I tempi della vita: lentezza o velocità?

Chi dobbiamo amare? La risposta della Priora

“Perché non a me?”. Patrizio e la sua disabilità trasformata

Siamo tutti indispensabili: la ricchezza della disabilità

La Priora: Dio ci manda ad annunciare il suo messaggio

Sfoglia ora la rivista di luglio-agosto

60 anni a servizio di Dio: auguri Padre Mario!

Siamo tutti parte della Famiglia umana: il messaggio della Priora

Il matrimonio è una vocazione d’amore

Mettiamo la famiglia al centro

In questi tempi che scorrono a grande velocità e pretendono che ognuno di noi stia al passo altrimenti viene lasciato indietro, imparare a fermarsi e a soffermarsi sembra impossibile. Eppure, solo vivere con lentezza, almeno ogni tanto, può darci l’occasione di entrare in contatto con il nostro cuore e il cuore del nostro prossimo.

Prendiamoci una pausa

Coi ritmi ai quali siamo abituati, oggi non aspettiamo gli eventi ma li inseguiamo e magari capita che poi ci sentiamo spossati o insoddisfatti, perché non li abbiamo davvero vissuti. La velocità non è sbagliata, ma il tempo risparmiato, come lo usiamo? Forse è riempito da altre cose da fare, vedere, ascoltare: aumenta il tempo libero, aumentano anche le cose con cui riempirlo, al punto che questo sparisce dalla nostra percezione. La lentezza, invece, ci può insegnare a guardare a noi stessi e a vivere con consapevolezza ogni momento.

Dobbiamo per forza andare veloci?

Giovanni Gasparini, poeta, scrittore e docente di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ci aiuta a rispondere a questa domanda: “La velocità è uno degli aspetti più caratteristici delle società industrializzate. Ma dobbiamo collegarla a altri elementi che distinguono la nostra società, ovvero la complessità, la connessione continua e la dimensione planetaria della comunicazione. Tutto ciò è straordinario, ma pone grossi problemi in termini di valori e di capacità di adeguamento da parte nostra”.

Accanto a questi aspetti, si nota un bisogno di tornare ad assaporare le piccole cose… “l’esigenza di tornare a dei valori profondi – continua il professore – è sempre più condivisa. Il che vuol dire: riprendiamoci il nostro tempo. Non è facile. Bisogna cercare il senso di quello che stiamo vivendo. Abbiamo bisogno di fermarci, di avere nella settimana un giorno di riposo”.

La rivoluzione della lentezza

Reagire per cambiare questo “culto della velocità” che abbiamo, è possibile. Bisogna fare dei gesti che sono, nel piccolo, rivoluzionari. Come fare una sosta o staccare il cellulare per un po’. Rivalutiamo la lentezza, perché è essenziale alla vita. Facciamo una pausa, tutti insieme, e guadagniamoci il diritto alla lentezza, almeno qualche volta.

E che facciamo di questo tempo ritrovato?
Dedichiamolo a noi stessi, al prossimo e a Dio. Rimettiamo ordine nella nostra vita, magari facendo un pellegrinaggio a piedi, per vivere l’esperienza, entusiasmante, di lunghi spazi di solitudine e silenzio. Possiamo scoprire che si può vivere in modo diverso e che alcune cose sono davvero più importanti. Questo cambiamento potrebbe aprici le porte alla dimensione religiosa e alla preghiera, come mai abbiamo fatto prima d’ora.

“Amerai il Signore Dio tuo e il tuo prossimo come te stesso”, è il comandamento più grande che abbiamo ricevuto. Ma, chi è il mio prossimo? Ovvero chi devo amare? È questa la domanda che troviamo nel Vangelo di domani. Gesù risponde con la parabola del buon Samaritano per proporci un nuovo modo di agire, in cui al centro non c’è la soddisfazione del nostro ego. La strada è quella del donarsi e fare scelte di amore disinteressate, libere e incondizionate.

Diventiamo, allora, dei samaritani capaci di compassione, non passiamo oltre, non facciamo finta di non vedere, non diciamo che non è compito nostro. La Gerusalemme del Cielo possiamo iniziare a vederla anche qui nella vita di tutti i giorni.

Facciamo che l’accoglienza, l’aiuto e la cura guidino tutte le nostre relazioni. Doniamoci al prossimo e invece di domandarci chi sia, ogni volta che siamo davanti a qualcuno chiediamoci: cosa posso fare per quella persona?

Suor Maria Rosa Bernardinis,
Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia

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Perché a me? Questa è la domanda che ci si fa sempre quando siamo davanti a qualcosa che ci fa soffrire o ci spaventa. È stato così anche per Patrizio che, però, cercando la risposta ha trovato qualcosa che non si aspettava.

Tante battaglie da affrontare

Patrizio è di Cascia, è giovane ma la sua vita è ricca di lezioni imparate sulla pelle. Nato prematuro e con un cesareo d’urgenza, non respira e non risponde agli stimoli, poi sembra reagire e dopo due settimane è a casa coi genitori, che lo riempiono d’amore. Ma a tre anni, quando inizia a voler scoprire il mondo, qualcosa non va.
“Sembravo fermo, inchiodato a terra e quando provavo cadevo”. Così racconta quel momento cruciale, in cui inizia il suo calvario. Dopo vari specialisti e terapie, Patrizio, a 6 anni, ha la sua diagnosi: leucomalacia periventricolare con danno alla sostanza bianca. Significa il danneggiamento alle cellule dell’equilibrio, che compromette l’impulso motorio. Inizia così un percorso di riabilitazione, fisioterapia e psicoterapia.

La guerra più grande è con se stesso

Patrizio si vede inadatto, si vergogna e non ne parla. “Non sono mai andato in gita scolastica: il mio fardello era ingombrante anche per gli altri e nonostante i docenti mi tutelassero, si metteva l’accento solo su questa mia parte”. Il primo viaggio lo fa a 18 anni, invitato dall’Unitalsi a Lourdes. “Ho provato energia nell’accompagnare i malati. Davanti alla grotta ho posto la mia domanda eterna ‘perché a me?’ e sento ‘perché non a te?’: una signora dietro lo aveva detto parlando con un’altra. So che non era per me, ma mi ha scosso”.

Il desiderio di essere dono per gli altri

“La seconda possibilità della mia vita – dice – è arrivata in quel momento, grazie alla Madonna e Santa Rita, che mi hanno sempre guidato”. Patrizio capisce che anche lui può essere utile e che ha trovato la sua dimensione donandosi all’altro. Affronta così le sue paure e si lancia nel mondo. Prende la patente, fa volontariato, trova lavoro come assistente in una struttura per persone con disabilità a Cascia e si iscrive all’università de L’Aquila, scienze della formazione e servizio sociale, alla quale si laurea nel 2016 e prende anche una seconda laurea come educatore di prima infanzia a luglio 2019.

Le difficoltà non svaniscono, anzi: dalla mancanza di un parcheggio riservato davanti alla sua facoltà che lo costringe a camminare lungamente, cadendo più volte e arrivando già esausto a lezione, si arriva al bullismo, quando riceve un video che lo riprende mentre sale le scale. Raccontando a una docente l’episodio, Patrizio conosce una psicologa che lo guida ancora ora. Con questo percorso, abbinato alla fede e all’esempio di Santa Rita, che abbraccia la sua croce ma non passivamente, bensì facendone una forza, Patrizio arriva alla sua vera rinascita.

La svolta e lo sguardo al futuro

“Ho accettato tutto di me. Sembra facile, ma è una strada lunga e tortuosa. Iniziavo a dire, menomale che è successo a me, perché la mia vita era tale anche grazie alle mie gambe. Dovevo trovare il mio scopo, perché anche io ce la posso fare”. Il dolore nella camminata di Patrizio è stabile e lo accompagna sempre anche il bagaglio di prove passate, ma lui ha superato e perdonato con serenità. Nella sua camminata, Patrizio vede ora il suo futuro, un futuro rivolto al bene degli altri e finalmente anche di sé.

Tutti siamo utili e nessuno è indispensabile. Quante volte abbiamo sentito questa frase per dire che siamo tutti sostituibili? Noi non lo crediamo affatto e pensiamo anzi che ognuno di noi sia indispensabile, soprattutto le persone con disabilità, sia essa fisica o psichica, che invece viene spesso vista come un ostacolo o un limite.

Ognuno ha il suo valore

Dio affida a ognuno di noi un compito specifico, che non appartiene a nessun altro. Questo vuol dire che, per il Signore, ciascuno di noi è unico e irripetibile. Io non posso fare altro che accettare questo compito. Se non lo accetto, non aderisco, quello spazio che era per me non viene occupato da nessuno. Domandiamoci allora: io quale ruolo ho? E se il Signore mi chiede qualcosa di più? Queste riflessioni ci portano a vedere che nessuno di noi è uguale all’altro e che ciascuno ha un proprio valore aggiunto. E questo è vero anche nella disabilità, che può essere un vero punto di forza.

Essere inclusivi: partiamo dalle parole

Cosa vuol dire inclusione? Non significa certo fare la carità, non si tratta di un favore, di un gesto buono o cristiano, ma di un diritto fondamentale che tutti possiamo fare in modo sia garantito e rispettato. Come? La parola è il primo elemento che ci permette di compiere quella che è un’azione normale, ovvero essere inclusivi verso le persone con disabilità.

“La disabilità non è una diversità, ma una condizione di vita. Ogni individuo è diverso dall’altro senza che per questo venga meno il suo valore, senza che sia implicita una sua inferiorità”. Così scrive la giornalista Silvia Galimberti, nella sua tesi di laurea dedicata al linguaggio sulla disabilità. La nostra attenzione deve essere, allora, sulla persona: un essere umano che ha un suo carattere e le sue abilità, le sue fragilità e le sue forze, le sue passioni e i suoi sogni, potremmo dire, il suo bagaglio di vita, che è il solo e unico fattore in base al quale ha diritto a essere considerato.

Facciamo la differenza

La disabilità non è una malattia, ma una delle tante condizioni di vita e a determinare quanto essa sia sfavorevole per la persona, troppo spesso, sono fattori esterni come le relazioni e il contesto sociale. Tutti possiamo fare la differenza, ovvero possiamo cambiare le cose compiendo il primo passo verso l’inclusione. Lasciamo indietro ogni pregiudizio perché siamo tutti unici e speciali nella nostra diversità. Sì, abbiamo anche tanti tratti in comune. Questo però non vuol dire “essere uguali”. Essere uguali vuol dire avere le stesse possibilità di esprimerci in quanto persone. Ma esprimersi lo si può fare in tanti modi. Non c’è n’è uno migliore dell’altro.

Il Vangelo che ascolteremo a messa domani è quello di Luca, in cui Gesù invia i discepoli in ogni città prima che Lui vi arrivasse. Questo ci dice che Dio ha piena fiducia in noi, tanto da mandarci ad annunciare il suo messaggio. E oggi c’è bisogno di tanti che siano messaggeri del Signore. Si tratta del compito missionario della Chiesa, che non è solo in mano a noi religiosi, ma a tutti i credenti.

Cosa siamo chiamati a fare? A portare la vicinanza di Dio e a occuparci del dolore degli altri, senza imporci, ma essendo umili e condividendo il nostro cammino e la speranza illuminata dallo Spirito.

Lo so, il compito non è facile, ma la natura di noi cristiani sta nella relazione e nella comunione, e senza non saremo mai completi. Non abbiamo paura, quindi, di uscire da noi stessi, è Dio che ce lo chiede. Lui ha saputo farsi vicino e invita anche noi a farlo. Parte da qui la pace che tutti, soprattutto ora desideriamo… non è una parola vuota, ma un modo di vivere pieno di gesti, muri da abbattere, di perdono, fraternità, accoglienza e ascolto. Iniziamo subito e trasformiamo la nostra vita in annuncio di gioia!

Suor Maria Rosa Bernardinis,
Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia

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Si intitola “La festa siamo noi” il numero di luglio-agosto di “Dalle Api alle Rose”, la rivista del Monastero Santa Rita da Cascia, che a breve arriverà nelle case dei devoti che la ricevono in tutta Italia e nel mondo.

In particolare, nelle sue pagine questo numero raccoglie gli eventi, le emozioni, le riflessioni e le fotografie della grande festa di Santa Rita dello scorso 22 maggio.
Un’occasione unica per rivivere insieme il giorno più atteso da tutti noi e continuare a sentire la sua speciale Grazia!

Chiude la rivista, inoltre, anche uno speciale fotografico dell’Incontro Generale della Pia Unione Primaria Santa Rita, l’associazione che riunisce l’immensa famiglia di devoti, che si è ritrovata a Cascia per l’annuale incontro di preghiera e comunione.

SFOGLIA ORA LA RIVISTA DI LUGLIO-AGOSTO

Padre Mario Di Quinzio è uno dei padri agostiniani di Cascia e domani, 29 giugno, festeggia ben 60 anni di sacerdozio, tutti spesi al servizio di Dio!

Originario di Teramo, in Abruzzo, dove è nato il 28 ottobre del 1934 è stato ordinato il 29 giugno 1962. In quel momento è iniziato il suo lungo cammino da sacerdote, che lo ha portato un po’ in tutta l’Umbria.

La sua prima esperienza, che ricorda con tanto amore, è Gubbio dove è stato per 20 anni, lasciandoci il cuore e amicizie ancora vive. In modo speciale, lavora con i giovani e vive così gli anni più belli del sacerdozio.

Dopo Gubbio, arriva a Cascia per la prima volta, chiamato a rivestire il ruolo di Rettore della Basilica di Santa Rita. Contemporaneamente, è anche cappellano all’Alveare di Santa Rita, il progetto delle monache che dal 1938 si occupa di bambine e ragazze che arrivano da famiglie in difficoltà economica o sociale. Tra di loro, Padre Mario continua la sua attenzione particolare rivolta al mondo dei giovani: assiste e guida spiritualmente il loro cammino nella vita, verso un futuro sereno e migliore.  

Dopo otto anni, si sposta di nuovo per la regione. Prima a Perugia, in una piccola parrocchia, e ancora a Terni, dove riesce a stimolare e far crescere nelle persone del posto il valore della carità e il senso del volontariato.

Un nuovo cambio di rotta, poi, lo vede far ritorno a Gubbio. Qui trova una parrocchia viva, frequentata da tanti gruppi giovanili, tra i quali raccoglie anche delle vocazioni. Inoltre, lavora per indirizzare il loro impegno e amore cristiano verso gli anziani. La musica e il canto sacro sono due passioni e ricorda di essere stato il primo, a Gubbio, a introdurre la chitarra in chiesa.

Infine, Padre Mario torna a quella che ora considera la sua casa, Cascia. Al servizio del Signore e ai piedi di Santa Rita, riprende la sua missione come cappellano dell’Alveare ed è a stretto contatto coi devoti ritiani, che incontra con senso di grazia e benedizione.

Il video della Priora

Domani si chiude l’incontro mondiale delle famiglie promosso dalla Chiesa. Perciò abbiamo dedicato le nostre preghiere a tutte le famiglie, che oggi hanno un grande compito. Infatti, la pandemia, la guerra e la crisi ci portano a essere soli e divisi. Invece, la scelta di unione e comunione della famiglia è l’esempio che può salvarci. Poi, c’è una grande urgenza di sentirci amati e di amare. E la famiglia può essere il seme dell’amore, quello che ci fa diventare dono per l’altro, non solo tra le mura di casa. Infine, non possiamo lasciare fuori Dio e recuperare il legame con Lui è fondamentale perché è Lui che sazia la nostra fame d’amore e non fa differenze ma ci abbraccia tutti.

Tutti, infatti, siamo parte della Famiglia umana e siamo chiamati a questa missione, fatta di relazioni, amore e della presenza del Signore. Insieme, allora, fondiamo il nostro cammino sull’incontro, sul dialogo, sulla fiducia, sull’ascolto e sulla condivisione, così come il Padre Nostro e la Chiesa, sua sposa, insegnano a noi figli!

Suor Maria Rosa Bernardinis,
Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia

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Questa settimana vogliamo mettere al primo posto le famiglie e Padre Luciano De Michieli, Rettore della Basilica di Santa Rita di Cascia, ci invita a riscoprire la nostra amata santa come esempio di vita di coppia e di educazione alla fede nella famiglia.

Rita, modello di vita familiare

“Santa Rita – dice il Rettore – fu canonizzata nel 1900 da Papa Leone XIII che la presentò come modello di vita familiare al nuovo secolo che si apriva. Il suo matrimonio, infatti, fu vera vocazione, perché il suo amore per il Signore divenne ancora più sincero e profondo. Lei lo coltivò, prima da giovane sposa e poi da madre, fino a purificarsi ancor più nei fatti terribili che affrontò con la morte dei suoi cari”.

Moglie e marito: ricercate l’armonia

“Uno degli aspetti più rilevanti della vicenda di Rita – specifica Padre Luciano – è la relazione col marito Paolo. Lui non era violento e cattivo, ma pensiamo che fosse un giovane del suo tempo, forse irascibile, educato ad avere rispetto anche con le armi e la violenza. La società, soprattutto se eri di una famiglia di un certo livello, pretendeva che tu fossi così”.

Anche oggi si cerca spesso il conflitto nelle relazioni, invece di scegliere ascolto, dialogo e conciliazione. Rita sapeva che solo così può esserci armonia nella coppia e in tutta la famiglia, e invece di combattere con Paolo lo ha spiazzato col suo amore.

“Con il suo amore e la fermezza nel credere alle vie del Vangelo, seppe far emergere in Paolo la coerenza nel bene”.

Un percorso da costruire insieme

“Rita e Paolo – prosegue il Rettore – abbracciarono entrambi la via più difficile e coraggiosa: quella della pace e del perdono, la via dei veri forti! Diciott’anni di matrimonio e due figli non sono mica il cammino di un giorno. Eppure, insieme, seppero costruire una famiglia onesta, che viveva del lavoro delle proprie mani e sicuramente era amata e rispettata. Quando Paolo fu assassinato certo tutto cambiò… ma Rita fece le sue scelte continuando a essere coraggiosa e a vivere con l’amore e l’aiuto di Paolo, che dal cielo continuava quel legame di amore eterno che Dio aveva benedetto nel loro matrimonio”.

La vostra unione è una chiamata alla santità

“Un tempo si tendeva a parlare di santità solo per frati, preti e suore – conclude il Rettore –  quasi che il matrimonio non fosse una vera e propria vocazione di amore a Dio. Nel 2011 San Giovanni Paolo II, beatifico la prima coppia, i coniugi Beltrame Quattrocchi, proprio per ricordare al mondo che la vita matrimoniale è una vocazione e una via di santità.

Impariamo da Santa Rita a camminare con fede e coerenza, certi che la vocazione del matrimonio è via maestra alla santità e scuola di vita”.

Questa settimana, con il 10° Incontro mondiale delle famiglie promosso dalla Chiesa, si conclude l’anno dedicato alla famiglia, che Papa Francesco aveva aperto a giugno 2021 per il quinto anniversario della sua Esortazione Apostolica Amoris laetitia, incentrata sull’amore in famiglia.

Proprio con le parole del Santo Padre, riflettiamo sull’importanza della famiglia e sulle sfide che tutte le famiglie hanno davanti.

L’amore familiare: vocazione e via di santità

Questo è il tema scelto per l’Incontro che è – dice il Papa – “un’opportunità della Provvidenza per riscoprire la famiglia come vocazione”. Questo è il primo obiettivo, perché nel matrimonio gli sposi, insieme ai nonni, agli zii, ai figli sono chiamati a una missione, fatta di amore gratuito, perdono, accoglienza e fratellanza. Ovvero, “l’amore in famiglia è un cammino personale e comune di santità, con semplici ma concreti gesti quotidiani, che con poco rendono straordinari i momenti ordinari”.  

La famiglia perfetta non esiste: impariamo dagli errori

Con il suo messaggio, Francesco sprona le famiglie cristiane a far diventare le proprie debolezze e le difficoltà che si affrontano occasioni di confronto e crescita. “Non esiste la famiglia perfetta. Ci sono sempre dei ‘però’ perché tutte le famiglie hanno inquietudini, sofferenze, così come gioie e speranze. Ma non succede niente. Non bisogna aver paura degli errori; bisogna imparare da loro, per andare avanti.

Non siamo soli perché Dio è in ogni momento

“Non dimentichiamo – continua il Santo Padre – che Dio è con noi: nella famiglia, come nel quartiere, nella città in cui abitiamo, è con noi. Dio è presente e si preoccupa di noi, resta con noi in ogni momento nell’ondeggiare della barca agitata dal mare: quando discutiamo, quando soffriamo, quando siamo allegri, il Signore è lì e ci accompagna, ci aiuta, ci corregge”.

Impariamo a stare insieme

In famiglia, sottolinea ancora il Papa, abbiamo un prezioso modello di come stare insieme tra persone diverse e generazioni diverse sia un’immensa ricchezza. Così a nostra volta possiamo essere degli esempi per gli altri. “La famiglia è il luogo in cui impariamo a convivere: convivere con i più giovani e con i più anziani. E nello stare insieme, giovani, anziani, adulti, bambini, nel restare uniti nelle differenze, evangelizziamo con il nostro esempio di vita”.

La “ricetta” dell’amore

Il Papa chiede alle famiglie di impegnarsi in un progetto comune che abbia al centro l’amore e di diventare in questo modo missionari, portando quell’amore fuori dalle mura di casa, al mondo. Concretamente, questo vuol dire che ci si scambi gesti concreti, come un bacio al mattino, aspettarsi e accogliersi all’arrivo o condividere le faccende domestiche. O ancora, che la giornata non finisca mai senza un abbraccio, che ogni occasione di gioia sia festeggiata, che non si abbia timore dei conflitti della convivenza ma si impari il perdono. Infine, che ogni famiglia tenda la mano agli altri, soprattutto a chi è nel bisogno e che non dimentichi mai che Dio cammina con loro sempre.

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