Gesù ci dona il suo corpo perché possiamo fare grandi cose
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Il Corpo del Signore siamo noi oggi
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“L’incontro con la Beata Fasce mi ha cambiato la vita”
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Con le rose Rita ci parla e con la Supplica ci ascolta
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Siamo parte della comunione della Santissima Trinità
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Celebriamo la Santissima Trinità: anche noi siamo unità
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La salvezza del perdono davanti alla violenza: l’esempio di Maria Antonietta
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La fede che è dono per gli altri: la storia di Chiara Castellani
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Santa festa di Pentecoste: l’augurio della Priora
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E’ Pentecoste: accogliamo lo Spirito Santo perché ci dia nuova vita!
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La
festa del Corpus Domini di domani, è la festa dell’Eucarestia, il dono che Gesù
ci ha lasciato per restare sempre con noi e rafforzare fede, speranza e carità,
trasformandoci.
Il
Corpo di Dio, infatti, ci insegna a diventare come Lui, dono per gli altri abbandonando
ogni egoismo, a condividere quello che abbiamo anche quando c’è poco a
disposizione e a guardare al prossimo come un fratello. Si tratta di adottare
uno stile di vita che faccia diventare ogni giorno offerta d’amore.
Nutrendosi
della Parola di Gesù, Santa Rita è giunta ad amare come Dio. Non è stata
spettatrice della sua vita, ma ne ha fatto un dono continuo per tutti. In lei
abbiamo un potente esempio da imitare.
Allora, quando rispondiamo “amen” al sacerdote che ci pone l’ostia, ricordiamo che siamo il Suo Corpo. Gesù si dona a noi perché siamo destinati a fare grandi cose con la sua eredità. Non sciupiamola!
Suor Maria Natalina Todeschini, Madre Vicaria del Monastero Santa Rita da Cascia
O’ sacramento di pietà, o’ segno di unità, o’ vincolo di carità, chi vuol vivere sa dove trovare la vita, si avvicini, entri a far parte del corpo e sarà vivificato
Sant’Agostino
La solennità del “Corpo del Signore”, Corpus Domini, di domenica 19 giugno è la festa liturgica che celebra il dono dell’Eucarestia. E’ il sacramento più importante, ci dice Padre Luciano De Michieli, Rettore della Basilica di Santa Rita di Cascia, quello che trasforma il Pane e il Vino nel Corpo e Sangue di Gesù donandoci il “cibo degli angeli”, il “pane di vita eterna”!
Siamo
parte del Suo corpo
“Quando ricevi la comunione e dici ‘amen’ – continua Padre Luciano – stai dicendo ‘sì, sono il corpo di Cristo’. Infatti l’Eucarestia è l’unico alimento che non sei tu a trasformarlo in te, mangiandolo, ma è lui che ti trasforma in Gesù, perché diventi parte del suo corpo.
Le parole dell’Ultima Cena non rappresentano solamente un rito da ripetere a ogni messa. In quel gesto è racchiusa una vita che si spezza e si dona, e che continua a farlo, portando il suo messaggio di fraternità. Ognuno di noi può essere oggi un pezzo di quella vita. Questo è il nostro compito”.
Camminiamo e
viviamo da testimoni
“Da secoli nel giorno del Corpus Domini, si svolgono processioni per le vie delle città, perché Gesù possa passare in mezzo al suo popolo, benedica le case, le strade della vita di ogni giorno. Storicamente, a Cascia a quell’appuntamento accorreva tanta gente, tra i quali immaginate di vedere anche Rita ventenne, magari col marito e i due figli. La sua, però, non è stata una ‘semplice’ partecipazione: la nostra santa in ogni suo passo ha fatto della sua vita un dono per gli altri, agendo per vivere concretamente il comandamento di comunione che l’Eucarestia ci insegna”.
L’amore
più grande che ci offre l’eternità
Il Rettore conclude la sua riflessione,
così: “‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vivrà in eterno’ aveva
detto Gesù ai suoi, lasciandoli perplessi, ma rivelando uno dei doni più grandi che avrebbe lasciato alla Chiesa nascente. ‘Non
c’è, infatti, amore più grande di dare la vita per gli amici’… e Gesù ci ha
chiamato amici quando eravamo ancora peccatori!
Nutriamoci, dunque, con umiltà della ‘medicina
dei forti’, del ‘farmaco d’immortalità’ per
entrare nel mistero dell’Amore di Dio e lasciarci vivificare”.
Nonostante siano passati più di cinque secoli e mezzo, Santa Rita è per tutti una di famiglia. Questa è la forza del suo messaggio che è senza tempo e privo di confini. Come Rita, anche la BeataMaria Teresa Fasce, storica badessa del Monastero Santa Rita da Cascia della quale quest’anno il 12 ottobre festeggiamo i 25 anni di beatificazione. Durante la sua vita, non ha avuto limiti nel compiere la sua missione di generare frutti di amore. E, oggi la sua opera è costante e non conosce ostacoli.
Carmela Mascio
Tra i tanti che lo testimoniano c’è Carmela Mascio, insegnante di Roma, che
ci ha raccontato il suo speciale
incontro con la Fasce, nella rivista Dalle Api alle Rose.
Un appuntamento con la beata
La
storia di Carmela è fatta di amore, dolore e
rinascita. Cresciuta respirando in famiglia i valori cattolici e la devozione a
Santa Rita, per lei il pellegrinaggio a Cascia è sempre un’emozione unica, ma quel giorno di vent’anni fa non si aspettava una scoperta
straordinaria. “Mi sono trovata per caso nella Basilica inferiore,
davanti alla Fasce che non conoscevo. Ho approfondito così il suo fulgido
esempio di fede e vita”.
Ho
superato il mio periodo peggiore
L’incontro
tra le due è talmente forte che fa la differenza. “Quel
giorno doveva prepararmi a qualcosa. Poco dopo,
infatti, mia madre si ammala di tumore al seno e quella notizia poteva farmi
impazzire, invece prego Santa Rita e mi ricordo della Fasce. Lei aveva
custodito lo stesso tumore come un ‘tesoro’ e grazie al suo esempio ho capito che quel dolore doveva farmi
crescere. Così, comincio a stare meglio e a sentirmi meno sola. E poi mamma
guarisce. L’oncologo che l’ha seguita per anni dice che la scienza ha fatto la sua parte, ma il resto lo ha fatto Dio”.
Tutti possiamo diffondere il suo messaggio d’amore
Oggi, Carmela è certa del significato speciale di quell’incontro con la Fasce, che ha cambiato tutto, aiutandola a rigenerarsi con la sua testimonianza. “Sono grata a Santa Rita per avermi presentato la sua amica Madre Fasce e voglio essere sua ambasciatrice, perciò su di lei ho scritto un libro”.
Un libro, “Il Polline di Dio”, che riassume la determinazione di Carmela di aiutare lei ora la Fasce a diffondere il suo messaggio di amore: “Stiamo perdendo il coraggio che ha avuto Madre Fasce di portare avanti la storia di amore che Dio ha iniziato con l’umanità e a generare il Suo amore per tutti. Ognuno lo può fare: non ci possono fermare né le malattie, né i muri, né i nostri limiti”.
Due dei momenti più amati dai devoti di Santa Rita sono la Supplica e la benedizione delle rose, che abbiamo vissuto il giorno della festa. Ma, cosa significano? Risponde a questa domanda Suor Giacomina Stuani, direttore editoriale della Rivista Dalle Api alle Rose del Monastero Santa Rita di Cascia, nel suo articolo sul numero di maggio-giugno. Ne vediamo i punti più importanti, per far rivivere anche oggi il 22 maggio!
Le rose sono presenza
“È vero che Dio – ci ricorda come prima cosa Suor
Giacomina – vive nei nostri cuori, ma noi abbiamo bisogno dell’aiuto
di segni sacri che ci richiamino sempre alla Sua presenza in noi.
Così è stato anche per Rita che, sul letto di morte, ha chiesto una rosa. Era
inverno. Tuttavia una rosa fiorita fu trovata in mezzo alla neve. Per lei, quella rosaha significato la benedizione di
Dio, il Suo amore per lei, la Sua consolazione, la certezza della Sua
presenza in ogni attimo, triste e gioioso della sua vita.
Oggile rose benedette sono ancora la presenza benedicente di Dio
accanto a noi, ma anche quella di intercessione della nostra amica Rita. Una presenza
che ci parla”.
Tocca a noi rendere concreta la benedizione
“La benedizione non è un sacramento, ma un sacramentale – continua. Ciò significa che non ha
un potere immediato, ma dipende dalla grazia e dalla devozione dei
soggetti”. Insomma, dipende da noi l’effetto che ci arriva dalla benedizione,
che viene data aspergendo con l’acqua benedetta, per effondere vita, doni,
grazie.
Come possiamo rendere concreto questo
gesto? “È Santa Rita che ce lo dice – risponde
Suor Giacomina – attraverso quelle rose che tanti di voi hanno portato a
casa. Ci dice chedobbiamo imitarla nel mettere Dio al centrodel nostro
cuore, di fidarci di Lui e spargere il buon profumo del Figlio vivendo con
gli stessi sentimenti con cui Egli ha vissuto”.
La
Supplica porta le nostre voci a Rita
“La supplica a Santa Rita – continua l’agostiniana – è una richiesta umile posta davanti a Dio, per chiedere doni spirituali, grazie, per noi stessi e per i bisogni degli altri. Supplica chi crede di essere ascoltato ed esaudito; chi ha una fede precaria e chiede a Lei lo stesso coraggio della fede; quanti sono sfiduciati e desiderano essere contagiati da Rita dalla sua stessa forza vitale; chi subisce passivamente il dolore di una croce pesante e guarda a Rita con la speranza di essere aiutato ad aprirsi all’Amore che dà la vita per amici e nemici e non a chiudersi in sé.
Rita, avendo vissuto le diverse condizioni della vita sempre protesa verso Dio, è mediatrice per aiutarci a ottenere sapienza del cuore, a essere testimoni di vita evangelica, forti strumenti di perdono e fecondi operatori di pace, amanti del Buono, del Vero, del Bello e del Giusto”.
La
Santissima Trinità, che celebriamo domenica, è un mistero centrale della vita
cristiana. Non è un segreto, perché è Dio a parlarci di Lui come Uno e Trino. È
una verità, piuttosto, a cui però possiamo arrivare solo con la fede. Infatti, ciò
che unisce Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono un’unica Persona anche se
distinta, è qualcosa di invisibile ma presente: è l’amore. Il Padre ci ha
creati e ha mandato il Figlio per amore; il Figlio si è offerto in sacrificio
di salvezza per amore e lo Spirito Santo, diffonde proprio quell’amore, trasformandoci
da semplici creature in figli di Dio!
Dio,
quindi, è unico ma non è solitario, è unità, comunione e relazione. E, visto
che con il battesimo, Dio abita dentro di noi, anche noi siamo chiamati a far
parte di questa comunione, perché anche noi non siamo solitari, ma esseri fatti
d’amore e per l’amore. Santa Rita, che ha vissuto in piena comunione con tutti,
è davvero un capolavoro della Trinità, ma anche noi lo possiamo diventare.
Ogni giorno, a ogni azione e soprattutto davanti ogni bivio della vita, scegliamo l’amore, perché è la strada che ci porta alla nostra vera natura. Così, in questa festa, apriamoci all’adorazione, alla contemplazione, alla gioia e alla gratitudine verso la Trinità.
Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia
Gloria al Padre Eterno, che ci ha creati; al Figlio, che ci ha rigenerati con il sacrificio cruento della Croce; allo Spirito Santo, che ci santifica con l’effusione delle sue grazie. Onore e gloria e benedizione alla santa ed adorabile Trinità per tutti i secoli.
Sant’Agostino
Domenica 12 giugno la Chiesa festeggia la Santissima Trinità e Padre Luciano De Michieli, Rettore della Basilica di Santa Rita di Cascia, ci spiega alcuni aspetti fondamentali per permetterci di avvicinarci al cuore della Trinità.
Un mistero indispensabile per capire noi e Dio
“Come sempre ciò che è più essenziale nella vita come l’amore o l’ossigeno, non si vede ma ci siamo immersi e non ne possiamo fare a meno. Così è la Trinità. Ce ne ha parlato Gesù, il Figlio di Dio, l’unico che è disceso dal cielo, perché ci affacciassimo un poco all’intimità di Dio. Sant’Agostino ha scritto un libro sulla Trinità, consapevole dell’impossibilità di ‘spiegare’ il mistero, ma anche certo di non poter fare a meno di parlare di ciò che amava sopra ogni cosa.
Perché questa necessità? Perché, Dio Trinità ci insegna che Dio è comunione, è relazione, e una relazione di Amore. Sempre il Santo Padre Agostino, all’origine della spiritualità abbracciata da Santa Rita, ci insegna che siamo fatti a immagine di Dio e perciò più conosciamo Dio più ci conosciamo. E più conosciamo noi stessi, più capiamo chi è Dio”.
Siamo
relazione e non divisione
“Grazie al mistero di Dio Trinità, Padre e Figlio e Spirito Santo – continua il Rettore – capiamo che siamo esseri in relazione, che siamo fatti per amare ed essere amati, siamo comunione e unità. Ogni volta che tradiamo Dio, tradiamo anche noi stessi e percorriamo le vie del peccato, del rifiuto di Dio, e ci perdiamo nell’odio, nella divisione, nella chiusura, nell’emarginazione. Quando invece siamo noi stessi, perché lasciamo che il suo dono ci avvolga, torniamo a essere pace, amore, unità e troviamo la gioia di donare gratuitamente noi stessi per amore.
Celebrare la
bellezza della Trinità è celebrare la
nostra bellezza originaria e anelare a quella bellezza, superando per
grazia la deformazione, la disumanizzazione che il peccato comporta”.
L’amore passa anche dal dolore
“Spesso nominiamo le tre Persone della Trinità facendo il segno della croce. Infatti, nella lotta tra la bellezza che ci offre Dio e la deformità del peccato, il bisturi che ci permette di eliminare ciò che è malato è proprio la croce, il dolore che il Signore sapientemente sa trasformare in sconfitta del carnefice, facendoci vincere il male con il bene. È una sofferenza che dona vita, quella eterna, quella dell’inserimento, come figli adottivi, nell’eterno amore del Padre, nell’eterno amore trinitario.
Santa Rita ha compiuto questo passaggio, ha percorso la porta stretta di innumerevoli dolori con la forza di un amore grande e mai domo… e ci invita a seguirla con coraggio, pazienza e fiducia, verso il cuore della Trinità”.
Maria
Antonietta Rositani, di Reggio Calabria è una delle
tante donne che purtroppo subiscono violenze proprio da chi amano. Il suo ex
marito, dopo anni di maltrattamenti, le ha perfino dato fuoco per ucciderla.
Lei è sopravvissuta e, anche se oggi affronta un doloroso calvario, non ha
lasciato che il suo animo fosse annientato dal risentimento e ha trovato la salvezza nel perdono, senza
smettere di pretendere giustizia.
Ha ricevuto il Riconoscimento
Internazionale Santa Rita 2022, per aver saputo leggere in tutti i momenti
dolorosi della sua vita la presenza di Cristo, sostenuta dalla fede e
dall’esempio di Rita.
Vittime di un amore malato
Francis, Lin, Esther, Arietta, Nunzia, Anna,
sono solo alcune delle donne uccise in Italia nel 2018…. solo alcune delle 142
vite spezzate dalla furia omicida di chi sosteneva di amarle. Tra queste, solo
per un soffio, manca Maria Antonietta.
Il femminicidio
è un fenomeno ormai troppo frequente, tant’è che le istituzioni mondiali si
stanno adoperando da anni con l’obiettivo di combatterlo, con una
regolamentazione giuridica più aspra e con giornate dedicate alla
sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema. Nonostante gli sforzi, però,
il fenomeno sembra lontano dall’essere risolto e nel 2021 sono state 116 le donne uccise in Italia.
“L’ho perdonato ma voglio giustizia”
Maria Antonietta trasmette tutto il suo infinito attaccamento alla vita. Il suo
dramma comincia il 12 marzo 2018 quando viene avvertita che il suo ex marito è
evaso dai domiciliari che stava scontando a Ercolano, Napoli. Non fa in tempo a
recarsi nella stazione dei Carabinieri di Reggio Calabria, che la sua auto
viene bloccata: c’è lui che le butta taniche di benzina addosso e le urla
“muori”. Lei più testarda risponde: “non
muoio, torno dai miei figli”. Scampata
alla morte, dopo più di 20 mesi di ricovero e oltre 100 interventi
chirurgici, non ha parole di odio per
lui, solo voglia di giustizia.
“Ho scelto il Signore”
“Ognuno sceglie a chi appartenere, io ho
scelto il Signore, lui qualcun altro”, ha detto quando le abbiamo chiesto come
si fa a perdonare un gesto così atroce. “Mi sono stretta al Signore, gli ho
dato la mia mano, Lui ha preso la mia e
così camminiamo, insieme. La fede è l’unica cosa che mi ha aiutato ad
andare avanti, sia prima che dopo l’aggressione. Ho sempre avuto in cucina un
quadro di Santa Rita e le ho sempre
chiesto la forza per continuare. Lei mi
ha aiutata, anche quando mio marito era in casa con noi e la quotidianità
era scandita dalla violenza”.
Alle donne dice di denunciare e allo Stato di fare di più
“Questo Riconoscimento per me è stato come
toccare il cielo con un dito. Quando ho ricevuto la telefonata del Rettore, che
mi dava la notizia, avevo appena saputo di aver contratto il covid. Quella
chiamata mi ha fatto capire che anche questa volta ce l’avrei fatta, perché
sarei dovuta andare a Cascia a
testimoniare”. E, alle donne vittime di violenza e soprusi, dice
determinata: “Denunciate. Alle istituzioni però chiedo maggiore vicinanza. Io e i miei figli spesso ci siamo sentiti
soli. Se non ci fosse stato mio padre a farsi carico di tante cose, non ce
l’avremmo fatta”.
Chiara Castellani è una dottoressa missionaria, specializzata in ginecologia e ostetricia, che ha fatto della sua professione e della sua vita un servizio al prossimo, prima in America Latina e poi in Africa. Ha ricevuto il Riconoscimento Internazionale Santa Rita, per aver donato tutta la sua vita ai piccoli e ai dimenticati del mondo.
Con fede e coraggio, attraverso la sua storia ci insegna la ricchezza di dedicarsi a chi è nel bisogno, piuttosto che praticare l’indifferenza o l’astio.
Missionari
laici: la donazione di sé come vocazione
Di solito il termine missionario
viene associato a quelle figure religiose, uomini e donne consacrati, inviate
dalle proprie congregazioni o da un’autorità ecclesiastica in territori in cui
la Chiesa locale ha bisogno di essere sostenuta per l’apostolato, anche con
opere sociali e caritatevoli.
A questi negli anni si sono
aggiunte persone definite laiche, cioè
non appartenenti allo stato clericale, che
con sacrificio e dedizione offrono il loro tempo e la loro qualifica
professionale in favore dei bisognosi. Generalmente queste persone si
trovano ad operare in quei posti del pianeta, in cui la povertà e le malattie
affettano ancora la maggior parte della popolazione.
Dottoressa
della misericordia
Nata a Parma nel 1956, laureata in
medicina e chirurgia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma,
specializzatasi in ginecologia e ostetricia, e in malattie tropicali, la
dottoressa Chiara Castellani dal 1983, anno della sua prima missione in
Nicaragua come medico volontario, è una
paladina del diritto alla salute per tutti. Dall’America Latina all’Africa,
ovunque c’erano conflitti si è trovata ad effettuare interventi chirurgici e
ortopedici, ma soprattutto nella sua lunga carriera si è dedicata a programmi
di assistenza per gestanti e partorienti delle zone povere di questi Paesi.
La
sua più che una professione è una missione
Oggi vive e lavora nella Repubblica Democratica del Congo, dove da più di 30 anni dirige l’Ospedale di Kimbau. “Mi sento una missionaria laica – dice – infatti legalmente sono un fidei donum (dono di fede) della Diocesi di Verona a quella di Kenge”. L’ufficio che si occupa delle opere mediche (BDOM), l’ha chiamata a dirigere le 29 strutture sanitarie della Diocesi di Kenge. In Congo dice, “per i ricchi c’è una medicina di standard elevato, invece la salute dei poveri è legata alle strutture sanitarie religiose”.
Come ginecologa e ostetrica assiste soprattutto le partorienti. Le levatrici dei villaggi non hanno la possibilità di studiare, per questo si è prodigata per aprire dei centri per l’assistenza al parto e alla gestazione e per la formazione del personale socio-sanitario locale. Ma si è spesa anche per l’accesso gratuito a farmaci essenziali, tipo per l’Aids o per contrastare l’epidemia da Ebola. Il diritto alla salute, dice, “passa anche attraverso una sala operatoria pulita e piastrellata come qui a Kimbau: un segno, che si può coniugare accessibilità e qualità dell’esistenza”.
A proposito di segni, dopo aver
saputo del Riconoscimento, la dottoressa
si è trovata ad affidarsi a Santa Rita: “Qui in Congo il culto è
diffusissimo, dei gruppi in Diocesi si ispirano a lei. Ho implorato la sua
protezione per un bambino gravissimo, che solo con le mie competenze sarebbe
stato impossibile salvare”.
Domani con la Pentecoste celebriamo
la discesa dello Spirito Santo su Maria e gli apostoli. La verità che ci porta
lo Spirito è che Dio è sempre dentro di noi e grazie a questa presenza possiamo
vivere a un livello diverso, più alto, che ci proietta verso il Cielo.
Il Vangelo, infatti, ci offre una
vita ricca, non di denaro, proprietà, potere o cose simili a cui spesso
corriamo dietro. La vera ricchezza sta in Dio che abita in noi e, con la sua
forza, ci rende capaci di ogni missione e ogni prova. Una forza d’amore, che
non schiaccia il prossimo ma ci eleva insieme!
È lo Spirito Santo che forgia i santi e Santa Rita è uno splendido esempio di cosa significa lasciarci guidare da Lui. Ho sperimentato anch’io la sua azione; soprattutto dopo il mio ingresso in monastero, quando rivedendo la mia vita, ho compreso le cose impossibili che Lui aveva operato in me e quante ne compie ancora! Non dobbiamo avere paura, allora, di questo dolce Ospite dell’anima, bensì lasciare che ci guidi alla Verità tutta intera e ci permetta di essere anche noi fonte di amore.
Auguri! Santa festa di Pentecoste.
Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia
“Il primo dono di ogni esistenza cristiana è lo Spirito Santo. Non è uno dei tanti doni, ma il Dono fondamentale. Senza lo Spirito non c’è relazione con Cristo e con il Padre”
Papa Francesco
Ci avviciniamo a vivere insieme, come popolo di Dio, un nuovo momento spirituale molto forte e importante, quello della solennità di Pentecoste, che celebra la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e Maria. Il Rettore della Basilica di Santa Rita di Cascia, Padre Luciano De Michieli, ci parla del suo significato.
Una
giornata storica che rivive ancora
“La parola Pentecoste – dice il Rettore – indica in greco il 50° giorno. Infatti, come ci raccontano gli Atti degli Apostoli, al capitolo 2, erano passati proprio 50 giorni dalla Pasqua quando arrivò quella domenica che cambiò tutto. Con il dono dello Spirito i discepoli sperimentano una nuova forza dall’alto, che rende capaci di una misura d’amore fino a quel momento solo sognata. Così, hanno potuto portare la Parola e gli insegnamenti di Gesù a tutti i popoli. Una missione che continua oggi, nella Chiesa e in ognuno di noi”.
Quel
dono è dentro di noi, apriamogli la nostra vita
“Questo avvenimento – continua Padre Luciano – è ciò che ricordiamo ancora, dopo secoli e secoli. Ma, non fermiamoci al ricordo o alla celebrazione, viviamo il senso di questa solennità. In questi 50 giorni ci siamo preparati: Gesù risorto ce lo ha promesso lo Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, l’Amore di Dio riversato nei nostri cuori. Accogliamolo e lasciamo che scriva la Parola di Gesù dentro di noi, permettendoci di vivere concretamente il Vangelo. Come accoglierlo? La fede in Gesù è la porta che apre la nostra vita allo Spirito Santo e, rivivificati, saremo capaci di un nuovo sguardo e guidati alla verità tutta intera. E poi, lo Spirito arriva a noi anche rileggendo la Parola di Dio nella nostra vita e frequentando le comunità cristiane che sono espressione di questo Spirito che agisce nella storia e nella nostra quotidianità” .
Lo
Spirito ci unisce e ci chiama all’azione
“Lo Spirito fa che i segni dell’acqua, del sangue, del pane e dell’olio diventino realmente purificazione, perdono, corpo e sangue di Gesù, unzione ed elezione. In una parola, il dono dei sacramenti che danno vita alla comunità cristiana. Infatti, lo Spirito è un dono universale, è per tutti i credenti, maognuno lo riceve in modo particolare e unico, inizialmente con il Battesimo e poi definitivamente con il sacramento della Cresima.
Però, tutti noi dobbiamo confermare quel Dono ogni giorno, rendendolo vivo, ovvero capace di generare frutti e opere di bene, che sanno portarci e portare al prossimo l’abbraccio di Dio e il suo eterno Amore. Ora nello Spirito, viviamo e preghiamo”.