Padre Mario di Quinzio è tornato alla casa del Padre
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Essere madre di un ragazzo autistico: la storia di Francesca ed Emanuele
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125 anni dalla canonizzazione di Santa Rita: gli eventi
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Colmi di gioia e forti nella fede: 15° Giovedì di Santa Rita
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Compiere un viaggio dentro di noi: 14° Giovedì di Santa Rita
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Il dono della grazia: 13° Giovedì di Santa Rita
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Santa Rita, donna di speranza
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La comunione: perché ognuno di noi è un dono per l’altro – 12° Giovedì di Santa Rita
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Il programma della Festa di Santa Rita 2025, gli eventi più importanti in diretta social
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Ascolto e tempo: vie per accogliere figli fragili.
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Padre Mario di Quinzio per anni è stato cappellano dell’Alveare e figura di riferimento per le Apette e i Millefiori che l’hanno frequentato, nonché membro del Cda della Fondazione Santa Rita da Cascia quando muoveva i suoi primi passi.
Per tutta la Comunità di religiosi e di laici di Cascia è un momento triste, consapevoli però dei frutti che Padre Mario ha gettato tra noi.
La comunità Agostiniana si stringe intorno a lui e chiediamo anche a voi di unirvi in preghiera per accompagnare la sua anima in questo ultimo passaggio.
Le esequie saranno celebrate martedì 17 giugno, alle ore 16.00, nella Basilica di Santa Rita a Cascia. La camera ardente che custodirà la salma nelle ore precedenti la celebrazione, verrà allestita nella cappella laterale.
“Per le persone con malattie rare, la cura è la ricerca, per giovani con autismo lo può essere una casa.“ Una casa che diventa possibilità di indipendenza come lo è per tutti i ragazzi, a una certa età. Con queste parole Francesca, madre di Emanuele, un ragazzo umbro di 18 anni con disturbo dello spettro autistico, residente a Petrignano (PG), riassume l’importanza del progetto Dopodinoi.
Emanuele parla, scrive, oggi riesce a esternalizzare i suoi sentimenti. Questa è una grande conquista perché non si chiude più in se stesso e riesce a raccontare ciò che sente. Le difficoltà principali riguardano l’autonomia e le relazioni sociali. “Le difficoltà maggiori sono nelle relazioni con gli altri,” spiega Francesca. “Lui non ha amici, non esce la sera come fa suo fratello o altri ragazzi della sua età. Non prende ancora un pullman da solo per andare a scuola. Prova a fare la spesa, ma quando deve pagare ha bisogno di qualcuno perché non è ancora in grado di amministrare i soldi”.
Una diagnosi inaspettata
“Emanuele è stato un bambino sempre molto vivace, ha sempre dormito poco, era sempre molto attivo,” racconta Francesca. “Tutto potevamo pensare tranne che avesse questo tipo di problematica”.
La diagnosi arrivò quando aveva due anni e mezzo. “Era un bambino attivo, intelligentissimo. E poi invece la realtà ci ha portato a scoprire altre cose. È stato il buio più totale. Lo sconforto di non sapere cosa significhi esattamente la diagnosi, non sai quello che dovrai affrontare, non sai fino a che punto tuo figlio potrà arrivare”.
Ma la famiglia non si è persa d’animo. Emanuele ha iniziato terapie specifiche presso lo SREE (Servizio Riabilitazione Età Evolutiva di Bastia Umbra) e poco alla volta sono arrivati i primi progressi.
“Ha iniziato con la pet therapy, poi con la stimolazione cognitiva comportamentale e infine la logopedia. A tre anni e mezzo ha iniziato a dire le prime sillabe e quando ha iniziato a parlare è diventato un vulcano, non smetteva più, raccontava anche ciò che non aveva potuto fare prima”, racconta Francesca commossa.I
La vita di Emanuele oggi
Oggi Emanuele frequenta il quarto anno dell’istituto alberghiero. La sua classe lo accoglie con affetto e rispetto, anche se le differenze ci sono. Nell’ultimo anno ha mostrato miglioramenti, forse anche perché si sta lasciando alle spalle il periodo difficile dell’adolescenza, accentuato dall’isolamento durante il Covid che lo aveva reso “meno attento, più nervoso, più chiuso”.
“L’abbiamo sempre trattato come abbiamo trattato suo fratello Alessandro. Se si doveva andare in vacanza, prendere l’aereo o il treno, lo abbiamo sempre fatto. Recentemente siamo stati a Milano, abbiamo preso la metropolitana, siamo andati allo stadio di San Siro con tutta la confusione che ci può essere. Le esperienze, i viaggi, le gite ti aiutano a capire come funziona il mondo al di fuori di casa. Gli insegniamo ad essere attento, a usare il telefono e chiedere aiuto se si perde”, spiega Francesca.
Un supporto fondamentale nel percorso di Emanuele è stato il Centro Up di ANGSA Umbria, che la Fondazione Santa Rita da Cascia sta sostenendo con un contributo triennale.
Il progetto “Dopodinoi: un atto di bene a sostegno dell’autismo
La preoccupazione più grande per Francesca riguarda il futuro di Emanuele: “Mi preoccupa vederlo sempre in casa, senza amicizie, senza uscire. E penso a come potrà essere il suo futuro quando non ci saremo più noi, o quando saremo anziani e avremo bisogno noi stessi di aiuto”.
È qui che entra in gioco il progetto Dopodinoi.“Il fatto di andare a vivere da solo lo aiuterà tantissimo per il suo futuro, per riuscire a rendersi il più autonomo possibile nella vita,” spiega Francesca con convinzione. “Secondo me è un atto di amore che un genitore può fare verso un figlio con queste difficoltà, perché viene abituato a vivere senza di noi, in un’altra realtà, con altre persone e ragazzi con cui già si trova bene”.
Il desiderio di indipendenza non è solo una necessità prevista dai genitori, ma anche “un suo desiderio: ha sempre detto che da grande voleva andare a vivere da solo,” racconta Francesca. Un sogno nato anche dall’esempio dei cugini che per studio e lavoro si sono trasferiti a Milano e Torino.
La prospettiva di andare a vivere da solo, invece, non spaventa Emanuele, anzi lui la cerca, anche se poi sarà da testare. Da grande vorrebbe lavorare in un bar.
Francesca lancia un appello a chi potrebbe sostenere il progetto:“Si tratta di un atto d’amore, un atto di bene verso una persona che non ha avuto le stesse possibilità che hanno avuto altri nella vita, ma a cui spettano gli stessi diritti e che può fare la sua parte nel mondo, donando tanto amore. Emanuele è un ragazzo dolcissimo, affettuoso, che si preoccupa sempre per tutti”.
A maggio Cascia è in festa per Santa Rita e quest’anno c’è un anniversario importante da celebrare, perché ricorrono i 125 anni dalla sua canonizzazione.
Per questi motivi il programma della festa quest’anno si estenderà fino a sabato, con altri due appuntamenti.
Venerdì 23 maggio: rosario meditato in Basilica
Venerdì 23 maggio alle ore 17 nella Basilica di Santa Rita sarà recitato un rosario meditato.
I padri agostiniani e le monache agostiniane si alterneranno nella recita dei cinque misteri. Come ogni venerdì, si ripercorreranno nella preghiera la passione e la morte di Gesù.
Sabato 24 maggio: una serata dedicata a Santa Rita
Sabato prossimo, il 24 maggio, ricorreranno 125 anni esatti dalla canonizzazione di Santa Rita, avvenuta il 24 maggio 1900. Celebreremo questo anniversario con una serata evento dal titolo: “Rita, santa della speranza”.
La serata ripercorrerà i principali momenti della vita di Santa Rita e i punti più importanti del suo messaggio in un alternarsi di scene teatrali e riflessioni spirituali.
Le rappresentazioni teatrali a cura dei giovani del Gruppo teatrale F.U.P.S. di Cascia introdurranno infatti le riflessioni di quattro religiosi e religiose della famiglia agostiniana (Padre Juraj Pigula, Padre Rocco Ronzani, Madre Giacomina Stuani, Suor Elisabetta Tarchi) che ci aiuteranno ad approfondire il messaggio di Santa Rita su temi fondamentali quali la speranza, l’amore, la fede, le scelte di perdono e di pace. La riflessione conclusiva ci permetterà inoltre di conoscere la storia del percorso della canonizzazione di Santa Rita.
Sarà una serata da non perdere! L’appuntamento è per sabato 24 maggio alle ore 21presso la Sala della Pace del Santuario di Santa Rita in Cascia per tutti i residenti e i pellegrini in visita.
Il nostro percorso dei 15° Giovedì di Santa Rita giunge al termine ma deve essere preludio di una ripartenza con gioia ed entusiasmo, per essere testimoni autentici e credibili del Vangelo, sull’esempio della nostra Santa patrona che ci assiste dal Cielo.
La gioia profonda dell’incontro con Cristo
Riserviamo l’ultima riflessione al tema della gioia intima e profonda che l’incontro con Cristo suscita nel nostro cuore. Il discepolo che rimane unito a Cristo è come il tralcio unito alla vite, che si nutre della linfa vitale, lo Spirito Santo, dà frutti buoni e abbondanti, ovvero quei doni che edificano una comunità o una famiglia. San Paolo esorta a camminare nello Spirito, per produrre frutti spirituali: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22). Il compito del discepolo è di rimanere in Cristo, perché è da questo attaccamento che deriva la fecondità nella nostra vita, la gioia vera del cuore, la bellezza di essere salvati.
Agli apostoli radunati nel cenacolo, prima della passione, Gesù promette il dono della gioia, che assicurerà nel momento della sua resurrezione. La gioia del Signore è la gioia piena, che viene dal compimento della salvezza. Gesù sperimenta questo bene per aver compiuto l’opera che il Padre gli ha affidato, ed è questa gioia che egli dona a chi accoglie il suo amore. Essa è perfetta, perché è donata da Gesù, fonte della verità e della vita, e nella misura più generosa possibile.
Sant’Agostino si interroga sulla natura di questa gioia:
«In che consiste la gioia di Cristo in noi… se non nell’essere in comunione con lui? […] La sua gioia in noi, quindi, è la grazia che egli ci ha accordato; e questa grazia è la nostra gioia. Questa nostra gioia cresce e progredisce ogni giorno, e, mediante la perseveranza, tende verso la sua perfezione. Essa comincia nella fede di coloro che rinascono, e raggiungerà il suo compimento nel premio di coloro che risorgeranno».
Sant’Agostino – (Commento al Vangelo di Giovanni, tr. 83,1).
La gioia che assicura il Signore è radicata nella comunione, nella condivisione e partecipazione dei doni, nella capacità di gioire del bene altrui. La gioia di sentirsi tanto amati da Gesù conduce il discepolo a mettersi a servizio degli altri.
La Parola di Dio è una carezza
Dai colloqui che intratteniamo in Santuario con i pellegrini, noi monache e frati agostiniani spesso ci accorgiamo che la Parola di Dio condivisa diviene una carezza per quanti hanno difficoltà ad accogliere la volontà di Dio; che un sacramento ricevuto è medicina e consolazione nei loro affanni; e dalla casa di Dio i pellegrini ripartono non tanto con la soluzione dei loro problemi, quanto con la certezza che il Signore non ci abbandona nel tempo della prova, ma che è vicino nella prova e che la testimonianza dei santi diventa fortezza, coraggio, gioia. Anche nella notte del dolore può accendersi una luce di speranza, per avere al proprio fianco il Signore, che sostiene ed incoraggia nella lotta, che ci fa desiderare una pace duratura.
Nella biografia di Rita non compare il tema della gioia; anzi, la sua vita sembra esserne la negazione, per tutte le prove e sofferenze che ha dovuto affrontare come sposa, madre e monaca agostiniana. Eppure possiamo essere certi che è il suo cuore sia stato abitato da una gioia stabile e permanente, la gioia di chi si sente amata da Dio; la gioia che scaturisce dal Cristo crocifisso che con il dono della sua vita ci salva dal peccato e dalla morte; la gioia di chi si sente perdonata; la gioia di chi intende rimanere fedele alla vocazione di Dio; la gioia di chi consola perché è stata consolata interiormente; la gioia di chi è partecipe della beatitudine di Dio.
Dio ci ama tutti
“Dio ama tutti” ci ha detto il nuovo Pontefice, Leone XIV. Noi siamo i suoi figli prediletti, il suo sguardo d’amore è sempre rivolto a ciascuno di noi. La gioia nasce da questa accoglienza. Se lascio che lo sguardo del Signore penetri nel mio cuore e corrispondo al suo amore, in me si stabilisce la gioia che il mondo non potrà mai togliermi.
Costruiamo insieme un mondo dove la bellezza della santità ricrea e vivifica tutto ciò che tocca, come ci ha dimostrato la nostra amata Santa Rita, e che ancora oggi ci dice e continuamente ci fa sperimentare. Lasciamoci invadere anche noi da questa Speranza che ha guidato tutta la sua esistenza e accogliamo, come ha fatto lei, la grazia che il Signore Gesù ci dona attraverso la sua Santa Chiesa.
Siamo giunti al penultimo appuntamento con il 14° Giovedì di Santa Rita dove siamo chiamati a compiere un viaggio “dentro” di noi, nel nostro cuore attraverso le parole delle monache di Cascia e dell’agostiniano Padre Pasquale Cormio.
Compiere un viaggio dentro di noi
Per Sant’Agostino il cuore è la via privilegiata per poter conoscere sé stessi e Dio:
«Torna al cuore e dal cuore va a Dio. Se sarai tornato al tuo cuore, tu torni a Dio da un luogo che ti è assai vicino».
Sant’Agostino (serm. 311, 14.13)
Quando l’uomo si allontana da sé, da questo centro di unità, è destinato alla dispersione, a perdersi tra le realtà terreni e le passioni carnali. Il nostro tempo è contrassegnato da una forma di dispersione, che caratterizza le azioni e il pensiero e che spesso, come una malattia, affligge le giovani generazioni. La dispersione è una proiezione all’esteriorità, a ricercare tutto ciò che è fuori di noi; è l’incapacità di stare con sé stessi; più che impiegare il proprio tempo, lo si spreca. La dispersione spinge verso la realizzazione di sé ad ogni costo, ci distoglie dall’interrogarsi su ciò che ci rende pienamente felici, in modo stabile, sollecitandoci a cercare, piuttosto, ciò che ci emoziona per un momento o ci piace di volta in volta.
Rientrare nel nostro cuore
Ed ecco a questo punto l’indicazione sapienziale di Agostino: «Rientrate nel vostro cuore! Dove volete andare lontani da voi? Andando lontano vi perderete. Torna, torna al cuore… Rientra nel cuore: lì esamina quel che forse percepisci di Dio, perché lì si trova l’immagine di Dio; nell’interiorità dell’uomo abita Cristo, nella tua interiorità tu vieni rinnovato secondo l’immagine di Dio: nella di lui immagine riconosci il tuo Creatore» (Commento al vangelo di Giovanni, tr. 18, 10). Il cuore è il luogo in cui incontrare Dio, riconoscere il suo amore di predilezione per noi e per i nostri fratelli, in una relazione viva e personale con Cristo. Il viaggio in questa regione interiore ci consente di contemplare le realtà spirituali ed eterne, di metterci in ricerca di Dio, dell’amicizia, della comunione, della bellezza, della preghiera, della grazia, della relazione, della contemplazione. Il nostro cuore arde quando ci muoviamo con Cristo, come i discepoli di Emmaus, nell’ascolto delle parole del Maestro che infondono nuovamente fiducia e speranza.
L’esempio dei santi
Santa Rita è colei che si offre come modello di discepola che purifica e custodisce il suo cuore e il suo sguardo, entrambi centrati in Cristo crocifisso. Nella croce ritrova sempre l’unità in sé e con Cristo contro quella dispersione che invece potrebbero scatenare gli eventi traumatici della sua vita. Nel dialogo costante e nella preghiera con Dio la Santa è capace di risollevarsi da una condizione di paralisi spirituale, di perseverare nell’amore e ricercare la misericordia divina, desiderare la dolcezza della grazia per sé e per i suoi cari. Agostino e Rita ci invitano a compiere questo pellegrinaggio interiore, che si presenta come una vera avventura, nella quale si ritrova Dio, se stessi e il prossimo.
Questa è l’esperienza che hanno fatto tutti i santi convertiti, ma questo vale anche per noi che abbiamo necessità di convertirci ogni giorno, per arrivare ad amare come ci ama Cristo. Tutto ciò che si manifesta è luce. È Grazia!
Nell’ 13° Giovedì di Santa Rita riflettiamo sul dono della grazia e la guarigione del corpo e dello spirito, che giungono a noi attraverso la giustificazione dei peccati nell’Anno Santo, con le parole delle monache di Cascia e dell’agostiniano Padre Pasquale Cormio.
La grazia è un dono gratuito
La grazia, per definizione, indica qualcosa di gratuito, è un dono e proviene dalla libera iniziativa di Dio. Questa benevolenza va al di là di ogni aspettativa dell’uomo, essendo dono di amore. La grazia indica anche la salvezza offerta all’uomo, che è decaduto dalla sua fedeltà a causa del peccato: nella grazia è contenuta la dimensione del giudizio e del perdono dei peccati da parte di Dio.
La grazia di Dio si è manifestata in Gesù, dono del Padre all’umanità. In Gesù abbiamo la grazia, ovvero la vita eterna e la conoscenza del Padre; anzi, egli stesso è l’autore della grazia, quando comunica lo Spirito senza misura, quando si offre nell’eucarestia, quando accetta con la passione di morire per noi peccatori. Egli dona la grazia senza escludere nessuno, perché a tutti sia assicurata la salvezza. Tutto ciò che Cristo ha fatto, insegnato e mostrato è espressione del Vangelo della grazia, è annuncio di grazia, ovvero del perdono, che raggiunge ogni uomo. Ecco il senso autentico del Giubileo: una grazia immeritata che ci rende graditi a Dio.
La grazia ci guarisce
La grazia, che ci è data per mezzo di Cristo nel battesimo, è all’origine del processo di santità, ci libera dal peccato, ci fa vivere da figli di Dio e fratelli nella Chiesa. I sacramenti sono il canale privilegiato attraverso il quale la grazia di Dio ci sana e ci irrobustisce, non solo a livello di fede, ma anche di benefici corporali. C’è infatti una guarigione che la grazia assicura, toccando l’anima e di riflesso anche il corpo, che beneficia di effetti salutari che rinnovano interiormente il nostro vivere.
La grazia è anche libertà e liberazione, è essere sotto il dominio dello Spirito Santo. L’orizzonte di libertà, a cui ci apre lo Spirito è l’amore: siamo liberi per servire, liberi per amare, liberi per aderire a Cristo. Agostino fa spesso riferimento alla schiavitù in cui si trova l’uomo a causa del peccato: solo Cristo può salvare questa umanità, comunicando la grazia, quell’aiuto indispensabile affinché l’uomo possa operare il bene. L’aiuto divino è dato all’uomo gratuitamente e per questo viene chiamato “grazia”, la grazia dello Spirito Santo, che sana, libera, guarisce l’uomo nelle sue scelte e decisioni ultime.
«La grazia non ci viene data perché abbiamo già fatto opere buone, ma perché le possiamo fare».
Sant’Agostino – Lo spirito e la lettera 10.16.
Per fare il bene, noi abbiamo bisogno del costante sostegno della grazia divina. Perciò essa esclude ogni possibilità di gloriarsi davanti a Dio, dal momento che tutto ciò che siamo e abbiamo, è dono di Dio.
Per guarire bisogna abbandonare l’uomo vecchio
“Vuoi guarire?” disse Gesù al paralitico che si trovava nella piscina chiamata Betzaetà. Questa stessa domanda, ogni giorno, il Signore la rivolge a ciascuno di noi. La grazia che ci viene donata in questo anno giubilare, affinché porti effetto, ha bisogno del nostro contributo, richiede l’apertura del cuore che nasce da un sincero desiderio di guarigione. Il Verbo si è incarnato nella nostra storia per donarci una vita diversa da quella che il nostro egoismo e orgoglio ci suggeriscono. Questo richiede anche una certa fatica, una lotta continua, un incessante discernimento tra il bene e il male. Siamo chiamati a una trasformazione che ci fa compiere, non solo opere buone, ma che ci rende profondamente buoni, perché anche le opere buone possono essere compiute, mossi dalla superbia e dal desiderio di apparire.
Accogliamo questo tempo di grazia e lasciamo il nostro uomo vecchio con le sue passioni, che come catene ci tengono prigionieri e abbracciamo la fatica della lotta. Sostenuti dallo Spirito di Dio, possiamo vincere ogni battaglia e gustare la libertà dei figli di Dio, grati e riconoscenti, certi che il Signore risorto cammina sempre al nostro fianco e nelle Sacre Scritture ci indica la via da seguire.
Per i 125 anni dalla Canonizzazione di Santa Rita, Suor Maria Lucia Solera ci aiuta a rileggere la sua vita come donna di speranza.
Sperare è aver fiducia negli altri
In Santa Rita hanno preso carne le parole di Agostino:
«Sperare significa credere all’avventura dell’amore, aver fiducia negli uomini, compiere il salto nell’incerto e affidarsi completamente a Dio».
Sant’Agostino
Ci soffermiamo sull’affermazione: “sperare è aver fiducia negli uomini”. Questo avviene, quando si prende a considerarli nella loro dignità, che rimane sempre: può essere sfregiata, sfigurata, imbrattata; cancellata, mai. C’è come un punto buono che dice della tua dignità, della tua identità più vera e profonda. Restiamo e saremo per sempre creature fatte a immagine e somiglianza di Dio-Trinità.
Stuzzicare l’altro nel bene
Questo aver fiducia negli uomini, probabilmente Rita lo ha assimilato dai suoi genitori: erano pacieri a Cascia, punti di riferimento per una convivenza giusta e pacifica. Non si può essere pacieri se non si è mossi da quella particolare fiducia, intrisa di speranza, per la quale c’è sempre qualcosa di buono che ognuno può trarre da sé, se stuzzicato nel bene.
Sappiamo bene cosa significhi provocare: stuzzicare a una reazione risentita o addirittura violenta. I provocatori sono, fondamentalmente, quelli che vanno a toccare i “punti deboli” di altre persone.
Occorre tanta delicatezza…
Rita raccoglie dai suoi genitori la missione di farsi paciera e la porta avanti cercando di far vibrare le corde che sanno ancora esprimere il bene, solo se toccate nel modo giusto. Occorre tanta delicatezza per questo, e una dose di scaltrezza tutta evangelica che non si improvvisa, ma si acquista attraverso la preghiera, tanto ascolto e affinando uno sguardo buono.
Pensiamo a come Dio stesso ci considera: Egli ci guarda sempre come i suoi figli, le sue figlie predilette. Attingiamo da Lui l’attitudine a restituirci uno sguardo di considerazione, apprezzamento, benevolenza ad oltranza; «Gareggiate nello stimarvi a vicenda», raccomandava San Paolo (Lettera ai Romani 12, 10).
Preghiera
Santa Rita, donna di speranza, aiutami ad aver fiducia negli altri, anche dopo tante delusioni e infinito soffrire; ottienimi di crescere nella capacità di toccare le corde buone dell’altro, nella certezza che ciascuno è sempre in grado di esprimere note positive. Amen!
Nell’ 12° Giovedì di Santa Rita riflettiamo sul dono della Comunione con le parole delle monache di Cascia e dell’agostiniano Padre Pasquale Cormio.
Il Giubileo favorisce la Comunione tra i fratelli
Dopo aver parlato degli effetti della riconciliazione con Dio e con i fratelli, il Giubileo ci consente di riflettere su un altro bene per la nostra vita di fede: la comunione con Dio e con i fratelli nella Chiesa. La comunione è l’elemento portante del nostro vivere in relazione con gli altri, in unità, coltivando lo spirito della fraternità. Il discepolo di Cristo si propone giorno per giorno di essere costruttore di comunione: è il suo modo specifico di annunciare il Vangelo, di servire la Chiesa, di rendere percepibile il dono della fraternità dato da Cristo all’intera Chiesa.
La comunione è l’antidoto a ogni forma di individualismo
Sant’Agostino ha fatto della comunione il principio costitutivo delle sue comunità religiose, l’asse portante della vita nella Chiesa, perché la comunione è propria di Dio, Uno e Trino. I consacrati, vivendo insieme, devono risaltare per la loro unità e carità:
«Il motivo essenziale per cui vi siete insieme riuniti è che viviate unanimi nella casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio»
Sant’Agostino (Regola 1.2)
In un tempo in cui risaltano più le divisioni e le differenziazioni, Agostino ci richiama ad un’esperienza di comunione ecclesiale che è possibile quando tutti tendono a ricercare Dio come bene unico ed esclusivo. Anzi, è Dio stesso a volere e a realizzare l’unità e la concordia dei suoi figli nella Chiesa. La comunione, infatti, è l’antidoto ad ogni forma di individualismo o di solitudine, che oggi ci ammala.
Siamo predisposti a vivere in comunione con gli altri
La comunione è possibile attuarla, in quanto l’uomo porta in se stesso una predisposizione a viverla, essendo stato creato come essere relazionale, capace di amare e di essere amato: in quanto persona, egli “è” in comunione con Dio e con gli altri. L’uomo non può fare niente di valido prescindendo da questa sua costituzione: per natura è in relazione ad un “tu”, che afferma la sua esistenza e la sua alterità; è persona e non individuo, è nella sua struttura un “essere in comunione”, in quanto voluto ad immagine e somiglianza non di un Dio isolato, solo e indistinto, ma di un Dio che è comunione di Tre Persone. Ne consegue che l’uomo è chiamato a realizzare la sua vocazione comunionale, a condividere la fede con i fratelli: se si rifiuta il bene della comunione, non si è parte viva della Chiesa, non si è una parte sana del Corpo di Cristo.
Ogni fedele è un dono particolare per i fratelli
La comunione nella Chiesa non si presenta come uniformità, ma come unità nella diversità dei carismi: si può definire questa unità come “composita”, perché in molti concorrono a formarla, ciascuno con i propri doni spirituali. San Paolo paragona la comunità ecclesiale al corpo umano, caratterizzato dalla molteplicità e dall’armonia delle membra. Allo stesso modo, nella Chiesa ogni singolo fedele è un dono particolare, che gode di uno specifico carisma a servizio del bene altrui.
Ciascuno di noi deve trovare il suo posto nella Chiesa, riconoscere quale servizio può svolgere: si può essere ministri o consacrati, ma anche catechisti, testimoni ed annunciatori della fede, missionari, formatori dei giovani, cantori… Qualunque sia il compito assunto, per Agostino tale compito deve essere svolto per amore dell’unità della Chiesa, non in modo da esaltarsi, ma nella forma di un servizio.
È iniziato il conto alla rovescia per la Festa di Santa Rita del 22 maggio, promossa dalle Comunità agostiniane di Cascia, con la collaborazione del Comune.
Il Rosario delle monache dalla clausura anticipa la Festa
Uno degli eventi più attesi che anticipano la Festa, sarà l’apertura della clausura da parte delle monache, in via eccezionale durante la Novena di Santa Rita, dal 12 al 20 maggio. Alle ore 11.50 sarà possibile seguire il Rosario, in modalità virtuale, dal Coro del monastero, il luogo della preghiera.
Le Donne di Rita, il Transito e la Fiaccola
I festeggiamenti entreranno nel vivo martedì 20 maggio alle ore 10, con la presentazione delle donne insignite del Riconoscimento Internazionale Santa Rita da Cascia. Un premio unico nel suo genere che, dal 1988, per volontà delle monache, dei padri agostiniani e dell’amministrazione comunale, viene conferito alle “Donne di Rita”, donne di ogni Paese e religione che incarnano i valori alla radice del messaggio della nostra santa.
Mercoledì 21 maggio alle ore 17 si svolgerà la consegna del premio, accompagnata dal messaggio della nostra Badessa, e, infine, il Solenne Transito di Santa Rita. In serata, alle ore 21.30, i fedeli accoglieranno il ritorno a Cascia, da Piacenza, della Fiaccola della Pace e del Perdono, accesa lo scorso 16 marzo, con l’accensione del tripode votivo e dell’avvio ufficiale dei festeggiamenti 2025.
La festività solenne del 22 maggio
Nel giorno solenne della santa degli impossibili del 22 maggio si inizia con il Corteo Storico in processione da Roccaporena a Cascia, ore 10:30. A seguire, tutta la nostra grande famiglia sarà in preghiera durante il Solenne Pontificale delle ore 11.00, presieduto dal Sua Eminenza Cardinale Reina Baldassare Vicario Generale per la Diocesi di Roma.
Al termine della Santa Messa, il rito si concluderà sul sagrato della Basilica con la Supplica aSanta Rita e il momento tanto atteso della Benedizione delle Rose, ore 12:00.
Un messaggio di speranza, forte, fatto di fiducia in sé stessi, tempo, ascolto, ricerca di senso,per poter ricostruire un dialogo autentico con i propri figli. È quello che emerge dalla chiacchierata con il professor Dino Mazzei, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto di Terapia Familiare di Siena, il quale invita così i genitori a superare le difficoltà che sempre di più si manifestano nel rapporto con figli in condizioni di fragilità. Situazioni che portano a un doloroso distacco emotivo, quella “perdita” silenziosa che si consuma giorno dopo giorno. E che si esprime spesso attraverso varie forme di dipendenza (da social, sostanze, gioco), autolesionismo o isolamento sociale.
Genitori fragili, figli fragili
“La fragilità dei figli riflette quella dei genitori, e non viceversa”, specifica Mazzei “e per risolverla non esistono formule magiche, soluzioni facili”, aggiunge. La nostra società è sempre più complessa, con punti di riferimento incerti. In particolare, il ruolo della donna è molto cambiato. Da un lato, questo le ha permesso di realizzarsi. Dall’altro, ha meno tempo da dedicare ai figli, come già accade alla figura paterna. Secondo Mazzei, “per compensare questa assenza, i genitori ‘saturano’ i pochi momenti condivisi e trasformano la vicinanza emotiva in controllo ansioso, invece di sintonizzarsi sui bisogni dei figli”.
Il ruolo dei “no” e l’impatto dei social
Un nodo cruciale è la difficoltà di dire ‘no’. “Molti genitori, spinti dal bisogno di essere riconosciuti come ‘buoni’, evitano di porre limiti, mentre i ‘no’ sono fondamentali. I figli devono sperimentare la frustrazione connessa al limite, base di desiderio e motivazione”. E poi c’è l’impatto dei social network, che accrescono ansie e frustrazioni: “L’eccesso di investimento genitoriale sui figli e le aspettative di successo e popolarità si scontrano con i cambiamenti dell’età, aumentando il rischio di crollo psicologico. I social amplificano l’intolleranza alle frustrazioni, con il meccanismo del ‘mi piace’, mentre la pandemia ha aggravato le difficoltà relazionali”.
Impariamo ad ascoltare
Come affrontare il disagio?“I giovani vivono un’ansia generalizzata nella costruzione della propria identità, con genitori che non garantiscono stabilità, spesso in famiglie allargate che fanno fatica a essere un porto sicuro, e pressioni dalla società dei consumi”, sintetizza Mazzei. “Isolamento, dipendenze, autolesionismo possono essere le conseguenze di questo disagio. Il rischio è cercare subito una diagnosi medica, un’etichetta che patologizza e deresponsabilizza i genitori, impedendo la ricerca di senso. Ogni sintomo è invece una comunicazione da comprendere, nel contesto familiare, allargando il campo di osservazione e, nei casi in cui sia necessario un percorso psicoterapeutico, deve coinvolgere l’intera famiglia”.
Ritrovare la fiducia
C’è speranza? “Assolutamente sì. I genitori devono ritrovare fiducia nelle proprie competenze relazionali e intuizioni, comprendendo la propria esperienza come figli, per deve distinguere i propri bisogni passati da quelli attuali dei figli”.
Come in ogni cammino pasquale, la rinascita passa attraverso l’accettazione e la sofferenza redentrice: “Serve tempo per stare accanto ai nostri figli, contenendo e accettando le loro fragilità: questa è la chiave per ricostruire un rapporto autentico. Solo così la vulnerabilità diventa opportunità di crescita condivisa”, conclude Mazzei.