Il nostro viaggio all’interno di Dalle Api alle Rose di settembre-ottobre, in cui approfondiamo i cambiamenti all’interno del mondo della devozione, continua attraverso un’intervista al professor Mario Polia, antropologo e docente universitario, che ne esplora il significato più intrinseco.
La devozione componente innata dell’essere umano
Secondo il professor Polia, la componente religiosa è innata nell’essere umano e si esprime attraverso la pratica della preghiera e del sacrificio spirituale.
“L’uomo ha bisogno di credere in un essere reale, intelligente, ma che sia fuori dal reale – dichiara – Per le religioni monoteiste è un Essere Supremo, nel politeismo sono gli Dei. La parola “devozione” proviene dal latino ‘devoveo’ e significa ‘dedicarsi a qualcuno in forma di voto'”. Tuttavia, “la devozione va nutrita, contestualizzata e insegnata perché altrimenti il rapporto Uomo-Dio viene meno. Alla base di tutto c’è una componente insostituibile: l’Amore”.
L’uomo ha disimparato ad amare
L’antropologo osserva che nell’attuale contesto storico, l’uomo sembra aver perso la capacità di amare disinteressatamente, in quanto tutto ruota intorno a sé. Spesso gli basta usare chi serve e creare un Dio che gli somigli.
“Dio creò l’uomo a Sua immagine e somiglianza ma l’uomo crea un Dio che gli somigli – sottolinea – Non è sempre così ma se l’uomo non torna ad ascoltare Dio nel silenzio della preghiera e a imparare la cultura dell’Amare, rischia di essere devoto solo a sé stesso. Per natura si ha bisogno di trascendere ma spesso si scambia il rituale magico con la preghiera”.
I devoti credono e basta
Conclude il prof Polia: “La devozione esiste ancora oggi ma si basa sull’amore disinteressato che ben sa che i santi sono solo intermediari. I devoti credono e basta. Non chiedono nient’altro in cambio se non l’amore di coloro ai quali sono devoti. Sono devoti all’Amore solo per amore“.