La rinascita di Silvia nella malattia

Il Riconoscimento Internazionale Santa Rita, che da oltre trent’anni in occasione della festa del 22 maggio premia le donne che vivono oggi i valori ritiani, è stato assegnato quest’anno a Silvia Battini, di Sesto San Giovanni (Milano), che dal 2009 vive con la sclerosi laterale amiotrofica, una patologia neurodegenerativa.
Nella malattia, Silvia ha ritrovato la fede, che le dà il coraggio di affrontare tutto insieme a suo marito Nino e sua figlia Dorotea. Anche se riesce a parlare solo grazie a un pc, la sua vita è ricca e lei condivide i frutti maturati nel cuore con tanti.

La sua testimonianza ci aiuta a guardare alla sofferenza come occasione che arricchisce lo spirito.

Per Silvia, che non poteva essere presente a Cascia, ha ritirato il premio Rita Gentili, collaboratrice della nostra Rivista Dalle Api alle Rose, che l’ha conosciuta proprio raccontando la sua storia.

La Sclerosi Laterale Amiotrofica ti cancella

La SLA è una malattia rara per cui ancora non esiste cura, che progressivamente porta alla paralisi dei muscoli volontari, quelli che usiamo per muoverci, parlare, deglutire, e anche quelli respiratori.
“È una malattia devastante, fisicamente e psicologicamente. Perché ti toglie indipendenza e dignità. Perché ti ruba il futuro, soprattutto se ti viene diagnosticata quando hai 39 anni, una bambina di 11 mesi e sogni e progetti con l’uomo della tua vita”. Questo è successo a Silvia, che per anni ha provato rabbia, sgomento e dolore, perché è un percorso esteriore e – soprattutto – interiore davvero difficile da accettare.

E’ un lusso: i sacrifici economici

“Dal punto di vista pratico ed economico – sottolinea Silvia puntualizzando un aspetto del quale troppo poco si parla – abbiamo dovuto traslocare. Rifare il bagno che avrei usato io per eliminare qualunque barriera architettonica, avere una stanza in più per le persone che mi aiutano. Il solo trasloco e i lavori di ristrutturazione sono costati 50.000 euro. Per due badanti in regola e una terza che copre il loro riposo nel fine settimana, spendiamo 60.000 euro, mille in più mille in meno, ogni anno. Ci aiuta mia mamma con non pochi sacrifici… A fronte di tutto questo, lo Stato mi riconosce 505 euro al mese; ha la decenza di non tassarli. La malattia stessa è un lusso, questo è per me fonte di indignazione perenne”.

Una persona nuova

Davanti alla diagnosi, continua Silvia: “ho pianto, urlato e pensato di buttarmi sotto a una macchina. Era il 2009. Per i primi 10 anni ho vissuto relativamente bene, su una sedia a rotelle per lo più, e con l’inconscio e irrazionale senso di colpa per la mia malattia, soprattutto verso mia figlia e mio marito. Nel 2019 la difficile decisione di una tracheotomia per poter ancora vivere, la perdita della voce, poi dell’olfatto e le dimissioni dall’ospedale vincolate all’accettazione del letto ospedaliero, col quale ho perso ogni tipo di intimità con mia figlia e con mio marito…isolamento totale… ho pianto per mesi interi. Però, “per me è stata occasione di rinascitala malattia ti smonta completamente e ti assembla in una persona nuova.La persona che ero prima – e che oggi non mi piace per niente né mi manca – era interamente concentrata sul lavoro, con giornate che iniziavano alle otto del mattino e potevano durare anche 15 o 16 ore, fine settimana spesso incluso. Per il ruolo che avevo nelle aziende multinazionali all’apice della mia carriera, le persone erano pedine: da spostare o scartare a seconda della loro produttività, reddittività. Nessuna affettività, empatia. Niente”.

“La malattia mi ha insegnato l’Amore”

“La malattia mi ha dato e insegnato tantissimo. Purtroppo, però, facendone pagare un prezzo decuplicato alle persone che più amo. Mi ha dato una ‘seconda occasione’ con mia figlia: essere ‘mamma che ama’, invece di sterile genitrice. Mi ha regalato una seconda Mamma – mia suocera – che si è presa cura della mia bambina come fosse la sua. Impossibile non nominare mio marito Nino. La mia roccia terrena. Quello che vive sempre e solo per noi, facendo della sua vita un sacrificio continuo. Che non mi ha mai lasciato, anche quando la mia rabbia gli urlava contro di andarsene. Nino è sempre stato un passo avanti, nell’Amore. Me lo ha insegnato a parole ma soprattutto con i fatti. E ancora. Il lusso del Tempo. Per dedicarsi alla famiglia, certo, ma anche per riallacciare i rapporti e costruirne di nuovi… Sia chiaro: un tetraplegico allettato non ha così tanto tempo libero; quello che gli altri fanno in un minuto, tu lo fai in almeno otto se non dieci, ma tutto è comunque meglio di sprecarlo per il ‘dio lavoro, come ho fatto io fino a quando la malattia non mi ha imposto di fermarmi. Come risultato del tutto, la malattia mi ha insegnato che esistono infinite forme di Amore. Prima ero una distesa di rocce, ora mi sento un prato fiorito”.

Un nuovo incontro con Dio

“Fino a 17 anni ho frequentato la parrocchia, ero catechista, ma quando il parroco esiliò una coppia di adolescenti perché aspettavano un bambino, sono rimasta disgustata e scioccata. Così ho mollato tutto, anche il buon Dio, vivendo da convinta atea/agnostica fino ai miei 50 anni.
Poi, non ho iniziato né cercato questo percorso da sola. Un grande teologo conosciuto grazie al mio padre spirituale ha spiegato, in un commento al vangelo del giorno, che il buon Dio manda Persone, Simboli, Segni per prepararci ad accoglierlo nel nostro cuore. Ed effettivamente, pensando a ritroso, così è stato per me. Tante, tantissime persone profondamente credenti si sono incrociate con la mia vita in modo casuale, negli ultimi 25 anni e con frequenza sempre più ravvicinata, e mi hanno colpito per la loro bellezza interiore, coerenza, amore e spirito di accoglienza. Sono tutt’ora parte della mia vita, chi fisicamente chi nel cuore”.

“La cosa più importante, però, è stata un Segno. Avevo 48 anni e ho percepito l’assoluta certezza che sarei guarita a 50 anni. Certo, io pensavo ovviamente a una guarigione del corpo, non dello Spirito: molto, molto e ancora molto meglio! L’incontro con il buon Dio è avvenuto per caso. Era il primo pomeriggio del 5 settembre 2020 e stavo leggendo il giornale; ovviamente online. Per pura curiosità, ho aperto un articolo che parlava di questo adolescente che sarebbe stato beatificato il 10 del mese dopo: il Beato Carlo Acutis. Più andavo avanti nella lettura e più sentivo un nodo in gola. Poi, un pianto sfrenato, durato non meno di due ore. Probabilmente di più. Lo stesso teologo sopracitato, mi ha spiegato che quello che mi era successo era stata esattamente opera dello Spirito: aveva spalancato il mio cuore al buon Dio”.

“È cambiata tutta la mia vita”

“Dopo quel giorno, ho sentito il bisogno irrefrenabile di avvicinarmi a Dio. Ho chiesto a mio marito di sposarci con rito religioso. Ho iniziato il mio Cammino, molto in salita partendo da zero. Leggendo il vangelo del giorno e relativo commento, seguendo conferenze online, partecipando a vere e proprie lezioni di teologia, sacra scrittura, spiritualità. Parallelamente, ho rintracciato una persona che avevo ferito chiedendole e ottenendone il perdono, e ho ricevuto dal buon Dio la forza e l’umiltà di riuscire a perdonare chi aveva ferito me”.

“Infine, cerco di mettere in pratica gli insegnamenti della Parola che Gesù Cristo ci ha donato, rivelando l’essenza di un nuovo Dio: la sua misericordia, il suo volerci felici, il suo amore debordante per noi. Il suo essere Padre. Lo faccio parlandone, con chi ne ha voglia, ma soprattutto con le azioni. Siamo noi i discepoli. Noi la Chiesa”.

Affidarsi a Dio, come Santa Rita, è una scelta attiva, da rinnovare ogni giorno

“So molto bene che atei e agnostici pensano: ‘Quanto è più facile credere in Dio! Non devi fare altro che rimanere inerme, ‘abbozzare’ e basta. Noi, invece, abbiamo solo noi stessi su cui contare, e ogni giorno è una lotta!’’. Beh…affidarsi totalmente a Dio è una scelta attiva e non passiva, che va rinnovata ogni secondo della nostra giornata, con la Coerenza richiesta. Quindi no: essere cristiani è tutt’altro che facile! Anzi, è certamente più difficile”.

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