di luglio-agosto, lo storico agostinianista Mauro Papalini accende i riflettori su un aspetto molto interessante della vita della Beata Maria Teresa Fasce, la storica Badessa del Monastero, che ha lasciato un’impronta speciale nella storia di Cascia e del culto ritiano.

Papalini ci mostra come la Madre, così la chiamano ancora oggi le sue consorelle e chiunque ne conosce la storia, restaurò la stretta clausura all’interno del Monastero, ma all’interno aprì la sua comunità, al Bene e al servizio del prossimo.

Una riforma necessaria

Le leggi soppressive dello Stato Italiano del 1866 avevano provocato decadenza e rilassatezza nei conventi e monasteri. Nei primi del ‘900 le cose cambiarono e molti monasteri rifiorirono. Le Clarisse scoprirono la regola di Santa Chiara che sostituì pian piano quella di Urbano IV; si svilupparono movimenti di riforma come le trappiste. Nel 1917 Benedetto XV promulgò il primo codice di diritto canonico.

In questo quadro va inserita l’opera riformatrice di Maria Teresa Fasce. Appena eletta Abbadessa si impegnò a fondo per riformare radicalmente la sua comunità, ma ella non impose nulla con la forza; con i suoi insegnamenti e soprattutto con i suoi esempi divenne la pietra miliare su cui ricostruire una comunità religiosa propriamente detta.

Madre e maestra

Ella stessa si fece madre e maestra delle sue monache. Il suo ideale, la sua guida in questa grande opera di riforma furono il Vangelo, la Regola di Sant’Agostino e le costituzioni dell’Ordine agostiniano allora in vigore.

La prima cosa che realizzò pienamente fu la perfetta vita comune; sapeva bene che alla base di tutto vi è la carità con quegli attributi che leggiamo in San Paolo (Prima lettera ai Corinzi 13, 1-13). Innanzitutto curò particolarmente la formazione spirituale delle monache, seguiva metodi pedagogici per educare e guidare la comunità, ben sapendo che ogni monaca era un caso a sé e che ognuna aveva le proprie esigenze spirituali e materiali; in questo era molto esigente cioè pretendeva il massimo da tutte a seconda delle rispettive capacità, naturalmente.

Tutte le suore dovevano avere un loro compito e tenersi sempre occupate, per prima cosa nella contemplazione, nella meditazione e nella preghiera. Ma anche nelle tante attività materiali necessarie a mandare avanti la vita quotidiana del monastero. Anche nei momenti liberi esse avevano un rosario da recitare, un pensiero da meditare, un ambiente da pulire o l’orto del monastero da custodire.

La Beata Maria Teresa si adoperò perché a nessuna mancasse il necessario e vi riuscì egregiamente, secondo le testimonianze delle suore che hanno confermato con molti dettagli i vari aspetti della sua maternità spirituale.

Leggeva nei visi delle monache

Possedeva anche un finissimo intuito e una profonda penetrazione psicologica che le permettevano di sapere ciò che le suore pensavano in quel momento; lo faceva decifrando l’espressione del loro viso e sfruttando al meglio i carismi che lo Spirito Santo le aveva elargito. Questo fu molto importante perché dava modo alla Beata di avere sempre la situazione sotto il suo materno sguardo onde evitare rilassatezze e altri difetti che fanno tanto male alle anime consacrate.

Si dice anche che fosse molto severa. Se severità significa pretendere il massimo sempre, sì, ella lo era: rigida nell’osservanza scrupolosa della Regola Agostiniana e delle costituzioni del suo Ordine, non transigeva nemmeno nei minimi dettagli.

Aveva una cura particolare per il silenzio, lo raccomandava sempre e ne esigeva il rigoroso rispetto suonando un campanellino. Restaurò la stretta clausura, ma all’interno aprì la sua comunità nell’amore.

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Si terrà sabato 31 agosto il raduno regionale dei gruppi del centro Italia della Pia Unione Primaria Santa Rita, la grande famiglia di devoti ritiani che è presente in tutto il Paese e anche all’estero.

A Gallicano nel Lazio, provincia di Roma, si ritroveranno tanti gruppi da tutte le regioni centrali d’Italia, pronti a vivere un giorno di grande emozione e unione, nel nome di Rita!

Tanti saranno gli iscritti, ma puoi partecipare anche tu che desideri saperne di più su questa famiglia agostiniana e ritiana!

Partecipa anche tu: ecco il programma

Ore 8.30 – 9.00
Arrivo, registrazione ed accoglienza in piazza della Rocca

Ore 10.00 – Chiesa di Sant’Andrea ap.
Conferenza a cura di Padre Ludovico Maria Centra, assistente spirituale della PUP

Ore 11.00
Santa Messa

Ore 12.00
Processione con il simulacro di Santa Rita con l’accompagnamento della Banda parrocchiale

Ore 13.30
Pranzo presso l’agriturismo I casali di San Pastore
A conclusione, saluti e congedo

Per informazioni è possibile telefonare direttamente ai responsabili della PUP locale: 3348341132

CONOSCI MEGLIO LA
PIA UNIONE SANTA RITA

Eccoci alla seconda tappa del nostro viaggio spirituale estivo, alla riscoperta della speranza, per esplorarla anche in vista del Giubileo 2025!

La scorsa settimana abbiamo parlato di cosa intendiamo per speranza crsitiana e abbiamo capito che non si tratta di qualcosa da attendere ma di una certezza che abbiamo racchiusa dentro noi, la certezza dell’Amore di Dio!

Questa settimana, sempre insieme alle riflessioni di Suor Maria Rosa Bernardinis, Priora del Monastero Santa Rita e dell’agostiniano Padre Pasquale Cormio, ci proponiamo di scoprire il vero fondamento della speranza. Vieni con noi!

Siamo barche alla deriva: dove trovare stabilità?

Spesso proviamo la sensazione di vivere come in mezzo ad una tempesta, per le prove e le difficoltà da affrontare. Il pericolo che si avverte è quello di non avere punti di riferimento: vi è instabilità nelle relazioni, incertezza nella fede o nella pratica della virtù, ansia nell’educazione dei giovani, paura per la situazione internazionale, diffidenza nell’uso indiscriminato della tecnologia…

Allo stesso tempo, nella vita personale, si possono attraversare situazioni di difficoltà economica, familiari, spirituali…

In questa situazione così fluttuante, occorre domandarsi: a cosa è ancorata la mia vita? Dove trovare quella stabilità che il mondo non è capace di assicurarmi?

La Parola di Dio ci orienta nella ricerca

Questa speranza la teniamo come un’àncora dell’anima, sicura e ferma, che penetra oltre la cortina, dove Gesù è entrato per noi quale precursore, essendo diventato sommo sacerdote in eterno (Eb 6, 19ss).

Siamo nella stagione adatta per un giro in barca o per vedere in un porto una nave ormeggiata. E affinché l’imbarcazione goda di stabilità e fermezza, occorre gettare l’àncora. Nella Lettera agli Ebrei l’àncora rappresenta la speranza cristiana, che dà all’anima del credente sicurezza e stabilità, in quanto è connessa alla resurrezione di Cristo. Tutto sarebbe vano e falso se Cristo non avesse vinto la morte, se non fosse presente in mezzo a noi: nella nostra vita non sarebbe posta la sua realtà di vita e di resurrezione.

L’àncora della speranza non affonda nei fondali del mondo, ma è gettata nei cieli, oltre la cortina, dove Gesù Risorto vive, dove Egli, come sommo sacerdote, prega per tutti noi e ci attende per condividere la sua stessa vita divina.

Come ricorda Agostino, Cristo «intercede per noi, altrimenti dispererei. Avremmo potuto credere che la tua Parola fosse lontana dal contatto dell’uomo e disperare di noi, se questa Parola non si fosse fatta carne e non avesse abitato in mezzo a noi» (conf. X, 43.69).

Una speranza piena di immortalità ed eternità

La speranza cristiana è ben diversa da quella umana, per l’aspettativa che dischiude: annuncia il più totale e completo coinvolgimento di Dio nella storia umana e la certezza che Dio ha preparato per noi un’eredità nei cieli. La speranza – se non vuole sfumare in una semplice illusione o in una cieca utopia – deve essere fondata sull’amore, e sull’Amore definitivo: Solo se c’è in te una grande speranza potrai dare senso alla vita e amare al di là di ogni misura di stanchezza.

La fede nella resurrezione e nella vita eterna sono il fondamento della speranza cristiana. Aver disatteso questo orientamento, ci ha rinchiusi in una ricerca di speranze limitate solo al nostro “oggi”. Nel momento in cui si attenua o scompare questa disposizione del cuore all’eternità di Dio, subisce una trasformazione anche il nostro modo di pensare e di agire: subentra un attaccamento alla vita presente, che è di per sé un bene, ma quando non ha un orizzonte “oltre” da perseguire si riduce talvolta ad un susseguirsi di fatica e di contraddizioni senza un senso ultimo.

Le scelte che noi oggi compiamo in ordine al bene, alla verità, alla giustizia, all’amore hanno un valore eterno, ci preparano all’incontro con Dio, sono le nostre “buone credenziali” per essere accolti nel regno dei cieli. Sperare è credere che Dio ci rende capaci di atti eterni e che l’amore seminato e raccolto è una finestra aperta sull’eternità.

La nostra speranza “è piena d’immortalità” (Cfr Sir 3,4b), perché si basa sulla fedeltà di Dio che non viene mai meno

Lasciamoci trascinare verso la felicità

Lo scrittore francese Charles Péguy paragona le tre virtù teologali: fede, speranza e carità, a tre sorelle. La speranza è la più piccola, ma è quella che trascina le altre due. Dove le trascina? A una felicità piena e duratura, che Dio ha preparato da sempre e che l’uomo, pur smarrito e fuggitivo, porta impressa nel suo cuore. Ma, è necessario trovare la via per raggiungerla e possederla, e questa via si chiama Gesù di Nazareth, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, che ha detto infatti: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14, 6).

San Paolo poi scriverà ai Romani: “Giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di Lui abbiamo anche, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato“ (Rm 5,1-5;).

Se speriamo nel futuro dell’eternità di Dio, possiamo cambiare il presente

Se possediamo questa speranza, noi possiamo apprezzare meglio la nostra libertà di figli anche di fronte a ciò che ci preoccupa o suscita paura e insicurezza. Gesù risorto ha vinto i nostri due nemici più tenaci da affrontare: il peccato e la morte, e la sua resurrezione è per noi primizia di quel dono che ci è stato preparato: la comunione con Dio, il nostro essere con Cristo per sempre. Noi siamo in cammino verso l’Amore che non ha fine, verso la Vita vera ed eterna.

Allora possiamo dire ogni giorno questa preghiera della colletta della XVII domenica del Tempo Ordinario: “O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo, effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni”.

Con questa forza trainante possiamo raggiungere la pienezza della vita che è solo in Dio

In questo terzo appuntamento, del nostro viaggio spirituale estivo alla riscoperta della speranza, anche in vista del Giubileo 2025, Suor Maria Rosa Bernardinis, Priora del Monastero Santa Rita da Cascia,e l’agostiniano Padre Pasquale Cormio, ci aiutano a rispondere alla domanda: si può perdere la speranza?

Finora, infatti, abbiamo prima capito che la vera speranza non è un’attesa ma una certezza, quella dell’amore di Dio e quindi della nostra salvezza e felicità. E, poi, che il fondamento della speranza sta nella fede nella resurrezione e nella vita eterna

Oggi, vediamo perché la speranza non è una cosa facile, ma neppure impossibile. 

Alleniamoci a sperare per rinforzare i muscoli del cuore

Lo scrittore francese Charles Péguy, spiega bene come in noi è innata questa condizione: «Ma è sperare che è difficile. E la cosa facile e la tendenza è disperare, ed è la grande tentazione».

La speranza è presentata come una piccola bambina, una virtù umile che avanza tenuta per mano dalle due sorelle maggiori, la fede e la carità. Una bambina piccola e fragile, che rischia di perdersi se non è assistita dalle altre due virtù, che l’accompagnano e la sorreggono. Senza, è facile disperare, perché in noi attecchisce la tentazione di credere che Dio ci abbia abbandonati oppure sia indifferente alla nostra condizione.

Come ogni virtù, anche la speranza va coltivata, alimentata, attraverso la preghiera che mantiene viva la fede e ci mette in relazione con il Signore della vita. È importante imparare a riflettere sul senso delle cose che ci accadono, saper vedere la mano di Dio nella nostra quotidianità, per fare esperienza della sua presenza costante e amica, in particolare nei momenti duri, quando il dolore fa capolino. Se non facciamo questo allenamento, non ci rinforziamo bene i muscoli del cuore.

Vivere bene anche la sofferenza senza allontanarci da Dio

Quante volte di fronte al dolore ci chiudiamo e niente e nessuno può aiutarci a uscire dalla fossa che ci siamo scavati. La sofferenza, vissuta male, può spegnere la speranza che è in noi. La sofferenza non va subita ma accolta, valorizzata, in qualche modo compresa. Gesù ci insegna che ogni morte ha una rinascita. Apriamoci con fiducia anche all’inevitabile dolore.

Un altro rischio che corriamo è costruirci il futuro secondo il nostro progetto e portarlo avanti a tutti i costi, perché siamo convinti che il paradiso sia su questa terra ed è una nostra conquista. Prima o poi la vita ci porta a scontrarci con il fallimento e tutto crolla, ed entriamo nel sepolcro della delusione e della sfiducia, perché pensiamo che, se la vita non va come vogliamo noi, non vale la pena di essere vissuta. Questo pericolo è molto comune.
Poi, anche il peccato, ci porta a perdere la speranza. Perché ci allontana da Dio che è la nostra Speranza.  È come se sbagliassimo bersaglio: non riusciamo a fare centro nella vita perché prendiamo la mira sbagliata, guardiamo da un’altra parte.

Se sei triste cerca rifugio in un Santuario e ricarica la speranza

Teniamoci stretti alla Speranza che non delude, che dona gioia perché ci indica la strada della vita che non finirà, della pace che niente e nessuno potrà mai toglierci.

I Santuari sono un rifugio per chi è dominato dalla tristezza e dalla fatica di aprirsi a nuove prospettive. La presenza di un Santo, come nel nostro caso di Santa Rita, è l’occasione per riprendere fiducia in un cambiamento, per ridestare una speranza che ci sostenga nell’affrontare conflitti o esperienze scomode. I santi ci ricordano che la speranza non è come il semplice “confidare” che tutto andrà bene, ma un atto di affidamento a Gesù, che ha la forza di liberare e rinnovare la vita.

In tensione ma per lo Spirito Santo

Il nostro compito è non stancarci nel richiedere a Dio la speranza.

Una riflessione di Papa Francesco può aiutarci nel nostro cammino di fede: «Non è facile vivere in speranza, ma io direi che dovrebbe essere l’aria che respira un cristiano, aria di speranza; al contrario, non potrà camminare, non potrà andare avanti perché non saprà dove andare. Se tu speri, non sarai deluso. Bisogna aprirsi a quella promessa del Signore, protesi verso quella promessa, ma sapendo che c’è lo Spirito che lavora in noi. Che il Signore ci dia, a tutti noi, questa grazia di vivere in tensione, in tensione ma non per i nervi, i problemi, no: in tensione per lo Spirito Santo che ci getta verso l’altra riva e ci mantiene in speranza».

La devozione per i santi è parte di una spiritualità popolare fatta di gesti, segni, riti. I pellegrinaggi ne sono parte, perché con il pellegrinaggio il devoto esce da sé per cercare un contatto con il sacro, nutrire la propria fede e darne testimonianza.

Madre Maria Teresa Fasce, da Badessa del Monastero, ne comprende l’importanza e desidera portare i pellegrini a Cascia, da Santa Rita. Eppure, l’impresa non è facile, perché mancano molte cose. Da dove partire? Da quello che c’è: Santa Rita e il suo Bollettino, oggi la Rivista Dalle Api alle Rose, che la stessa Fasce, adesso Beata, ha fatto nascere.

Questo aspetto è stato messo in luce grazie all’esposizione “Dalle Api alle Rose: 100 anni in mostra (1923-2023)”, che lo scorso anno ha ripercorso e riscoperto i 100 anni della rivista.

Si parte dal desiderio

Dalle pagine del Bollettino, descrivendo e mostrando anche in foto i luoghi di Santa Rita, la Fasce accresce nei devoti il desiderio di pellegrinaggio.

Ad alcuni pellegrini chiede di condividere l’esperienza. Ciò si rivelerà cruciale anche per lo sviluppo della città, che troverà nel turismo religioso uno straordinario generatore di valore, con la creazione di attività, progetti e opportunità di lavoro.

Il 1° pellegrinaggio organizzato è del 1925

Un secondo passo è la proposta di un pellegrinaggio organizzato. Il primo, con partenza da Roma, si svolge dal 20 al 22 giugno 1925.
Il programma prevede le celebrazioni, la visita all’Urna, al chiostro e ad altri luoghi del Monastero, una visita a Roccaporena e una speciale benedizione finale. L’iniziativa è promossa sul Bollettino e diventerà un appuntamento annuale.

Aperture straordinarie e tutte le informazioni utili

Nell’intento di offrire di più ai pellegrini, vengono calendarizzate delle aperture straordinarie di alcuni luoghi del Monastero significativi nella vita della Santa. Le date (sempre di giovedì) sono comunicate sul Bollettino.

Il Bollettino, inoltre, diventa un vero e proprio punto di riferimento per i pellegrini e si preoccupa di metterli nelle condizioni di arrivare agevolmente a Cascia. Così, pubblica le informazioni sugli orari della ferrovia a trazione elettrica Spoleto-Norcia, che collegava il territorio con una pregiata opera di ingegneria ferroviaria.

Per ospitare i pellegrini, poi, occorreva una struttura adeguata, in grado di “dare ai devoti una assistenza confortevole, cordiale, serenante”. Nasce così la Casa del Pellegrino. Presentata in anteprima su Dalle Api alle Rose, aprirà ufficialmente il 24 aprile 1955, per diventare l’attuale Hotel delle Rose.

L’accoglienza del pellegrino, infine, passa anche da una rassicurazione sulle condizioni meteo, perchè in una zona di montagna anche questo è fondamentale!

Oggi, con l’aumento dei pellegrinaggi a Cascia, il Monastero ha identificato due strumenti informativi più adatti e mirati: l’Ufficio Informazioni, con personale dedicato e situato lungo il Viale della Basilica, e questo sito Internet.

Ma, Dalle Api alle Rose tiene sempre aperta la finestra sulle informazioni per i pellegrini anche ora, offrendo informazioni e consigli.

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Giovedì 8 agosto, dalle ore 21.00, torna sul Sagrato della Basilica di Santa Rita da Cascia un’evento storico, “Notte sotto le stelle“, quest’anno ricco di novità. Sarà una serata di musica pensata per valorizzare l’umanità, nella vita e nello sport, grazie alla 1° edizione del Premio “Santa Rita arbitra di umanità”.

Voluto dal Monastero Santa Rita da Cascia e dal Comune di Cascia, il riconoscimento è un segno di vicinanza e incoraggiamento per l’Associazione Italiana Arbitri. I fischietti italiani sono per il secondo anno in ritiro precampionato in città.

Segui l’evento grazie alla diretta sui social del monastero, Facebook e Youtube 

Il concerto del Maestro Stefano Mhanna, con l’Orchestra Novi Toni Comites, sarà occasione per ricordare Giacomo Persiani, organista della Basilica, e conferire lo speciale riconoscimento alla prima terna arbitrale femminile di Serie A.

L’augurio della Madre Priora: l’umanità vinca sempre in campo e fuori

“Santa Rita è stata simbolicamente una ‘arbitra di umanità’, affrontando le varie espressioni di violenza del suo tempo da testimone di pace, con la forza del dialogo e della riconciliazione. Oggi, come allora, gli scenari politici, sociali ma anche sportivi testimoniano quanto ci sia bisogno di figure a tutela dell’umanità.

Perciò, alla serata musicale da tempo dedicata alla memoria di Giacomo Persiani, la cui breve vita ha lasciato un segno di umanità indelebile a Cascia, affianchiamo quest’anno un premio speciale per l’Associazione Italiana Arbitri, che abbiamo deciso di consegnare alle tre donne che per prime e insieme hanno diretto una partita di Serie A, perché hanno costruito questo traguardo puntando su umanità, integrità e coraggio.

L’augurio è che il ruolo di mediatrice di Rita possa ispirare e guidare in campo ogni figura arbitrale, così come tifosi o tecnici e giocatori, perché le partite non siano più teatro di insulti, aggressioni e minacce, e affinché l’umanità, che ci caratterizza e unisce, sia l’unica a vincere sempre”.

Con queste parole Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia, aprirà l’evento Notte sotto le stelle, appuntamento storico per la famiglia agostiniana e Cascia, dedicato al ricordo di Giacomo Persiani, giovane musicista e organista del Santuario che morì a causa di una malattia nel 1997.

Il calcio è sinonimo della vita: le parole del sindaco di Cascia

“È veramente straordinario poter parlare di sport – sottolinea il Sindaco di Cascia Mario De Carolis – in occasione della serata ‘Notte sotto le stelle’ in onore di Giacomo Persiani, grande musicista e mio grande amico, fin dai tempi delle scuole superiori, e insieme al maestro Mhanna. Il messaggio che si vuole veicolare con questa iniziativa è la virtù di Santa Rita, cioè che dopo la passione e il coinvolgimento, a volte anche sopra le righe, delle tifoserie delle due squadre contrapposte, c’è sempre un momento di riconciliazione e di chiusura di queste passioni, rappresentato dalla fine della partita che l’arbitro sancisce con il triplice fischio finale.

La durata di una partita di calcio è in fondo un esempio della vita e delle passioni umane, a volte anche cruente e non facili da gestire dalle parti coinvolte, e cioè giocatori, pubblico e arbitro, ma è davvero necessario ricordare (e Santa Rita ci aiuta in questo in maniera determinante) che senza riconciliazione si perde troppo facilmente il senso e il gusto del gioco stesso, perché nessuna partita di calcio può giocarsi senza l’altro e, in fondo, nell’altro riusciamo a ritrovare noi stessi e la nostra identità.

Per questi motivi, anche per questi motivi, ogni forma di rispetto va sempre mantenuta verso gli arbitri, gli avversari e i tifosi dell’altra squadra, perché è in questo modo che potremo giocare le partite migliori della nostra vita”.

“Qui ci sentiamo a casa, grazie per questa sorpresa speciale”: il commento del Presidente degli arbitri italiani

All’evento sarà presente il Presidente dell’AIA Carlo Pacifici, che ha dichiarato. “È con grande piacere che come Associazione Italiana Arbitri partecipiamo al concerto ‘Notte sotto le stelle’ presso il Sagrato della Basilica di Santa Rita da Cascia.

In Umbria, anche se è solo il secondo anno che organizziamo i raduni pre Campionato delle varie Commissioni nazionali, ci sentiamo a casa, grazie all’accoglienza ricevuta dalla comunità locale e dal Monastero stesso.

Il conferimento a Maria Sole, Francesca e Tiziana del Premio ‘Santa Rita arbitra di umanità’ è stata poi una sorpresa speciale. Le nostre ragazze, protagoniste pochi mesi fa della prima terna interamente femminile nella storia della Serie A, rappresentano infatti un movimento fatto di oltre 2300 associate che operano ad ogni livello ed in ogni ruolo. Ringraziando quindi per l’invito il Sindaco di Cascia Mario De Carolis e la Madre Priora Suor Maria Rosa Bernardinis, auguriamo a tutti una piacevole serata”.

Ad accompagnare il Presidente, una delegazione in rappresentanza della Commissione Arbitri Nazionale di serie A e B, guidata dal designatore e responsabile Gianluca Rocchi.

Il Premio nasce da un ex voto a Santa Rita

L’obiettivo dello speciale Premio, che sarà consegnato all’interno della serata dalla Priora e dal Sindaco, è quello di valorizzare e tutelare l’umanità, che accompagna la professionalità delle figure arbitrali ed è spesso messa a rischio, in campo e fuori.

Nel dettaglio sarà assegnato alla prima Terna Arbitrale Femminile di Serie A: l’arbitro Maria Sole Ferrieri Caputi e le assistenti Francesca Di Monte e Tiziana Trasciatti. Un primato unico e di grande significato il loro, per l’universo sportivo come per quello femminile, che le claustrali e l’amministrazione vogliono omaggiare.

Fisicamente, il Premio si presenta come un trofeo, personalizzato e dalla creazione unica che esalta due simboli della santità di Santa Rita. La rosa, simbolo ritiano per eccellenza, che spicca nella parte superiore e ricorda come sia possibile fiorire nonostante le spine della vita. L’anello nuziale, incastonato nella base in legno, costituito da due mani che si stringono, proprio come si fa nel campo da gioco, raffigurazione di rispetto, unione e pace.

Il riconoscimento, alla prima edizione, ha origini nel forte legame già esistente tra il mondo arbitrale e Santa Rita, rappresento da Massimiliano Grilli. Assistente arbitrale per 12 anni in serie A di cui 7 Internazionale, in questa stagione componente CRA Umbria Osservatori Arbitrali e coordinatore per l’Umbria Project Woman. Un legame, che ha abbracciato anche la comunità delle agostiniane, sancito dalla donazione di un ex voto a Santa Rita nel 2011. Tutt’ora è esposto nelle teche che circondano la Cappella nella Basilica che custodisce il corpo della santa. Si tratta della sua divisa del centenario dell’AIA che Grilli ha personalmente portato a Cascia come segno della grande devozione che nutre da bambino. Fin dagli inizi sui campi di calcio, Rita lo ha sempre accompagnato. Massimiliano ha custodito un’immagine della santa sul cuore all’interno del suo taccuino e da lei ha ricevuto forza, dolcezza e serenità. È stato il primo arbitro a testimoniare a Santa Rita quella profonda e vera umanità, che con il Premio il Comune e le monache vogliono valorizzare.

Il programma di giovedì 8 agosto

Saluti di benvenuto:
– Mario De Carolis, Sindaco di Cascia
– Padre Mario De Santis, Rettore della Basilica di Santa Rita da Cascia
– Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia

Programma

Niccolò Paganini (1782-1840) Mosè Fantasia

Johann Sebastian Bach (1685-1750) Aria dalla Suite n. 3

Antonio Vivaldi (1678-1741) L’Inverno op. 8

1° intermezzo
Ricordo di Giacomo Persiani

Fritz Kreisler (1875-1962) Preludio e Allegro nello stile di Pugnani Arrangiamento per archi di Stefano Mhanna

Pablo De Sarasate (1844-1908) Zigeunerweisen (Gypsy Air) op. 20

2° intermezzo
Premio “Santa Rita arbitra di umanità”
Riconoscimento del Comune di Cascia e del Monastero Santa Rita per l’Associazione Italiana Arbitri, assegnato alla prima terna arbitrale femminile di Serie A: Maria Sole Ferrieri Caputi, Francesca Di Monte e Tiziana Trasciatti

Introduce, Massimiliano Grilli,assistente arbitrale per 12 anni in serie A di cui 7 Internazionale, componente CRA Umbria Osservatori Arbitrali.

Concludono, il Presidente dell’AIA Carlo Pacifici e Gianluca Rocchi, designatore e responsabile della Commissione Arbitri Nazionale di Serie A e B.

Niccolò Paganini (1782-1840) Moto Perpetuo, op. 11

Antonio Vivaldi (1678-1741) L’Estate op. 8

Intervento finale del Maestro Stefano Mhanna

Presentano: Anna Simoni e Fabrizio Amadio

Nella rubrica Cara Santa Rita, Maurizia Di Curzio, assistente al servizio di ascolto del Monastero Santa Rita da Cascia, sulle pagine della Rivista Dalle Api alle Rose confida alla santa le vostre Grazie.

Nel numero di luglio-agosto, Maurizia ci racconta la storia di Giulia, una giovane ragazza, a cui le prove della vita non sono mancate. Eppure lei guarda avanti con speranza, forte dell’esempio di Santa Rita che segue come tanti giovani seguono oggi i mille influencer che il mondo digitale ci offre.

La mia storia è un viaggio attraverso le tenebre della malattia e verso la luce della fede e della guarigione

A dicembre 2020 la mia vita è stata sconvolta dall’inatteso: il linfoma di Hodgkin ha fatto il suo ingresso nella mia esistenza, gettando ombre di paura e incertezza sul mio futuro.

Prima di conoscere la natura della mia malattia, ho fatto un sogno, un incontro che ha cambiato tutto: una figura avvolta nella luce mi ha rassicurato dicendo che sarebbe andato tutto bene, ma sarei dovuta entrare 4 volte in ospedale, dettaglio legato ai cicli di terapia. La stessa figura mi invita a recarmi in una chiesa dedicata a Santa Rita e pregare per lei. Capisco così che ci sei tu dietro quella luce e quella voce.

Entrando per la prima volta nella chiesa un dolce odore di rose mi accoglie e avvicinandomi alla cappella, vedo la statua di Santa Rita avvolta in una luce intensa; la stessa luce del sogno. La chiesa di Santa Rita diventa il mio rifugio, nei momenti di sconforto e di bisogno.

Quando finalmente arriva la guarigione, il viaggio a Cascia per ringraziarti di cuore per la tua presenza costante e il tuo amore infinito. Attraverso la preghiera ho imparato che non sono mai sola e che la luce della speranza brilla sempre nel buio.

Prendete la vita tra le mani, non sciupatela

Freschezza, innocenza e purezza trasmette Giulia, una giovane ragazza che testimonia la potenza della fede e della grazia divina. Invita i suoi coetanei ad andare controcorrente, a prendere la vita tra le mani, a non sprecarsi, a non sciupare le proprie risorse; le doti, il tempo, le energie. La vita è eterna. È meravigliosa.

Il cuore non ha un confine, più amore ci metti dentro e più si allarga. Allora, regaliamo gesti d’amore, abbracci, baci, strette di mano, sorrisi, incontriamo le persone, non isoliamoci.

Giulia fa eco a Papa Francesco che invita i giovani “a stare in piedi di fronte alla vita, non seduto sul divano a diventar professionista del digitare compulsivo. Alzati e vai!”.

In un mondo di influencer che condizionano i comportamenti e le scelte di molti, Giulia ne segue solo una; chi le ha mostrato dove risiede la vera bellezza, ovvero nella forza interiore, nella fiducia nella fede divina. La nostra santa non ha altro fine.

SCOPRI DALLE API ALLE ROSE

Partiamo oggi per il nostro viaggio spirituale estivo, alla riscoperta della speranza, per esplorarla anche in vista del Giubileo 2025!

Unisciti a noi! Insieme a Suor Maria Rosa Bernardinis, Priora del Monastero Santa Rita e all’agostiniano Padre Pasquale Cormio, ci proponiamo di ritrovare il significato profondo della speranza cristiana, rinnovando il nostro Spirito e rafforzando la nostra fede.

Siamo fatti per sperare, come per sognare

Tutti coltiviamo motivi di speranza: essere felici, trovare un lavoro, godere un meritato riposo, sistemarci economicamente… In noi è racchiusa la speranza come attesa di un bene, che ci auguriamo si concretizzi nel futuro più immediato. Possiamo paragonarla ai sogni che portiamo nel cuore e che desideriamo diventino realtà. E, sognare è doveroso, così come non spegnere mai i sogni degli altri, soprattutto dei giovani, che hanno tutta una vita davanti.

Eppure, nonostante questa disposizione interiore alla speranzaspesso avvertiamo una forma di sfiducia e di disperazione. Tanto più che quanto accade nel mondo e le notizie che, ogni giorno, riceviamo dai media, tra guerre, femminicidi, gesti di disperazione, incidenti, non aiutano in questo senso.

Abbiamo sete di infinito

Se ci guardiamo intorno, infatti, ci viene da affermare che oggi ci troviamo in un presente che ha perso la speranza. Essa però è essenziale perché ci aiuta ad avere occhi aperti sul futuro, ci dona la forza di essere propositivi, creativi, ci inietta energia. Quando, invece, lasciamo spazio alla disperazione tutto diventa pesante, insostenibile e nei casi estremi si perde la voglia di vivere, di lottare, di costruire. Ci vuole una speranza solida.

E, capiamo allora, che la speranza umana non è sufficiente. Avvertiamo, dunque, il bisogno di una speranza che vada oltre le ristrettezze del nostro tempo, una speranza che si apra a qualcosa di infinito, che non passa. Ogni felicità umana reca con sé il marchio della fine, mentre nel cuore sentiamo una sete di infinito che non possiamo dissetare da soli. Questo infinito, solo il Signore ce lo può donare e solo chi ha saputo accogliere e alimentare la fede nell’amore misericordioso di Dio sa che c’è una speranza che non è come quella del mondo, ma ci viene donata dall’alto.

La vera speranza è ancorata nel Signore

La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino. Ecco perché questa speranza non cede nelle difficoltà: essa si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità, e così permette di andare avanti nella vita.

Sant’Agostino ci ricorda che “in qualunque genere di vita, non si vive senza queste tre propensioni dell’anima: credere, sperare, amare (sermone 198 augm., 2).

L’Amore è nostra garanzia

L’amore di Dio è per noi la garanzia di traguardi di vita e non di morte, è la resistenza ad ogni forma di scoraggiamento, di delusione, di disperazione. Perché, come ci dice San Paolo, niente ci potrà separare dall’amore di Dio in Cristo Gesù, nemmeno il peccato, nemmeno la morte, nemmeno il dolore, la disperazione; perché l’amore di Dio è infinito, immenso, è un amore che è sorgente di vita inesauribile. 

Se viviamo di questa certezza siamo donne e uomini risorti e liberi dalla paura della morte, perché ogni giorno sperimentiamo che Dio è Padre, e se anche dovessimo camminare in una valle oscura, non temeremmo alcun male, perché lui è sempre con noi. 

Questa, è la speranza che dobbiamo cercare, accogliere, custodire, alimentare. Nessun insuccesso te la potrà togliere, nessun fallimento umano la saprà offuscare.

Don Tonino Bello con queste sue parole ci aiuta a scoprire i tratti della speranza cristiana“Nonostante tutto; nonostante la malattia, nonostante la sofferenza, nonostante il pianto. Annunciare la speranza significa anche giudicare gli avvenimenti alla luce della Parola di Dio, e non semplicemente avallarli alla fioca lucerna dei calcoli umani. La comunione con Gesù Cristo, la comunione con i fratelli, il servizio e la convivialità, e infine, la gioia Pasquale: sono questi i segni della speranza”.

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