I mezzi di comunicazione sono sempre più potenti e grazie a loro possiamo fare cose straordinarie. Ma, essendo sempre connessi, rischiamo di non esserlo davvero, perché non siamo più abituati a fare silenzio. Così, potremmo non essere più capaci di ascoltare e quindi di comunicare sul serio con gli altri e con Dio.
Il silenzio, invece, è prezioso per fermarsi a riflettere tra i tanti stimoli che riceviamo, per mettere a fuoco le domande e le risposte veramente importanti della nostra vita.
Concentrazione è la parola chiave
Sono tante le occasioni quotidiane che richiederebbero l’assenza di ‘rumore’, ovvero di tutto ciò che distrae. Eppure, spesso, non è proprio possibile, e stanchezza, distrazioni, stress, mancanza di motivazione tendono a risucchiarci in un vortice da cui sembra impossibile uscire. Può sembrare strano, ma sono situazioni che viviamo anche noi monache di vita contemplativa. Per fare le cose per bene, allora, bisogna ‘metterci la testa’. È tutta questione di concentrazione. Sì, perché la concentrazione richiede l’esigenza di staccare, avere degli spazi e dei tempi che tu scegli e in cui sei solo con te stesso.
Il silenzio, per scoprirti e ritrovarti
Quando si pensa a un monastero, si immagina giustamente un luogo silenzioso: in ogni comunità il silenzio viene considerato una condizione da cercare e difendere. Ma, questo vale per la vita di tutti, perché la necessità del silenzio è universale.
Il silenzio religioso non riguarda una generica assenza di suoni, piuttosto l’interruzione di quel flusso di parole con cui raccontiamo agli altri, e soprattutto a noi stessi, chi siamo. Quando facciamo veramente silenzio dentro di noi, siamo nella situazione ideale per ascoltare la voce di Dio che ci rivela chi siamo veramente, quella voce che può farci scoprire persone diverse da quelle che pensavamo di essere, persone che Dio ama sempre e comunque.
Partiamo da noi
Come fare a recuperare il silenzio interiore di cui abbiamo bisogno? A volte, delle piccole attenzioni risultano di grande aiuto e, quando riusciamo a metterle in atto, ci rendiamo conto che basta meno sforzo di quello che pensiamo. Ad esempio, prendersi delle brevi pause, anche quando siamo convinti di “non potercele permettere”, aiuta molto a ritornare in contatto con noi stessi e, quindi, con gli altri: fermarsi un attimo e chiudere gli occhi; fare una passeggiata; parlare con un amico. Un’altra possibilità è fare sport o leggere. Staccare il cellulare. Fare un pisolino. Sorseggiare un caffè. E così via. Se mi rispetto, riesco anche a rispettare il mondo che mi circonda. Il denominatore comune diventa: “faccio una cosa per me”, ognuno poi lo interpreta a suo modo.
I frutti del silenzio
“Il silenzio – per l’agostiniana Madre Agnese Carandente – fa vivere, illumina, diventa comunicazione con Dio e così puoi guardare le persone come le guarda Dio. Insomma, il silenzio ti porta l’equilibrio. Ti permette di vedere te stesso e vederti anche nell’altro. Se, invece di parlare, ascoltiamo Dio, ci verrà spontaneo ascoltare l’altro, perché il silenzio, quando è fecondo, significa comunicazione, il che implica uno scambio. Dio cosa ci dice? Di amare gli altri. Il silenzio, quello positivo, porta a operare. Il silenzio è fecondità di spirito, è l’amore che ti porta a donarti agli altri”.