Madre Fasce: “la Beata del 1900”, così si chiama la nuova rubrica di Dalle Api alle Rose 2024, che racconta la figura e l’azione della Beata Maria Teresa Fasce contestualizzata nel quadro storico e sociale del 1900.
Il primo articolo della rubrica, affidata alla penna di Mauro Papalini, storico agostinianista, ci introduce nel carisma della Beata Fasce, analizzando il coraggio della sua vocazione, che è avvenuta in un tempo storico in cui la Chiesa non era affatto ben vista.
Una politica fortemente anticlericale
Il 17 marzo 1861 nasceva ufficialmente il Regno d’Italia con Vittorio Emanuele II di Savoia, ma senza Roma, Venezia, Trento e Trieste. La dura contrapposizione con Papa Pio IX determinò una politica fortemente anticlericale dei governi italiani, sia quelli della Destra storica che della Sinistra dal 1876. Il 7 luglio 1866, in piena III guerra d’indipendenza, il parlamento italiano approvò una legge che sopprimeva gli ordini religiosi, cioè la chiusura di conventi e monasteri; un provvedimento che provocò danni irreparabili al patrimonio artistico conservato in quegli edifici sacri e favorì la dispersione di molte comunità religiose. La sua applicazione non fu uguale: alcuni monasteri e conventi sopravvissero, ma non potevano ricevere nuove vocazioni.
I cattolici fuori dalla vita politica
La tensione massima fu raggiunta il 20 settembre 1870 quando le truppe italiane entrarono a Roma, ponendo fine al potere temporale dei papi che durava da più di 1100 anni. Pio IX rispose con il Non expedit, cioè proibì ai cattolici italiani di partecipare alla vita politica. Il suo successore Leone XIII proseguì su questa linea, anche se fece uscire la Chiesa dall’isolamento in cui era finita: durante il suo pontificato i cattolici affrontarono i gravi problemi sociali che affliggevano l’Italia, organizzandosi in leghe per difendere contadini e operai, insieme ai socialisti che in quel periodo si stavano formando (il partito socialista nacque a Genova nel 1892). Lo stesso Leone XIII promulgò la famosa enciclica Rerum novarum, la prima che trattava della questione sociale.
Un quadro fosco in cui la Fasce seguì la luce del cuore che la portò a Cascia
Quando si parla della vocazione di Maria Fasce e delle due sorelle che dovettero rinunciarvi, bisogna tener presente questo quadro così fosco; la famiglia Fasce era religiosa, può stupire forse l’atteggiamento del padre, contrario alla vocazione delle figlie, ma allora entrare in un monastero era molto rischioso per una ragazza, infatti esso poteva essere chiuso in qualsiasi momento e le condizioni di vita erano molto dure. Eugenio Fasce lo sapeva bene e temeva per il futuro delle sue figlie, Maria però era determinata e alla fine riuscì nel suo intento.
Ella entrò nel Monastero di Santa Rita a Cascia nel 1906. In quel periodo in Italia le cose stavano cambiando per l’arrivo di nuove personalità da una parte e dall’altra, più inclini a una politica di collaborazione: il più volte presidente del consiglio Giovanni Giolitti e Papa S. Pio X. Le soppressioni diminuirono notevolmente e Pio X tolse il Non expedit, consentendo ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche del 1913.
La giovane suor Maria Teresa Fasce, comunque, sperimentò i guasti provocati dalle soppressioni, riscontrabili anche nel Monastero di Cascia dove risiedevano due gruppi di monache, divise per valori e in netta opposizione. Ne soffrì molto, al punto da mettere in dubbio le sue scelte, ma dopo un periodo di riflessione nella sua casa di Torriglia, tornò a Cascia, confermata e decisa ad andare avanti.