“Quando si parla di umiltà c’è il rischio di pensare che essere umili significhi riconoscersi in persone incapaci. È importante, invece, unire l’umiltà alla verità per non cadere nel delirio di onnipotenza, ma nemmeno nel disprezzo di sé”. Così esordisce Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del nostro monastero, nell’affrontare questo argomento nel terzo dei 15 Giovedì di Santa Rita, percorso che quest’anno dedichiamo al dal tema della preghiera.
L’etimologia ci dice
che umile deriva dalla parola humus, terra, che ci riporta a quando Dio
plasmò Adamo e poi soffiò nelle sue narici. Siamo uomini fatti di terra,
fragili creature a cui è stato però impresso il soffio vitale di Dio,
che continua a infondere negli uomini il suo Spirito d’amore e di
sapienza.
“Umiltà è quella virtù che ci fa vivere nella verità di noi stessi, permettendoci di riconoscerci creature davanti al Creatore – evidenzia la claustrale – . È riconoscere che tutto ciò che siamo l’abbiamo ricevuto dall’Alto e che siamo un suo meraviglioso prodigio. È l’amore che Dio ha per me, sua creatura che mi rende persona degna di essere amata”.
La preghiera va vissuta con umiltà
“Lo sai che nella preghiera ci viene proprio chiesta la virtù dell’umiltà?”, ci chiede Padre Pasquale Cormio, Rettore del Collegio ‘Santa Monica’ di Roma
“I santi sono nostri educatori su questo aspetto: la persona umile non va confusa con quella umiliata dalla violenza o dalla forza o dal dolore – sottolinea – . È umile chi riconosce di non bastare a se stesso, di aver bisogno di Dio, di essere – come direbbe Agostino –mendicante di Dio. L’umiltà prepara il cuore alla preghiera di supplica, di ringraziamento, di lode a Dio, che dona ogni bene ai suoi figli”.
Gesù ha espresso tutto ciò nella parabola del fariseo e del pubblicano. Il primo, dall’alto della sua superbia, riconosce di fronte a Dio quanto ha fatto in opere di bene e di culto; mette avanti il suo “io” fino al punto di disprezzare chi invece si è macchiato di peccati, come il pubblicano, che, con gli occhi bassi e da lontano, ha solo la forza di supplicare il perdono.
Continua Padre
Cormio: “La preghiera umile non esalta se stessi né ci fa ritenere “giusti” o
“meritevoli” nei confronti di Dio; la preghiera vissuta con umiltà consente di
riconoscere la propria miseria, chiede soccorso, ricerca la luce per lo
spirito, la forza per la volontà, la vittoria sulle passioni. Gli ostacoli più
grossi alla preghiera sono dentro di noi: orgoglio, egoismo, presunzione,
risentimenti, rancori, chiusura e durezza di cuore. Spogliarci di noi stessi attraverso un’invocazione quotidiana di umiltà
è il compito di chi vuol incontrare veramente Dio. Non è un’impresa facile,
ma la preghiera umile è un bene sommo; per ottenerlo vale la pena fare
qualunque sacrificio”.
L’umiltà è la scala per salire a Dio
Agostino, per aver nella sua giovinezza vissuto
sotto l’effetto della ricerca continua delle lodi, delle gratificazioni
personali, degli amori e delle ricchezze, ha saputo riconoscere la natura
perversa della superbia, che guasta anche le opere buone, e la natura semplice
e genuina dell’umiltà, che non esige altro se non di ammettere quello che noi
siamo: creature che hanno ricevuto tutto da Dio e che di proprio non hanno se
non il limite e il peccato.
“Per Agostino la conversione si è compiuta quando ha incontrato Cristo umile, il Figlio di Dio che si fa uomo e come uomo è disprezzato fino a morire in croce per tutti i peccatori – conclude il padre agostiniano. L’umiltà, quindi non è più derisione, ma la scala per salire a Dio. Per raggiungere simili traguardi, però, non c’è che una via profonda: l’umiltà del cuore”.
“Per salire in alto bisogna infatti partire dal basso. Nessuno può costruire una fabbrica alta se prima non ha impiantato in basso le fondamenta. Io lo so, lo riconosco: non c’è alcuno tra voi che non desideri l’immortalità, l’eterna gloria e di avere l’amicizia con Dio”
(discorso 20/A,
8)
L’esempio di Santa Rita
“Quanto grande doveva essere l’umiltà di Santa Rita che riesce ad ottenere così grandi grazie, tanto che è denominata la santa degli impossibili?”, conclude Suor Maria Rosa.
Nel turbine della quotidianità, spesso ci troviamo immersi in una frenesia che ci porta a vivere gli eventi uno dietro l’altro, riuscendo con fatica a trovare un collegamento tra di essi. Tuttavia, è importante riflettere su una prospettiva diversa, in cui la quotidianità viene vissuta come una forma di preghiera, una prospettiva che la nostra amata Rita ci invita ad abbracciare.
È quanto ci ricorda Suor M. Lucia Solera OSA,
superiora della comunità agostiniana di Rossano Calabro, in provincia
di Cosenza, nella sua rubrica Tracce di Rita contenuta nel numero gennaio-febbraio
2024 della nostra rivista Dalle Api alle
Rose e che andiamo ad approfondire.
Una riflessione che ben si inserisce nel percorso dei 15
Giovedì, quest’anno dedicato alla preghiera.
La sacralità del quotidiano
La preghiera, ci ricorda Rita, non dovrebbe essere vista
come un’attività separata dalla nostra esistenza, bensì come un atteggiamento
di profonda attenzione verso tutto
ciò che ci circonda, proprio come fece Gesù nei suoi insegnamenti evangelici.
Dal momento in cui ci alziamo al mattino fino a quando chiudiamo gli occhi per
dormire, ogni gesto, ogni azione è
intrisa di sacralità, poiché è permeata dalla presenza di Dio.
“Tutto, ma davvero tutto ciò che compone la nostra esistenza è sacro, cioè abitato dalla presenza di Dio – scrive Suor Lucia- Da parte nostra, non occorre tanto sottolineare questa verità attraverso, ad esempio, la ripetizione di giaculatorie o formule di preghiera; ci è chiesto, piuttosto, di avere occhi per questa sacralità in cui siamo immersi. Ecco il nostro compito: sentire e dare alle cose quello che le cose già hanno, ma che il nostro peccato ha loro tolto: la sacralità. Recuperare la trasparenza del cuore, perché tutte le cose veramente manifestino Dio e ci comunichino Lui. Questo è il clima che prepara e introduce a conoscere la paternità di Dio verso di noi”.
Imparare a coltivare l’attenzione del cuore come Rita
La vita di Rita stessa è stata un esempio di questa
consapevolezza spirituale. Crescendo come moglie e madre, ha imparato a
riconoscere la presenza di Dio in ogni aspetto della sua esistenza. Il suo
cammino di santità è stato caratterizzato da una profonda attenzione al divino
nel quotidiano.
Evidenzia la claustrale: “Rita diventerà l’umile santa di Cascia, configurata alla Passione di Cristo, attraverso un’intera vita in cui lei progressivamente cresce proprio così: sentendo la presenza di Dio attraverso tutte le cose. Il quotidiano vissuto come visita di Dio. E questo, sin dagli anni della sua giovinezza, come sposa e madre. È questa sorta di attenzione del cuore che dona unità al vivere, lo riscatta dalla dispersione, raccoglie ogni frammento e lo riconosce significativo, senza buttare via nulla”. Secondo Suor Lucia, anche noi, in un’epoca in cui c’è minore “dimestichezza nel vivere come religiosi gesti anche molto semplici, ordinari”. Possiamo coltivare l’attenzione del cuore, crescendo nella relazione con il Signore.
Vuoi saperne di più?
La via giusta per cercare il Signore è la sollecitudine del mattino, perché la tiepidezza mai l’ha trovato… Cercare Cristo al mattino significa preferire lui a tutti i pensieri e i ragionamenti. Sempre verrà trovato, se niente viene cercato prima di lui o all’infuori di lui.
Beato Simone Fidati da Cascia
Oggi ricorre la festa di Simone Fidati da Cascia, predicatore agostiniano che, con Santa Rita e la Beata Fasce, è una guida preziosa dello Spirito!
Lo celebriamo con questa sua frase, con cui ci invita a dare la priorità al Signore nelle nostre vite e a non lasciarlo per ultimo nella lista di cose da fare!
Dedicarti alla ricerca spirituale e alla connessione con Cristo, vuol dire impegnarti a mettere la sua presenza e la sua guida al di sopra di tutte le altre questioni e preoccupazioni. Perché, come sottolinea il beato, la tiepidezza ovvero un impegno senza forza e senza sforzi non porterà mai alla vera esperienza di Cristo, suggerendo invece l’importanza di un impegno genuino e completo.
La vita di Simone: tutto di Dio e per Dio
Con tutta la sua storia, il Beato Fidati testimonia il suo coraggio e il suo impegno nel ricercare il Signore.
Simone nasce a Cascia alla fine del XIII secolo, dalla nobile famiglia Fidati. Giovane ventenne, dopo l’incontro con il famoso asceta Angelo Clareno, abbandona gli studi filosofici e storici ed entra nell’Ordine di S. Agostino (presente a Cascia dal 1256), dedicando tutto se stesso a Dio e alle cose di Dio.
I suoi biografi raccontano che un giorno gli apparve Gesù, che lo invitò a bere dal calice che gli porgeva. Ordinato sacerdote, Simone si dedicò instancabilmente alla predicazione del Vangelo, per tutto il centro Italia.
Simone Fidati fu un grande teologo e scrittore. L’opera principale è il “De gestis Domini Salvatoris”, monumentale commento al Vangelo in 15 libri. Numerose, sono le lettere del Beato a noi pervenute, che documentano la sua attività di direttore spirituale. Scrisse anche il primo catechismo per adulti in italiano: “Ordine della vita cristiana” (Firenze, 1333). È questa, un’opera molto importante nella storia della letteratura italiana, perché considerata una delle fonti della nostra lingua.
Simone morì di peste il 2 febbraio 1348. Dal 1361, le sue spoglie sono conservate a Cascia. Dal 1954, si conservano nella Basilica Inferiore, nell’abside di destra, dove si venera anche il “Miracolo Eucaristico” che è uno dei più grandi eventi della sua vita sacerdotale.
Il culto del Beato Simone ebbe inizio molto prima della sua approvazione, nel 1833, per volere di Papa Gregorio XVI.
“Abbiamo mai camminato di notte sotto un cielo stellato e lo abbiamo fatto quando invece è privo?”
“Per istinto siamo attirati più dal primo perché guardiamo in alto, provando pace e gioia nel cuore mentre quando camminiamo nel buio, senza punti di riferimento, sentiamo tristezza e smarrimento”. Continuiamo il nostro percorso attraverso i 15 Giovedì di Santa Rita, che quest’anno è dedicato alla preghiera, con il secondo appuntamento, affrontando il tema del desiderio. E lo facciamo attraverso la voce di Suor Maria Rosa Bernadinis, Madre Priora del nostro monastero.
Secondo la claustrale,
“il desiderio, che significa assenza di
stelle, è come il radar che ci guida per non perdere la rotta in caso di
nebbia. Ci sono momenti in cui ci sembra di camminare tentoni nel buio e
tutto sia contro di noi. Il desiderio è quella tensione che alimenta la fede,
nella certezza che dietro le nubi, la nebbia, che ostacola la visione delle
stelle, esse ci siano ancora. Perché siamo certi di essere amati da Dio”.
“Accade che nella
preghiera talvolta non sentiamo fervore; a volte proviamo anche stanchezza –
evidenzia Suor Maria Rosa – siamo distratti da tante preoccupazioni, ma se desideriamo di stare con il Signore,
Lui ci raggiungerà quando me ce lo aspettiamo, o meglio ci accorgeremo di stare
alla Sua presenza. Quante cose
cambierebbero nella nostra vita di credenti! Se ci lasciassimo guidare da
questa luce; non saremmo sopraffatti da nessun turbamento”.
Trasformiamo la giornata in un’intima conversazione con Dio
L’evangelista San Luca ci trasmette l’insegnamento di Gesù, che invita a pregare sempre, senza stancarsi; allo stesso modo l’apostolo san Paolo esorta i cristiani a pregare incessantemente, notte e giorno.
Ci chiede Padre Pasquale Cormio, Rettore del Collegio ‘Santa Monica’ di Roma. “Siamo di fronte ad un’indicazione da eseguire alla lettera, trascorrendo tutto il giorno in preghiera, senza fare altra attività? Oppure è un invito a trasformare la giornata in una continua e intima conversazione con Dio, in modo tale che la preghiera non sia un momento isolato, come una parentesi che si apre e si chiude?”
Il nostro desiderio è la nostra preghiera
Agostino ha legato l’insistenza della preghiera
al tema del desiderio. Egli si chiede: come comprendere quel pregare
incessantemente e senza stancarsi, che il Signore ha raccomandato ai discepoli?
Agostino scrive:
«Il tuo desiderio è la tua preghiera: se continuo il desiderio, continua è la preghiera»
Commento al salmo 37, 14
Continua il Padre: “La preghiera non è semplicemente un fatto di parole o di formule da ripetere, ma riguarda la sfera affettiva. In una lettera indirizzata alla matrona Proba, Agostino ricorda che solo quando sarà sorto nel suo animo il bisogno profondo di Dio, allora la preghiera fiorirà sulle sue labbra”
L’insistenza nella preghiera serve a dilatare le capacità spirituali del cuore dell’uomo. Ma Agostino ci svela che tanti sono i desideri che cercano di accaparrarsi il cuore dell’uomo:
«Uno desidera l’oro, un altro l’argento, un altro ancora desidera le proprietà, un altro l’eredità, un altro denari in abbondanza, un altro una casa grande, un altro la moglie, uno gli onori terreni, e un altro ancora dei figli. Voi sapete di questi desideri e come essi sono nel cuore degli uomini. Tutti gli uomini ardono dal desiderio; ma quanto è difficile trovare uno che dica: Di te, Signore, l’anima mia ha avuto sete!»
Commento al salmo 62, 5
Secondo il padre, “Vi è infatti un desiderio sano di Dio, l’unico degno di essere ricercato con continuità, e un desiderio disordinato, proprio dell’uomo che, in quanto limitato ed inappagato, è mosso dallo stimolo di soddisfare ogni piacere terreno. Il desiderio di Dio, invece, spinge al bene ed assicura una pace interiore. La preghiera, infatti, fa crescere in noi la scintilla dell’amore fraterno, ci aiuta a riporre la fiducia in Dio, che sa cosa dare e cosa togliere alla nostra vita”.
L’esempio di Santa Rita
Santa Rita ha
attraversato anche lei momenti bui (i mistici parlano di notte oscura), ma il
suo desiderio di restare unita a Gesù, nonostante tutto, è stato la sua forza
vincente. Si è fidata di Dio, ha creduto
nel Suo amore.
Ci esorta la Madre Priora: “Possiamo così chiedere a Lei che interceda per noi, affinché restiamo ancorati a questa luce e non si affievolisca mai il desiderio di stare con Dio sempre”.
Oggi con il “mercoledì delle ceneri” parte per noi cristiani il cammino di fede verso la celebrazione della Pasqua. Ci accompagnano le riflessioni di Padre Pietro Bellini, dei padri agostiniani di Cascia.
Ci attende la risurrezione, di anima e corpo
Con la risurrezione di Gesù la sorte di tutta l’umanità è cambiata per sempre. Perché, come è avvenuto in Gesù, anche tutti noi risorgeremo nel nostro proprio corpo. La morte non è più l’ultima parola, la fine di tutto, il niente assoluto… ci attende la risurrezione e con essa la vita eterna, sia del corpo che dell’anima.
Il mercoledì delle ceneri è il primo di 40 giorni (quaresima), nei quali, partendo dall’asserto assoluto che prima o poi il nostro corpo morirà a questa vita (ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai) ci avviciniamo progressivamente, alla luce della Parola di Dio, all’evento della Pasqua di risurrezione di Gesù, che è la garanzia anche della nostra risurrezione personale.
Siamo gli atleti di Cristo: alleniamoci!
Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile
Dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi 9, 24-25
Questo cammino l’apostolo S. Paolo lo paragona alla corsa dell’atleta nello stadio. L’atleta corre per arrivare primo o tra i primi. Per ottenere ciò deve fare due cose: osservare una dieta ferrea; allenarsi ogni giorno nella corsa, con grande costanza e sacrificio.
Il cristiano è l’atleta di Cristo, e deve fare lo stesso allenamento, per arrivare alla Pasqua con frutto:
- “Digiunare”, cioè non affogare la mente, il cuore e il corpo nell’ingordigia, nell’abbuffarsi, nella frenesia dei sensi (gioco d’azzardo, violenze, volgarità, droghe, sesso…).
Il tempo e il danaro risparmiati siano utilizzati per aiutare chi ne ha bisogno.
- Allenarsi con la Parola di Dio, per imparare le vie del Signore, leggendo ogni giorno un passo del Vangelo (4-5 righe) e ripensarci durante il giorno.
In tal modo, fra 40 giorni, celebreremo la Pasqua con la pace e la gioia nel cuore, in pace con gli altri, e la nostra esistenza sperimenterà una nuova primavera.
Buon cammino!
“A ognuno di noi il Signore dà dei doni che ci permettono di realizzare qui in Terra il piano che lo stesso Dio ha per ciascuno e, una volta in Cielo, di costruire al Suo fianco un’eternità di gioia e pace. Ad Angelo Gentili, amico e medico delle nostre comunità agostiniane di Cascia, il Signore ha dato molti bei doni e siamo certe che anche lassù, dov’è arrivato lo scorso agosto, il dottore li stia facendo diventare buoni frutti”.
Comincia così il ricordo che, nel primo numero 2024 di Dalle Api alle Rose, le nostre monache hanno voluto dedicare ad Angelo, “uomo semplice dal cuore grande”, prematuramente scomparso a causa di un incidente lo scorso agosto. Un caro amico che manca a tutti noi e a cui diciamo grazie anche per averci lasciato in eredità sua figlia Rita, storica collaboratrice nonché colonna della nostra rivista.
Il medico
“Come dottore, Angelo Gentili ha
dato e contato molto per tanti e per l’intera zona tra Cascia, Norcia e oltre –
ricordano le consorelle – La sua disponibilità non si è mai spenta, neppure con
la pensione. Molte persone sono passate “sotto le sue mani” e ad alcune il suo intervento ha dato o
salvato letteralmente la vita”.
Di seguito il ricordo del medico Valentino Cariani, cardiologo di Cascia, che con lui ha lavorato per anni:
“Per me è stato più che un
fratello. Aveva una marcia in più, professionalmente e umanamente, un medico e
una persona davvero speciale. Negli anni ’80 e ’90 viaggiavamo giorno e notte
per le urgenze di qualsiasi livello e abbiamo affrontato tanti interventi e
parti, anche molto difficili. In sala operatoria spesso non c’erano speranze,
soprattutto per alcuni cesarei complessi, eppure molte volte ce l’abbiamo fatta”.
L’amico
“Angelo era uno che c’era per gli altri e, soprattutto oggi, non è poco”,
scrivono le consorelle.
“Per me e per la nostra famiglia – dice Gianfranco Flammini, suo vicino di casa a Cascia – Angelo era il vero amico, uno così completo e altruista non l’ho mai conosciuto. Era di famiglia, un confidente. Abbiamo condiviso lunghe chiacchierate, battute, confronti sui temi della vita, anche le sue barzellette che non sempre facevano davvero ridere! Si rendeva umano con chiunque, pure se gli costava sacrificio, perché voleva dire raggiungere chi aveva bisogno anche di notte”.
Il suo primo amore? La terra, quella da cui era nato, figlio di
contadini, quella a cui tornava ogni giorno, tanto che Gianfranco lo definisce “il
chirurgo-contadino, perché il contadino non è rimasto sopito anche quando
esercitava la sua importante missione nella sanità”.
Il politico
Il suo impegno, da uomo di
sinistra, lo ha visto attivo anche politicamente, tanto che dal 1999 al 2004 ha
ricoperto la carica di vicesindaco del Comune di Cascia.
“Sembrava ruvido ma era un uomo di una sensibilità straordinaria, soprattutto per le tematiche sociali e sulla disabilità, e proprio su questo mi ha insegnato molto”, così lo ricorda Gino Emili, storico sindaco della città che era al suo fianco in quegli anni e, anche successivamente.
“Parlando in amministrazione, gli piaceva
accendere il confronto, discutere, dire la sua, ma essendo sempre disponibile a
trovare insieme la soluzione”, continua Gino, sottolineando come gli anni della
sua amministrazione siano stati quelli della difesa dei servizi sanitari e “quando
c’è stata la trasformazione del vecchio
ospedale in centro di riabilitazione lui è stato il primo a mettersi in
gioco e ad avviare il reparto, che oggi
è un’eccellenza”.
Ai cari di Angelo rinnoviamo la vicinanza e l’abbraccio delle nostre monache della Comunità dei Padri Agostiniani, della Redazione di Dalle Api alle Rose, per della Fondazione Santa Rita da Cascia e della Pia Unione Santa Rita.
Vuoi saperne di più?
“La prima cura è la vicinanza, ci ricorda il Papa per la Giornata Mondiale del Malato. Facciamo nostro il suo messaggio concretizzandolo nella Casa di Santa Rita, baluardo contro la solitudine dei malati, quelli che all’Ospedale di Cascia, polo d’eccellenza nazionale per la riabilitazione, affrontano lunghe cure lontani dagli affetti. Dopo l’avvio dei lavori a settembre 2022 e nonostante alcuni rallentamenti burocratici, abbiamo compiuto il passo decisivo con l’installazione della scala d’ingresso, che ci permetterà presto di dare vita a una roccaforte dei legami umani dove accogliere le famiglie dei malati, perché solo nella condivisione la sofferenza si trasforma in cammino collettivo di speranza e guarigione”.
Così Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia e Presidente della Fondazione Santa Rita da Cascia ets, trasmette la felicità provata nel visitare il cantiere della Casa di Santa Rita per la messa in opera della scala: l’operazione più complessa da realizzare, che ora garantirà la ristrutturazione interna e poi un ingresso separato agli ospiti, senza interferire con le attività sanitarie.
Un progetto nato dall’ascolto dei bisogni dei malati e delle loro famiglie
“Il nostro progetto, sostenuto dalla generosità di molte persone – continua l’agostiniana – nasce come risposta a un bisogno condiviso dalle famiglie e dai malati, soprattutto quanti non hanno possibilità economiche per restare uniti durante le cure a Cascia, lontani da casa. Un bisogno colto quando dopo il sisma 2016 abbiamo ospitato l’ospedale in un edificio del monastero, riqualificato per l’uso.
Nell’ala nord di questa struttura da subito abbiamo sognato di creare un luogo dove i malati possano sempre contare sull’abbraccio di chi li supporta. Un luogo che continuerà a dare il suo contributo anche quando l’Ospedale di Cascia si trasferirà nel nuovo polo, in ricostruzione da maggio 2023.
Il nostro sogno, oggi più vicino a realizzarsi, sorgerà nel cuore della terra di Santa Rita che, da stigmatizzata, è esempio di come essere forti non vuol dire affrontare la malattia da soli, ma portare la croce insieme. A tutti, Rita ricorda che forza significa compassione, per soffrire con chi soffre e soccorrere da ogni dolore”.
Cos’è la Casa di Santa Rita?
È un progetto del Monastero, per la realizzazione del quale la Fondazione Santa Rita da Cascia ets ha accantonato 288mila euro, grazie all’aiuto di tanti donatori che, in particolare per la Festa di Santa Rita 2022, hanno sostenuto la missione. A dicembre 2023, sono stati erogati i primi 141 mila euro a copertura delle spese per l’allestimento della scala.
Il progetto prevede la ristrutturazione di un appartamento di 237 metri quadrati all’interno dell’attuale Ospedale di Cascia, ospitato dal sisma 2016 in una struttura del monastero, per accogliere le famiglie dei pazienti ricoverati, provenienti da tutt’Italia, che non possono permettersi di sostenere spese prolungate in albergo o affitto.
Le monache di Santa Rita hanno incaricato la Fondazione di raccogliere i fondi necessari alla creazione di un luogo dove famiglie e caregiver potessero restare accanto ai propri cari, affetti da malattie neurodegenerative o ricoverati a causa di traumi cranici, che richiedono tempo per la riabilitazione, anche tre mesi.
Nella Casa di Santa Rita nasceranno 7 camere con bagno privato, una sala da pranzo comune con angolo cottura, una lavanderia e un ripostiglio. Una vera seconda casa, dove assistere con la forza dell’amore i malati, in totale serenità.
Gli eventi a Cascia per la Giornata del Malato
Domenica 11 febbraio la Basilica di Santa Rita dedica degli appuntamenti speciali ai malati, accolti dalle 14:00.
Seguono il Santo Rosario alle 14:30, la Santa Messa con unzione alle 15:00 e l’ingresso all’urna che custodisce il corpo della santa.
Nel primo dei nostri 15 Giovedì di Santa Rita, quest’anno dedicati al tema della preghiera, riflettiamo sul bisogno che l’uomo ne ha, a partire dal suo cuore inquieto. Lo facciamo con Suor Maria Rosa Bernardinis,Madre Priora del nostro monastero, e Padre Pasquale Cormio, Rettore del Collegio ‘Santa Monica’ di Roma.
“Il mondo di oggi ci offre tante possibilità, pensiamo ad esempio l’invenzione geniale della tecnologia – esordisce la Madre – Che cosa stupenda! Basta mettere la mano in tasca e, prendendo lo smartphone, possiamo scattare foto, filmare, guardare le ultime notizie, vedere un film, mandare messaggi a tutta la famiglia. Possiamo controllare casa, accendere il forno a distanza, mettere l’allarme, metterci in viaggio per vie sconosciute. Per non parlare della simpaticissima Alexa, “coinquilina” così efficiente nell’eseguire i nostri comandi”.
Eppure, sottolinea la claustrale “non esiste strumento tecnologico che possa metterci in contatto con noi stessi, con la verità del nostro cuore. Questa chiave appartiene solo a noi e questo viaggio possiamo percorrerlo solo noi. Non c’è scuola guida che ci possa insegnare. È solo la nostra esperienza e la nostra personalissima ricerca che ci mette in contatto con la nostra verità. Ogni conoscenza va vagliata dentro di noi e solo nella sincera risonanza interiore possiamo comprendere la verità. Possiamo leggere tanti libri, sapere tante cose, ma non avere un contatto sincero
con noi stessi”.
Nel cuore dell’uomo vi è un vuoto che non può essere colmato se non da Dio
Nel Vangelo di Luca la preghiera precede le
scelte decisive di Gesù: egli si intrattiene in un colloquio intimo e fiducioso
con il Padre per tutta la notte e al nuovo giorno mette in atto le decisioni
prese. Vedendo tutto ciò, anche i discepoli sono afferrati dal desiderio di
sperimentare questa vicinanza con Dio e chiedono al Maestro:
“Signore, insegnaci a pregare!”
(Lc 11,1)
Spiega Padre Cormio: “La richiesta svela una prima verità su noi stessi: non sappiamo come pregare. Non si tratta solo di recitare delle formule, ma di imparare, come Gesù, a dialogare con il Padre, per riconoscere la sua volontà buona per ciascuno di noi. La richiesta dei discepoli dimostra un’altra condizione umana: sentiamo un qualche bisogno di entrare in un rapporto di amicizia con Dio. La preghiera è la prova che non riusciamo a bastare a noi stessi: per quanto siano grandi siano le capacità intellettuali, per quanto abbondanti siano i beni materiali, per quanto sia soddisfacente il livello di benessere raggiunto, vi è nel cuore dell’uomo uno spazio o un vuoto che non può essere colmato se non da Dio. La preghiera ci aiuta ad interrogarci sul senso della nostra esistenza, che rimane oscuro e sconfortante, se non entra in rapporto con Dio e con la sua volontà per ogni uomo”.
Pregare non è un obbligo, ma un bisogno
“Solo chi è consapevole di questo “spazio vuoto” può domandare al Signore la grazia di essere ricolmo della sua presenza – commenta il Padre – Per Agostino l’uomo è una creatura capace di Dio: la “capacità” non è legata ad una semplice conoscenza di Dio, ma all’esperienza di Dio, che dona stabilità, senso, pienezza, gioia. L’uomo è come un recipiente che deve contenere Dio: ma per raggiungere questo scopo, prima deve svuotarsi di sé, delle sue paure, delle passioni che lo affliggono, dell’amore egoistico”
«Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, perché si presenti adatto ad accogliere Dio»
(Sant’Agostino, Commento alla Prima Lettera di san Giovanni 4, 6)
Conclude il Padre: “Abbiamo bisogno di pregare, non per soddisfare un obbligo che ci è stato trasmesso ai tempi del catechismo; è un bisogno per la qualità della nostra vita, alla pari del bisogno dell’aria che ci tiene in vita”.
L’esempio di Santa Rita
“Quanto sono importanti le nostre delusioni, le insoddisfazioni, i nostri inevitabili fallimenti – interviene la Madre – Questo vuoto che fa capolino in molti modi, che nessun rapporto può colmare, nessun amore umano può riempire è la porta che ci apre all’infinito”.
Secondo la claustrale, imparare a pregare significa anche imitare Santa Rita quando saliva allo scoglio di Roccaporena con il cuore a pezzi, “senza fuggire dal dolore, senza cercare di narcotizzarlo, di soffocarlo come facciamo noi cercando ogni genere di compensazioni, lei ci entrava dentro e si apriva all’infinito amore di Dio alimentando la fiducia nella sua onnipotente provvidenza. In ogni dolore Dio era il suo rifugio, la sua salvezza, la sua sola speranza”.
“Cara Santa Rita”. Questo il titolo della nuova rubrica con cui Maurizia Di Curzio, assistente al servizio di ascolto del Monastero, esordisce, nel nuovo anno, sulla nostra storica rivista “Dalle Api alle Rose”. Una rubrica in cui confida le vostre piccole storie di Grazia alla nostra amata santa.
La presenza di Santa Rita, la più grande Grazia
Esordisce Maurizia: “Cara Santa Rita, inizio così, come si rivolgono a te molti dei tuoi devoti. Cara Santa Rita, scrivono come a un’amica presente. E tu lo sei, anche fisicamente, nella gioia e nella disperazione. A volte penso, ma come fai? Come puoi far sentire la tua carezza, il tuo conforto? Non è un mettere in dubbio la tua grandezza in santità, anzi ascoltando e leggendo la passione con cui tanti si rivolgono a te, viene da pensare che la tua presenza sia la più grande Grazia che ottieni per noi oggi”.
Non abbiamo più tempo di dare tempo
L’assistente al servizio di ascolto riflette poi sul fatto che il più grande dramma del nostro mondo super interconnesso è, paradossalmente, la solitudine, riportando alcune storie.
Racconta: “Possiamo essere collegati con persone a mille chilometri, eppure ciascuno di noi è solo con se stesso; ha nel cuore un senso di vuoto e abbandono. In questo mondo super interconnesso si soffre di solitudine, dramma dei nostri tempi. È un paradosso ma è la realtà. Non abbiamo più tempo di dare tempo, viviamo come treni che sfrecciano verso mille cose da fare, perché bisogna essere qualcuno, farsi un nome. Questo ci rende concentrati su noi stessi, sull’essere sempre perfetti”.
“È triste sentir dire da una mamma che il figlio ha tempo per portare a spasso il cane ma non per andare a trovarla – continua Maurizia, raccontando una delle migliaia di storie da lei ascoltate – Ma la saggezza di questa mamma la porta, con amore incondizionato per il figlio, a pregare, perché sa che la preghiera è la vittoria al suo sentirsi sola e dice: ‘Ho Santa Rita con me e lei non mi lascia mai'”
Imparare ad aprire il cuore all’ascolto
Da Santa Rita, secondo l’assistente al servizio di ascolto, dovremmo appunto imparare “a esserci, ad aprire il cuore all’ascolto, abbiamo bisogno di parlare, raccontarci in fraternità e amicizia, farci irrorare. Di spenderci per l’altro, per chi c’è a fianco”, proprio come Rita ha fatto con la sua famiglia e, rimasta sola, con la cura dei lebbrosi.
Conclude, rivolgendosi direttamente alla santa: “Ancora oggi dal Cielo sai far arrivare il tuo sostegno ai tanti che su questa Terra hanno bisogno di un pizzico di conforto e allegria nel cuore, e, quando la signora Luisa dice, ogni battito di orologio io penso a Santa Rita, conferma quanto sei preziosa e quanto ancora abbiamo da imparare”.
Vuoi saperne di più?
“Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore»; e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani colombi”.
Lc 2,
22-24
Il 2 febbraio di ogni anno, quaranta giorni dopo il Natale, si commemora la presentazione che Maria e Giuseppe fecero di Gesù al tempio. Questo evento è noto nella Chiesa Cattolica come la Candelora, nome derivante dal fatto che al centro delle celebrazioni liturgiche c’è la luce. Per bocca del vecchio Simeone, ispirato dallo Spirito Santo, Gesù viene infatti rivelato al Tempio come la “luce per illuminare le genti” (Lc 2, 32-35).
Nel 1997 San Giovanni Paolo II ha voluto che
questa data diventasse anche la Giornata
della Vita Consacrata, in quanto la presentazione
di Gesù al Tempio è rappresentazione del totale dono di Sé a Dio, soprattutto
per tutti coloro che, osservando i consigli evangelici, sono chiamati a
riprodurre nella Chiesa e nel modo “i
tratti caratteristici di Gesù: vergine, povero e obbediente” (San Giovanni
Paolo II, esortazione apostolica Vita
Consecrata).
Cerchiamo
di comprendere meglio il significato di questa giornata facendoci guidare da Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora
del nostro monastero.
Tutti noi siamo consacrati
Esordisce la claustrale:
“Tutti i Cristiani in forza del
Battesimo sono consacrati per essere, con Gesù, l’unico corpo di Cristo:
Lui il Capo, loro le membra, le quali animate dallo stesso Spirito, portano
avanti nel tempo l’opera da Lui iniziata, annunciando il Regno di Dio e
rendendo testimonianza del Vangelo, divenendo luce e sale della terra. È il
compito di tutta la Chiesa!”
“Fin dall’inizio
della sua missione – continua – , Gesù sceglie però degli uomini che stiano con
Lui per confidare a loro il mistero che
racchiude la sua persona: veramente uomo, veramente Dio; per far conoscere
loro l’amore del Padre che Lui è venuto a comunicare: un amore folle, fino al
dono totale di sé. L’Apostolo Giovanni ha così sintetizzato: Dio è Amore. Conoscerlo è un impegno di
tutta la vita, perché Lui non finisce mai di sorprendere. L’amore è la
sorgente e l’anima di ogni vocazione cristiana, in particolare modo della vita
consacrata”.
Il suo Amore è fedele ed eterno
Ecco dunque che “la
vocazione di speciale consacrazione è un dono
che Dio fa al singolo, per il bene di tutta la Chiesa. Il Chiamato trova in
Gesù la sua ragione di vita. Vuole seguirlo più da vicino e conformarsi al Suo
stile di vita: povero, casto, obbediente al Padre, e tutto ciò nella libertà.
L’amore vero non costringe mai”.
Tale
scelta è però anche un mistero
perché “richiede da parte di chi lo segue un impegno
costante di conversione. Crisi, prove, cadute, delusioni, sofferenze,
incomprensioni, solitudini sono la croce da portare dietro di Lui. Non tutti
riescono a risollevarsi; l’impegno diventa eccessivo; ci può essere un
ripensamento. A chi resta fedele all’amore di Cristo con la fiducia, il Suo
Spirito donerà la serenità e la pace. Anche le cadute, i limiti, le debolezze,
diventeranno occasioni di crescita, di maturità, nella consapevolezza crescente
che il Suo amore non conosce limiti. Aprirà il cuore alla misericordia e lo
renderà solidale con chi cade e non ha la forza di rialzarsi”.
Conclude
la Madre: “Io tutto questo lo so, e ne faccio
esperienza: il Suo Amore è fedele ed eterno!”