Proseguono le riflessioni delle monache del Monastero Santa Rita da Cascia e dell’agostiniano Padre Pasquale Cormio, sui 15 Giovedì , che in quest’anno giubilare, sono incentrate sul Portare la Speranza insieme a Santa Rita!
3° seme della Speranza: soccorso ai bisognosi o agli ultimi
Per il popolo di Israele il sopraggiungere del Giubileo rappresentava la cancellazione dei debiti contratti, il riscatto dei prigionieri che riprendevano la libertà, una nuova vita per tutte le persone disagiate. Tali risoluzioni non rispondevano solo ad una forma di promozione umana e sociale, ma erano prese in osservanza di un principio teologico: tutti apparteniamo a Dio e in quanto siamo suoi figli, ci riconosciamo fratelli gli uni con gli altri, fratelli che si sostengono e non si opprimono a vicenda.
L’Anno santo che stiamo vivendo deve aiutarci a riscoprire queste radici di umanità e di fraternità che ci accomunano; questa presa di coscienza sarà possibile nella misura in cui saremo capaci di riconoscere la paternità di Dio nella nostra vita.
Non alziamo barriere difensive
Uno dei segni tangibili di speranza è prendersi a cuore la condizione di chi vive forme lievi o gravi di disagio, sia fisico sia spirituale. Nei nostri tempi si richiede di combattere non solo la miseria, ma anche l’indifferenza, che talvolta viene giustificata con la necessità di pensare prima al bene proprio, lasciando ad altri enti, siano esse le istituzioni statali, sociali o la chiesa o la caritas, il compito di occuparsi di coloro che papa Francesco definisce come “gli scarti” della società umana.
Questa insensibilità o durezza di cuore verso le miserie umane generano disagio e talvolta suscitano una nostra reazione, ma quando gli ultimi si fanno troppo prossimi alla nostra vita, si innalzano barriere difensive, che finiscono per isolare, emarginare i disagiati, ridurli a un numero, facendo perdere la loro dignità e classificandoli solo per i problemi che sollevano: ora sono i detenuti, ora i migranti, ora gli extracomunitari, ora i rom… e l’elenco potrebbe continuare.
Non indugiamo..
In uno dei sermoni sant’Agostino si rivolge ai fedeli, che protestavano a proposito dell’aiuto da dare ai peccatori, coloro che oggi potremmo definire gli “stranieri” e i “lontani”. Il vescovo Agostino con decisione e prontezza risponde che si deve prestare soccorso senza indugiare, in nome di “una umana benevolenza”:
Non accogliamo i peccatori perché sono peccatori, ma li trattiamo con umana benevolenza, perché sono anche uomini; in loro puniamo l’iniquità che gli è propria, e abbiamo pietà della condizione che ci è comune, e in tal modo facciamo del bene a tutti.
Sant’Agostino – sera.350/F
Santa Rita e il servizio agli ultimi
La vita di Rita ci mostra un esempio di servizio a favore degli “ultimi” nel Lazzaretto di Roccaporena, dove trovavano ospitalità i forestieri che passavano per il borgo. Amministrato da una compagnia di donne, sotto al direzione di una abbadessa, secondo un’antica tradizione era frequentato da Rita, che vi si recava spesso per assistere gli appestati, in un tempo in cui non solo l’Umbria, ma tutta l’Europa, era flagellata dalla peste. La paura del contagio non ferma Rita né impone un freno a quella carità che anima la sua vita: l’amore per Dio, che alimenta continuamente con la preghiera e la penitenza, si trasforma in soccorso per gli ammalati.
Cosa possiamo fare noi
Svolgere un’attività di volontariato, un servizio presso la parrocchia, aiutare l’anziano vicino di casa o il senzatetto del proprio quartiere è gettare un seme di speranza che può trasformarsi in terapia contro la solitudine, le sofferenze fisiche e psichiche per entrambe le parti coinvolte. Solitamente il dolore porta alla chiusura, mentre il prendersi cura e il sentirsi accolto dà apertura e restituisce la speranza.
Gettiamo semi di speranza intorno a noi!