Educare è l’arte del cuore che sa
“tirare fuori”
Comincia oggi il primo Giovedì di Santa Rita, con un approfondimento sul tema del rapporto tra genitori e figli adolescenti. Riflettiamo insieme a Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del nostro monastero, e Padre Luciano De Michieli, Rettore della nostra basilica, alla luce del Vangelo e dell’insegnamento di Santa Rita.
«Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
Vangelo di Luca, capitolo 2
Esordisce così la claustrale: “Genitori non si nasce, lo si diventa. Dio affida ai genitori prima di tutto, il compito di educare i figli. Ed educare è l’arte del cuore che sa “tirare fuori” quello che già Lui ha posto dentro. Occorre “ri-cordare” che tutti siamo originali” e che è iscritta in ciascuno la propria vocazione. Il compito dell’educatore, e in primis del genitore, è aiutare la persona nel suo sviluppo psico-fisico-spirituale fino alla sua pienezza. L’amore vero, quello che cerca il bene dell’altro, è la culla sicura in cui si sviluppa la personalità di ciascuno”.
Un amore che proviene da e va verso Dio, come sottolinea il padre: “Il dialogo tra genitori e figli non è mai facile, ma l’amore, la vita spesa per loro, la luce di Dio, restano i punti fermi, perché l’educazione è soprattutto opera del cuore e di Dio”.
L’arte di imparare, nell’ascolto e nel per-dono
Ma cosa fare di fronte ai conflitti che sorgono tra genitori e figli, soprattutto nell’età dell’adolescenza, molte volte di fronte alla paura del nuovo che sta davanti, e questo da entrambe le parti? Ricordando appunto che genitori si diventa, a volte anche facendo degli errori, accettando la propria imperfezione.
“C’è necessità di imparare tutti, già in famiglia, l’arte di sapersi per-donare, di sapersi ascoltare, di saper aspettare i tempi, di avere stima e fiducia reciproca – commenta la Madre Priora – C’è una libertà che va rispettata e un’autonomia che va insegnata e difesa, nel rispetto dei ruoli. Anche saper correggere è un’arte! Pur sapendo che ogni correzione sul momento non piace a nessuno, tuttavia c’è differenza tra chi fa questo per amore dell’altro e non per amor proprio ferito. Qui sta la differenza tra una correzione che mortifica, sul momento, poi eleva, e quella che invece ferisce e schiaccia”.
Nello svolgere questo compito, Suor Maria Rosa chiede ai genitori di affidarsi allo Spirito Santo, perché li aiuti a farlo con fiducia e speranza; lo stesso chiede ai figli, perché “quando insorgono difficoltà in seno alla famiglia sappiano ascoltare, per discernere la via della vita iscritta nel loro cuore”. È necessario ricordarsi sempre che siamo figli di Dio.
L’esempio di Rita
Sicuramente questa è la consapevolezza che avevano i genitori di Rita e l’hanno trasmessa alla figlia, un insegnamento di cui lei ha fatto tesoro quando è diventata mamma, attingendo ai valori del Vangelo e cercando di ricondurre i figli a Dio. “Quello che era in suo potere l’ha fatto, quello che dipendeva dal libero arbitrio dei figli, lo ha affidato a Dio, che conosce il cuore e i tempi”, conclude la Madre Priora.
Come usava nel ‘500, Rita si sposò molto giovane, con Paolo di Ferdinando di Mancino. Dal loro matrimonio nacquero Giangiacomo e Paolo Maria. Rita e Paolo li educarono alla vita evangelica e al rispetto delle leggi civili, avviandoli sulla via della pace e del perdono. Purtroppo, dopo l’assassinio del padre tutto cambiò, tanto che il risentimento e un forte desiderio di vendetta creebbero in loro. Come può accadere a molti genitori, che, dopo aver tentato di educare i figli ai valori migliori, li vedono poi perdersi sulle vie del male.
Riflette così Padre Luciano: “Rita ci insegna che ciò che veramente conta è pregare perché non perdano mai la strada verso la vita eterna; indirizzarli e riportarli sempre a Dio, anche dagli abissi più profondi. Rita pregò perché non diventassero assassini e morissero da assassini e ciò che sappiamo è che si ammalarono e morirono. Anche in questa tragedia seppe affidarli a Dio, accettando di non averli più e consolandosi con il pensiero che ora non avrebbero più potuto nuocere a sé e agli altri”.