“Santa Rita è un’ispirazione per me e per le donne”: una testimonianza dall’America
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
Contemplare e agire: l’impegno civile del cristiano
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
La Pia Unione Primaria Santa Rita si incontra a Milano il 22 settembre
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
“Da Santa Rita con mia mamma nel cuore”
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
Con Dalle Api alle Rose, troviamo un chiostro interiore dove maturare e crescere
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
Viviamo la speranza essendone testimoni oggi
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
Riconquistare la speranza è possibile
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
Come si fa famiglia con Dio?
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
Un martire vivente dalla Santa degli Impossibili
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
La Beata Fasce ha riformato il monastero con l’Amore
Condividi:
facebook
twitter
whatsapp
Continuando a sfogliare insieme il numero di settembre-ottobre della Rivista del Monastero Santa Rita da Cascia, Dalle Api alle Rose, le pagine ci portano alla rubrica Nel Mondo, curata da Rita Gentili, che accoglie le storie di devozione dall’estero, in questo caso dagli Stati Uniti D’America con la testimonianza di Daniela.
Dalla Sicilia alla California: tanto è lungo il filo di devozione che ci racconta Daniela Miele
Nata a Vittoria, in provincia di Ragusa, 53 anni fa, a diciotto Daniela si trasferisce con la mamma Carolina, il papà Angelo e la sorella Simona dall’altra parte del mondo, in California, dove costruiscono una nuova vita. Non senza difficoltà e non senza la nostalgia di casa, dove è rimasto e vive tutt’ora il fratello Gaetano. A 21 anni, Daniela ha la fortuna – così la definisce la donna – di conoscere l’amore della sua vita, Franco, anch’egli di origini italiane ma nato negli Stati Uniti, che sposerà appena un anno dopo. Dall’amore della coppia nasceranno Melissa e Cassandra, 30 e 29 anni, cresciute, racconta Daniela, secondo “le nostre tradizioni e cultura italiane”.
Nella disperazione, si ricorda della santa dei casi impossibili
Fin da piccola, Daniela sente parlare di Santa Rita, la santa dei casi impossibili, ma mai ne approfondisce la storia. Fino al 1995. Mentre partecipa con il marito a una festa di Natale, Franco, che aveva appena aperto il suo studio dentistico, perde conoscenza. Al risveglio è completamente disorientato e lamenta un intorpidimento al lato sinistro della testa.
“Lo abbiamo portato in ospedale – racconta Daniela – fatto esami ma non abbiamo riscontrato alcun problema”. Tornato a casa, Franco continua a lamentarsi dell’intorpidimento e con il passare dei giorni si sente sempre più stanco. Il suo sistema immunitario inizia a cedere e Franco sviluppa una grave infezione. “Era molto frustrante – ricorda Daniela – perché non si riusciva a determinare la causa del malessere. Andò avanti così per mesi, abbiamo perso lo studio aperto da poco e io temevo di perdere mio marito”.
Nella disperazione, Daniela si ricorda della santa dei casi impossibili. “Le ho chiesto di aiutare mio marito e le ho promesso che in segno di devozione e riconoscenza avrei sempre indossato l’abito da suora come il suo il 22 maggio. Dal giorno dopo, letteralmente, mio marito ha cominciato a migliorare”. Sette mesi dopo, Franco era di nuovo a lavoro, come collaboratore presso un altro dentista. Da allora, Daniela ogni 22 maggio indossa l’abito monacale agostiniano.
Nel 2023 ha realizzato il sogno di essere a Cascia per la festa di Rita
Nel 2023 lo ha fatto stando a Cascia: “Ho avuto la fortuna di realizzare il mio sogno di venire a Cascia e partecipare alla processione. Quando sono arrivata e ho visto la Basilica mi sono venute le lacrime. L’emozione che ho provato non la dimenticherò mai: una sensazione travolgente di pace e vicinanza spirituale a Santa Rita. Un pellegrinaggio pieno di incontri con la straordinaria gente di Cascia che, pur non conoscendomi, mi ha accolta e fatto sentire come se la conoscessi da anni”.
Da ormai 28 anni, Daniela non si limita a ringraziare e vivere la sua devozione a Santa Rita ma ne diffonde la conoscenza verso gli altri, specialmente coloro che hanno problemi nella vita e sono spiritualmente persi. “Santa Rita è una ispirazione per me e per tutte le donne del mondo – commenta Daniela. Le prove che ha subìto durante la sua vita ci sembrano insopportabili ma lei, con la sua fede e il suo amore verso Dio, è riuscita a vincere tutto. Prego Santa Rita perché ci aiuti a credere che con Dio tutto è possibile”.
Oggi vogliamo riflettere su un tema importante, un argomento che ci sta molto a cuore, ovvero l’impegno civile di noi cristiani. Da monache di vita contemplativa, riteniamo, infatti, che l’impegno sia una dimensione altrettanto fondamentale della nostra fede, per viverla davvero e in modo concreto. Un impegno che ci spinge a lavorare per il bene comune e a trasformare la società secondo i principi del Vangelo.
Non è una cosa da santi ma una strada per tutti noi
Dice Papa Francesco: «contemplare e agire, ora et labora insegna San Benedetto, sono entrambi necessari nella nostra vita di cristiani» (Udienza generale, 17 aprile 2013). Contemplare e agire. Come ci insegnano i santi, tra cui il nostro amato Sant’Agostino, la cara Santa Rita, la Beata Madre M. Teresa Fasce.
Unire spiritualità a impegno, però, non è una “cosa da santi” e ce lo indicano tanti esempi di uomini e donne più vicini ai nostri tempi. Ognuno di noi può fare, agire nella e per la società, sull’esempio di Gesù Cristo, Primo Modello. È così, che un santo può diventare tale. L’importante, quando siamo al bivio della scelta “dove schierarmi?”, è tenere presente che l’alternativa alla violenza non è la nonviolenza, intesa come semplice negazione della stessa.
Sempre dalla parte della vita, anche se costa fatica
La scelta che abbiamo davanti è tra la violenza e la vita. E la vita ha a che fare con la verità. Sembra banale, chiaro che scegliamo tutti la vita. Nei fatti, però, la storia dell’umanità dimostra che, al momento della decisione, quando si trova davanti a quel bivio, l’uomo sceglie più facilmente la violenza, l’odio, rispetto alla vita e alla verità.
Scegliere la vita e la verità richiede molto lavoro, impegno, perché questi valori presuppongono la solidarietà, il rispetto, la messa in discussione. E soprattutto il coraggio. Sì, perché scegliere la verità e la vita richiede lavoro. Ma, ricordate: «il Signore crocifisso e risorto ci guida; con noi ci sono tanti fratelli e sorelle che nel silenzio e nel nascondimento, nella loro vita di famiglia e di lavoro, nei loro problemi e difficoltà, nelle loro gioie e speranze, vivono quotidianamente la fede e portano, insieme a noi, al mondo la signoria dell’amore di Dio, in Cristo Gesù risorto, asceso al Cielo, avvocato per noi» (Papa Francesco, Udienza generale, 17 aprile 2013).
Santa Rita ha guardato a Cristo
La realtà in cui Rita è vissuta, seppur diversa, non è mai stata più facile di quella in cui noi viviamo. Pensiamo solo che le malattie minacciavano l’esistenza di tutti, soprattutto di quelli che, a causa di una povertà diffusa, non potevano alimentarsi a sufficienza; davanti a queste oggettive difficoltà, come purtroppo capita spesso, invece di fare causa comune a vantaggio di tutti, la popolazione si era divisa in fazioni che, conducendo l’una contro l’altra una sanguinosa guerra, non facevano che aggiungere dolore al dolore.
Davanti a questo quadro, Rita, invece di perdersi d’animo o chiudersi in un universo privato, si è rimboccata le maniche e ha iniziato ad agire con forza per rispondere ai bisogni del suo tempo. La tradizione riferisce della sua premura nel soccorrere gli ammalati e i poveri, e soprattutto davanti alle lotte fratricide, che portarono all’uccisione di suo marito Paolo, reagì invocando e ottenendo perdono reciproco e riconciliazione.
La santità non è mai disimpegno e presa di distanza dalla sofferenza delle persone: questo aveva capito Rita, come tutti gli altri santi del passato e del presente. I Vangeli ci danno la viva rappresentazione del Signore Gesù sensibile alle sofferenze dell’umanità, fino al punto di prendere su di sé, da innocente, il peccato di tutto il mondo: è proprio Lui, il modello per ogni cristiano che voglia davvero amare in modo concreto e operoso, donandosi con gioia e gratuitamente, senza aspettarsi nulla in cambio, se non la dolce consapevolezza di essersi speso nell’imitazione del maestro, il Signore Gesù.
Proseguono gli incontri della Pia Unione Primaria Santa Rita, la grande famiglia di devoti ritiani nata a Cascia ma diffusa in tutta Italia e nel mondo.
Domenica 22 settembre sarà la volta dei gruppi del Nord Italia che si ritroveranno insieme al Santuario di Santa Rita “La Barona” di Milano.
Anche se non sei ancora iscritto, la Pia Unione Santa Rita ti aspetta per vivere una giornata intensa, di fratellanza, preghiera, testimonianze di fede e solidarietà. Tutto nel nome della nostra amata Santa Rita!
Il programma di domenica 22 settembre
Ore 9.00 – Accoglienza
Ore 9.30 – Conferenza di Padre Ludovico Maria Centra, assistente spirituale della PUP. Saluto del responsabile della Fraternità Agostiniana PUP Santa Rita di Abbiate Grasso. Saluto del responsabile e dell’assistente spirituale della PUP di Coccaglio. Testimonianze di fede.
Ore 11.30 – Celebrazione della Santa Messa
Ore 12.30 – Pranzo al sacco o presso ristorante della zona
Ore 15.30 – Visita guidata della Basilica
A conclusione foto di gruppo e saluti.
Per informazioni: Francesco 3389888232 Gennaro 3383961570
Il cuore della Rivista Dalle Api alle Rose, fin dalla sua nascita oltre 100 anni fa, siete sempre voi devoti, con le vostre testimonianze di vita, gioia e fede.
Da anni, con la sua rubrica “Storie dal Santuario“, Marta Ferraro entra nelle vostre storie e ci racconta tutto il vostro amore, come quello di Federica, per la sua mamma Memi e per la nostra Santa Rita!
Un pellegrinaggio speciale
Ascoltando la storia di Federica Tessari di Oristano, ho pensato che sì è proprio vero, un viaggio si vive tre volte, quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi. E anche il suo pellegrinaggio a Cascia non fa eccezione, anzi… Federica è devota a Santa Rita da sempre. Ricorda che la mamma, Maria Rimedia detta Memi, soleva raccontare che quando era bambina, entrando in qualche chiesa, la prima cosa che faceva era cercare l’immagine della santa umbra e ripeteva: “Santa Rita, santa mia”.
Federica è una giovane donna di 38 anni, tuttavia ha già dovuto affrontare tanti dispiaceri e lutti in famiglia. In tenera età ha perso suo padre, scomparso prematuramente a 44 anni. Poi ha dovuto fare i conti con la malattia della mamma, che ha lottato contro il cancro al seno per 16 anni, fino al 2020, quando è mancata. Infine, ha perso la nonna, l’ultimo punto di riferimento a cui poteva appigliarsi.
…era tutto pronto
“Nel 2016 era tutto pronto. Finalmente dopo tanti anni di attesa, eravamo pronte a partire per Cascia. Mamma e io eravamo al settimo cielo per questo pellegrinaggio. Lo avevamo sognato e atteso tanto. Presto avremmo visto la nostra amata Santa Rita. Poi, però, una sera, qualche giorno prima della partenza, al Tg5, il conduttore annunciò che c’era stata una forte scossa di terremoto in Valnerina e non ce la sentimmo più di partire, anche perché tutte le strutture ricettive avevano chiuso. Ci dispiacque molto dover rinunciare al nostro pellegrinaggio, ma nel cuore avevamo la certezza che fosse solo rimandato”. Federica e Memi, non sapevano purtroppo, però, che quel pellegrinaggio tanto atteso, Memi non avrebbe più avuto il tempo di farlo.
Così Federica ha raccontato: “Qualche tempo dopo la scomparsa di mamma, un amico di famiglia mi chiese se volessi accompagnarlo a Foligno, poiché doveva sostenere un concorso. Io risposi che ero disposta a seguirlo, purché avessimo fatto tappa a Cascia. Nel mio cuore non si era mai affievolito il desiderio di andare da Santa Rita, ma prima il terremoto, poi il Covid, sembrava che ogni volta ne succedeva una. Invece, quella volta, il mio amico accettò la proposta e finalmente potei andare a Cascia”.
A Cascia ha pianto tanto, anche di gioia
Federica mi ha raccontato che giunta a destinazione, ha pianto tanto, di dolore ma anche di gioia. E riferendosi alla mamma, ha ricordato: “L’ho portata con me. Ho indossato i suoi abiti, la sua borsa e in qualche modo anche lei è stata lì con me”.
Poi, ha continuato: “Cascia è luogo bellissimo. Un posto che ti dà pace. Lì, si allontanano tutti i pensieri. Ricordo che appena arrivati siamo riusciti anche a fare il passaggio intorno all’Urna della Santa, una cosa che dopo ho saputo che non succede spesso, ma solo in particolari occasioni. Per me è stato molto emozionante. È stato come se Santa Rita mi stesse aspettando!! In quei giorni ho pregato tanto. Le ho affidato la mia mamma. Quel viaggio che dovevamo fare insieme, l’ho fatto con lei nel cuore. Santa Rita mi ha aiutato a non sentirne la mancanza, anzi a sentirla più presente che mai”.
La forza di guardare al futuro con speranza
Quel giorno a Cascia Federica ha affidato a Rita anche tutta la sua famiglia e la sua vita. E da allora si sente sotto la sua protezione. Ha aggiunto: “Mi capitano delle cose belle, che sembrano delle coincidenze, ma io gli do un altro valore. In qualsiasi posto io vada c’è sempre lei, Santa Rita che mi aspetta. Poco tempo dopo essere tornata a casa, poi, ho incontrato un bravo ragazzo, anche credente, che è diventato il mio compagno di vita. Sono sicura che è stata Santa Rita a metterlo sulla mia strada e ora insieme pensiamo di progettare la nostra vita: un regalo di Rita e di mamma, ne sono sicura”.
“E’ tempo di maturare“. Questo è il titolo del numero di settembre-ottobre della Rivista Dalle Api alle Rosedel Monastero Santa Rita da Cascia, che arriverà nei prossimi giorni nelle vostre case.
Noi ve la presentiamo in anteprima, attraverso l’editoriale del direttore, Suor Giacomina Stuani che parlando di maturazione e crescita, ci invita a trovare un “chiostro interiore” dove scoprirci tutti semi chiamati a portare buoni frutti nel mondo.
Esiste anche una maturazione cristiana
L’osservazione dei cicli naturali mi insegna una verità: in natura l’unica costante è il cambiamento, che rivela il compiersi della creazione di Dio. Ogni stagione porta con sé una trasformazione, ogni creatura segue un percorso di nascita, crescita, declino e rinascita. Dinamica che si riflette nella vita spirituale. Esiste, infatti, anche una maturazione cristiana, processo di cambiamento e crescita. È Dio che ci chiama a trasformarci per abbracciare una vita nuova in Cristo. San Paolo dice: “rivestirci dell’uomo nuovo, creato secondo Dio”.
Crescere è possibile anche nel caos del mondo
La vita monastica, col suo ritmo di preghiera, silenzio, lavoro, contemplazione e ascolto, è terreno fertile. Ma crescere è possibile anche nel caos del mondo, perché tutti, attraverso l’ascolto della Parola di Dio, ci apriamo alla Grazia che ci plasma e rinnova… lì per ognuno c’è un ‘chiostro interiore’ dove seminare e maturare. È un processo lento, come quello della natura, ma continuo e certo.
Le Scritture ci insegnano che persino Gesù è cresciuto “in sapienza, età e grazia”: se anche Lui ha sperimentato la trasformazione, tanto più noi siamo chiamati a percorrerla come strada di vita.
Non c’è da aver paura nè fretta
Eppure, molti temono il cambiamento. La paura dell’ignoto e l’incertezza possono sembrare insormontabili. Tuttavia, come mostra la natura, esso è inevitabile e necessario per la crescita. Altri, invece, vogliono veder subito arrivare il raccolto e non godono l’attesa preziosa che comporta. Il tempo che richiede la maturazione è fatto di pazienza, accettando che ogni passo, per quanto piccolo, è parte del disegno divino.
Accogliere il cambiamento con fede e umiltà è fondamentale, anche la nostra Rita ce lo dice, con l’episodio miracoloso della vite, rinata da uno sterpo secco e ancora oggi nostra e vostra compagna in Monastero.
Il cambiamento è segno della presenza di Dio
Vivere in continua conversione, incessante ritorno a Dio, affidandoci alla Sua volontà e accettando le trasformazioni che opera in noi e attraverso noi: così raggiungiamo pienezza e maturità spirituale, riflettendo l’amore e la bellezza del nostro Creatore.
Vediamo, allora, tutta la nostra esistenza come occasione di maturazione, senza temere e senza fretta, perché il cambiamento è segno della presenza di Dio nelle nostre vite e il tempo di Dio è l’infinito.
Oggi, nel giorno della solennità del nostro Santo Padre Agostino, arriviamo all’ultima tappa del cammino spirituale estivo dedicato alla speranza.
In queste settimane del mese di agosto, grazie a Suor Maria Rosa Bernardinis, Priora del Monastero Santa Rita da Cascia, e all’agostiniano Padre Pasquale Cormio, abbiamo indagato le fondamenta della speranza, abbiamo visto come non perderla, come riacquistarla e come essa sia un motore immancabile e prezioso per la vita cristiana! Un motore di cui ognuno di noi è un ingranaggio… scopriamo perchè…
Siamo chiamati ad essere testimoni di speranza!
Papa Francesco ci ricorda che «il cristiano non è un profeta di sventura», ma un missionario di speranza. Il testimone è una sorta di “narratore della speranza”: perché proclami le opere meravigliose di Dio che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce (1Pt 2, 9). Questo è il “racconto della speranza”: riconoscere e proclamare le opere eccellenti di Dio.
Ma, il vero testimone non è solo chi parla diffondendo pensieri ricchi di speranza, ma colui che per primo la vive. Lo vediamo nell’esempio degli apostoli. Il cuore della loro testimonianza è la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, senza la quale il Vangelo sarebbe solo un libro edificante e consolatorio, e non un annuncio di vita e di speranza oltre la morte. Per il dono dello Spirito Santo, gli apostoli non hanno solo una notizia da diffondere, ma sono rinnovati interiormente.
Discepoli di Gesù anche oggi
«Gesù non vuole discepoli capaci solo di ripetere formule imparate a memoria. Vuole testimoni: persone che propagano speranza con il loro modo di accogliere, di sorridere, di amare. Soprattutto di amare: perché la forza della risurrezione rende i cristiani capaci di amare anche quando l’amore pare aver smarrito le sue ragioni» (Papa Francesco). Ed ecco delineato dal nostro pontefice il ritratto del discepolo di Gesù: «Il vero cristiano è così: non lamentoso e arrabbiato, ma convinto, per la forza della risurrezione, che nessun male è infinito, nessuna notte è senza termine, nessun uomo è definitivamente sbagliato, nessun odio è invincibile dall’amore».
Con i piedi nell’oggi ma con le mani al Cielo
Se la speranza è posta da parte si corre il pericolo di vivere alla giornata, senza un progetto, un orientamento per il futuro ed una stabilità di valori nella propria vita. In assenza della speranza non vi è nulla di stabile nell’ordine dei valori: si vive all’ombra del relativismo, senza un punto centrale nella nostra vita, si prova un senso di scoraggiamento e di rassegnazione. E ci diciamo che ormai abbiamo tentato tutte le strade, che le cose non possono cambiare, che sarà il caso di arrenderci…
Vivere nella speranza, invece, significa collocarci tra il già e il non ancora, tenendo i piedi piantati nella storia e le mani protese verso l’alto: l’attesa del futuro di gloria ci rende prezioso il presente e ci impegna a trasformare la nostra vita.
Vivere ancorati nella speranza permette di fare sempre scelte di vita e non di morte, perché si vive nella certezza che la morte è stata sconfitta con il sacrificio di Cristo e ogni dolore è solo un passaggio obbligatorio per sperimentare le tante risurrezioni.
Il nostro è il Dio della vita, non ama la morte. Sì, non ha voluto toglierci il dolore, però si è impegnato a starci vicino, a non lasciarci da soli. Lui è la nostra ancora di salvezza. E noi siamo chiamati a essere testimoni contagiosi di speranza. Con semplicità nel nostro ambiente quotidiano. Aprendoci alla vita di ogni giorno con semplicità e fiducia, anche nelle situazioni più difficili, con gioia anche nella fatica e monotonia.
Uno sguardo attento affettuoso, un sorriso, una confidenza per creare amicizia e riallacciare rapporti interrotti. Siamo tutti figli dello stesso Padre, tutti amati e attesi. Nella mente e nel cuore il ricordo costante del cielo come meta, come patria, come vera casa.
Non facciamoci rubare la speranza
Rivolgendosi ai giovani, subito dopo la sua elezione a pontefice, Papa Francesco ha formulato un accorato appello, ancora valido per tutti e che vogliamo ripetere: «Per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù».
Sia per noi ogni giorno l’occasione di pregare con le parole del salmo 70: Sei tu, mio Signore, la mia speranza, la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza.
Grazie per essere stati con noi in questo percorso. Se state rientrando a lavoro o alla routine dopo la pausa estiva, ci auguriamo che le nostre riflessioni sulla speranza vi facciano ripartire con una marcia in più!
Nel nostro viaggio spirituale estivo alla riscoperta della speranza, anche in vista del Giubileo 2025, giungiamo alla quarta tappa del percorso.
Suor Maria Rosa Bernardinis, Priora del Monastero Santa Rita da Cascia, e l’agostiniano Padre Pasquale Cormio, al timone di questo viaggio, nei precedenti appuntamenti hanno riflettuto sulla vera speranza, fondata sulla fede nella resurrezione e ci hanno messo in guardia dai comportamenti che ci posso portare, invece, a disperare.
Oggi, insieme a loro, vediamo come fare di nuovo nostra la speranza se l’abbiamo persa.
La preghiera è una delle nostre alleate
Tutto parte dal presupposto che riconoscere di aver perso la speranza, rendersi conto che è la forza intrinseca della vita, e desiderare di riacquistarla, è già un dono della grazia di Dio.
Papa Benedetto XVI ha presentato alcuni “luoghi” di apprendimento e di sviluppo della speranza. Il primo è la preghiera: “Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare” (Spe salvi 32).
La preghiera genera speranza: anche la solitudine umana può essere colmata dalla certezza che Dio ascolta ed esaudisce. Chi prega, non è mai totalmente solo. Ci spogliamo di tanti desideri e speranze, non sempre fondamentali, per imparare a chiedere a Dio che cosa a Lui è gradito, così da diventare capaci di servire i fratelli e le sorelle. Se siamo a corto di speranza, una semplice invocazione di aiuto: Signore, aiutami! Signore, salvami! Signore, ti prego per questa circostanza… diviene esercizio necessario.
La sofferenza è la seconda via
Il secondo “luogo” di apprendimento della speranza è la sofferenza. Non è “la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore” (Spe salvi 37).
La sofferenza è parte dell’esistenza umana, non potrà mai essere eliminata dal mondo, ma può essere ridotta nel suo carico. Ma quale sofferenza ha la capacità di redimere ovvero liberare il cristiano? Dopo che Cristo è entrato nell’inferno della malvagità umana, e morendo sulla croce ha redento gli uomini, la sofferenza è redentrice per sé e per gli altri. Santa Rita e la Beata Teresa Fasce sono un esempio di chi ha accettato la propria sofferenza, trasformandola in un cammino di speranza che consola chi non riesce a trovare un senso al proprio dolore.
La giustizia e la salvezza di Dio ci chiamano alla responsabilità
Giungiamo al terzo “esercizio”: credere nel giudizio di Dio e nella vita eterna. L’immagine del Giudizio finale, come Michelangelo ha voluto rappresentarlo nella Cappella Sistina, non è di per sé volta a terrorizzare i fedeli, ma è essa stessa un segno di speranza ed un invito alla responsabilità: “Il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia” (Spe salvi 47).
La certezza che tutti gli uomini saranno sottoposti al giudizio divino ci rende responsabili del bene fatto o non fatto in questa vita e ci dice che la giustizia divina non è solo punitiva o retributiva, ma sovrabbonda di grazia, per quel desiderio di Dio di vivere per sempre con i suoi figli.
Il coraggio di rifiutare le false speranze
C’è un’ultima considerazione da fare: la speranza cristiana esige coraggio, ovvero quello di rinunciare alle false speranze. La speranza è la tensione che, partendo dal reale, pone a noi tutti una grande domanda: come posso trasformare la mia paura, il mio dolore o la sofferenza che provo, in un’opportunità per amare ancora e di più?
Dio non promette di togliere i motivi di stanchezza e di spossatezza, ma dona speranza, per camminare incontro a Lui senza stancarci.
L’Eucarestia è il Sole divino che dà forza a chi è stanco, e moltiplica, il vigore per chi è spossato… Attingiamo da questa fonte di vita la forza per camminare lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, condividendo le necessità dei fratelli e delle sorelle!
Su Dalle Api alle Rose di luglio-agosto, la rubrica Per le Famiglie di Madre Maria Rosa Bernardinis, Priora del Monastero Santa Rita da Cascia è dedicata a questa domanda. Scopriamo insieme la risposta!
Le relazioni umani sono fondamentali, ma anche Dio vuole esserci
L’uomo e la donna hanno bisogno di vivere in relazione con gli altri per crescere, progredire, conoscersi, realizzarsi; così ha voluto Dio, creandoci a Sua immagine e somiglianza. Non solo. Dio desidera entrare in relazione con noi, non solo come amico, ma anche come familiare. E, per realizzare questo suo progetto invia il Figlio nel mondo.
Dopo il peccato di Adamo ed Eva, infatti, Dio non li ha abbandonati a se stessi; ha preparato un popolo che, nella pienezza del tempo, accogliesse il Verbo che si è fatto carne, nel grembo verginale di Maria.
Il Signore ha imparato a vivere da uomo all’interno di una famiglia
Gesù, ha sperimentato la relazione familiare, padre e madre, genitori e figlio, per crescere nell’amore con Dio Padre e il prossimo. A trent’anni, lasciata la casa di Nazareth, inizia il suo ministero di annuncio del Vangelo, portando l’annuncio che Dio Padre ci ama e vuole che tutti giungano alla salvezza. Gesù allora, chiama degli uomini perché lo seguissero e stessero con Lui, per istruirli e formarli alla sua scuola.
Per entrare a far parte della Sua famiglia, Gesù stesso ci dice cosa fare: “Chi fa la volontà del Padre mio, questi è per me fratello, sorella e madre”. Questa è stata anche la sua forza caratteristica di amore, per giungere fino a sacrificare la sua vita in riscatto di molti. In questo modo ha portato a compimento il piano divino. Uniti a Gesù Cristo noi formiamo con lui un corpo, Lui il Capo e noi le membra e siamo figli adottivi nel Figlio.
Tutti possiamo entrare a far parte della Famiglia Trinitaria
La singola anima, il giorno del Battesimo, diventa figlia adottiva; nella famiglia naturale, cresce nella fede, nella speranza nell’amore e fa l’esperienza di Chiesa domestica; la famiglia inserita nella Chiesa locale, aprendo i suoi orizzonti, si scopre Chiesa universale, tutti figli di uno stesso Padre.
Questo è affascinante e rende il cuore aperto alle sfide che incontra sul cammino. Non dobbiamo temere nulla. Lo Spirito Santo ci guida; conosce i pensieri di Dio e le nostre profonde aspirazioni.
Ha pregato con le monache davanti al corpo di Rita il Cardinale Ernest Simoni, per 28 anni prigioniero del regime comunista albanese, che lo scorso 24 marzo ha celebrato in Basilica la Messa Solenne della Domenica delle Palme.
Su Dalle Api alle Rose, Marta Ferraro ripercorre i punti salienti della sua preziosa e forte testimonianza.
Senza la Madonna non succede niente! Come mangi tutti i giorni, così devi recitare il Rosario ogni giorno
Queste parole sono ciò che mi è rimasto nel cuore e nella mente dell’incontro con Sua Eminenza il Cardinale Ernest Simoni, il porporato, definito dal Papa “un fiore per tutta la Chiesa.
Mi ha colpito ciò che mi ha detto perché non è una frase buttata lì: l’ha pronunciata un uomo che ha patito i morsi della fame fino al punto di brucare l’erba e mangiare il vomito di altri, un uomo che ha risposto alla crudeltà della prigionia facendosi sembrare pazzo, solo perché muoveva continuamente la bocca per recitare il Rosario.
28 anni di prigionia vissuti con Cristo
Il Cardinale Simoni, nato a Scutari in Albania il 18 ottobre 1928, dal Natale del 1963 ha vissuto 28 anni di prigionia e lavori forzati nelle fogne e nelle miniere, considerato ‘nemico del popolo’ negli anni della dittatura comunista e atea di Enver Hoxha, quando anche solo farsi un segno della Croce costava fino a 10 anni di carcere. Lui, invece, non ha mai smesso di celebrare la Messa in latino e coperto da prigionieri musulmani, faceva di un po’ di farina misturata all’acqua e delle gocce di chicchi d’uva il Corpo e il Sangue di Cristo.
La sua vita è una pagina di storia dolorosa ma anche di speranza, perché intrisa dell’amore a Dio
Incontrandolo, mi è sembrato di stare con un santo, in quanto vero testimone della fede. Racconta che è tutta opera di Dio e dai suoi occhi traspare tutto l’amore che nutre per Gesù Cristo e per la Madonna. “Ogni Santa Messa è il sangue di Gesù che illumina e protegge”, ha detto nell’omelia. Quando gli ho chiesto, che cosa gli avesse dato forza negli anni della prigionia, ha risposto: “Essere fedele a Gesù, pregare ogni tanto, pregare per i nemici perché la ricompensa sarà immensa nel cielo”.
Nella sua omelia si è anche raccomandato ai fedeli: “Dio deve essere al primo posto. Se Dio fosse al primo posto oggi il mondo sarebbe un giardino pieno di fiori. Senza Gesù, vediamo com’è!”.
Nel nostro incontro, parlando di guerra mi ha confidato: “L’obbligo morale di ogni buon cattolico è inginocchiarsi davanti a Gesù con le lacrime per chiedere la risoluzione pacifica per tutte le nazioni e che si asciughino tutte le lacrime e abbiano tutti la felicità temporale ma soprattutto per chiedere la felicità piena di luce che ci aspetta”. Ha più valore, quando a dirlo è un uomo che ha sperimentato sulla sua pelle la crudeltà umana fine a se stessa; un uomo che dopo un giorno di vessazioni, in prigionia, ha pronunciato le parole “Amare i nemici, perdonare i nemici, dare la vita per i nemici. Prego per il presidente affinché faccia del bene per il popolo albanese”.
Ai devoti di Santa Rita…
Ai devoti di Santa Rita raccomanda di seguirne l’esempio nella preghiera, nella penitenza, nel digiuno, nell’amore per Gesù per avere tutta la gioia in questo mondo e soprattutto la felicità per l’eternità.
Con i suoi 96 anni, continua a lavorare per la Chiesa e a testimoniare Cristo, pregando per coloro che si affidano a lui, praticando esorcismi e visitando santuari. Riceve fino a 120 telefonate al giorno alle quali non si sottrae mai. Ma, non si attribuisce alcun merito dicendo “è tutto grazia e protezione divina” e non conclude mai una frase che non contenga un ringraziamento a Gesù e alla Madonna. È solito ripetere che “chi non ha provato la fame, non ha provato niente”.
Nel 2014 Papa Francesco, andando in Albania, ha
chiesto di incontrarlo e ascoltando le sue parole si è commosso fino alle
lacrime e dopo due anni lo ha creato Cardinale.
In Dalle Api alle Rose di luglio-agosto, lo storicoagostinianista Mauro Papalini accende i riflettori su un aspetto molto interessante della vita della Beata Maria Teresa Fasce, la storica Badessa del Monastero, che ha lasciato un’impronta speciale nella storia di Cascia e del culto ritiano.
Papalini ci mostra come la Madre, così la chiamano ancora oggi le sue consorelle e chiunque ne conosce la storia, restaurò la stretta clausura all’interno del Monastero, ma all’interno aprì la sua comunità, al Bene e al servizio del prossimo.
Una riforma necessaria
Le leggi soppressive dello Stato Italiano del 1866 avevano provocato decadenza e rilassatezza nei conventi e monasteri. Nei primi del ‘900 le cose cambiarono e molti monasteri rifiorirono. Le Clarisse scoprirono la regola di Santa Chiara che sostituì pian piano quella di Urbano IV; si svilupparono movimenti di riforma come le trappiste. Nel 1917 Benedetto XV promulgò il primo codice di diritto canonico.
In questo quadro va inserita l’opera riformatrice di Maria Teresa Fasce. Appena eletta Abbadessa si impegnò a fondo per riformare radicalmente la sua comunità, ma ella non impose nulla con la forza; con i suoi insegnamenti e soprattutto con i suoi esempi divenne la pietra miliare su cui ricostruire una comunità religiosa propriamente detta.
Madre e maestra
Ella stessa si fece madre e maestra delle sue monache. Il suo ideale, la sua guida in questa grande opera di riforma furono il Vangelo, la Regola di Sant’Agostino e le costituzioni dell’Ordine agostiniano allora in vigore.
La prima cosa che realizzò pienamente fu la perfetta vita comune; sapeva bene che alla base di tutto vi è la carità con quegli attributi che leggiamo in San Paolo (Prima lettera ai Corinzi 13, 1-13). Innanzitutto curò particolarmente la formazione spirituale delle monache, seguiva metodi pedagogici per educare e guidare la comunità, ben sapendo che ogni monaca era un caso a sé e che ognuna aveva le proprie esigenze spirituali e materiali; in questo era molto esigente cioè pretendeva il massimo da tutte a seconda delle rispettive capacità, naturalmente.
Tutte le suore dovevano avere un loro compito e tenersi sempre occupate, per prima cosa nella contemplazione, nella meditazione e nella preghiera. Ma anche nelle tante attività materiali necessarie a mandare avanti la vita quotidiana del monastero. Anche nei momenti liberi esse avevano un rosario da recitare, un pensiero da meditare, un ambiente da pulire o l’orto del monastero da custodire.
La Beata Maria Teresa si adoperò perché a nessuna mancasse il necessario e vi riuscì egregiamente, secondo le testimonianze delle suore che hanno confermato con molti dettagli i vari aspetti della sua maternità spirituale.
Leggeva nei visi delle monache
Possedeva anche un finissimo intuito e una profonda penetrazione psicologica che le permettevano di sapere ciò che le suore pensavano in quel momento; lo faceva decifrando l’espressione del loro viso e sfruttando al meglio i carismi che lo Spirito Santo le aveva elargito. Questo fu molto importante perché dava modo alla Beata di avere sempre la situazione sotto il suo materno sguardo onde evitare rilassatezze e altri difetti che fanno tanto male alle anime consacrate.
Si dice anche che fosse molto severa. Se severità significa pretendere il massimo sempre, sì, ella lo era: rigida nell’osservanza scrupolosa della Regola Agostiniana e delle costituzioni del suo Ordine, non transigeva nemmeno nei minimi dettagli.
Aveva una cura particolare per il silenzio, lo raccomandava sempre e ne esigeva il rigoroso rispetto suonando un campanellino. Restaurò la stretta clausura, ma all’interno aprì la sua comunità nell’amore.