Oggi vogliamo riflettere su un tema importante, un argomento che ci sta molto a cuore, ovvero l’impegno civile di noi cristiani. Da monache di vita contemplativa, riteniamo, infatti, che l’impegno sia una dimensione altrettanto fondamentale della nostra fede, per viverla davvero e in modo concreto. Un impegno che ci spinge a lavorare per il bene comune e a trasformare la società secondo i principi del Vangelo.
Non è una cosa da santi ma una strada per tutti noi
Dice Papa Francesco: «contemplare e agire, ora et labora insegna San Benedetto, sono entrambi necessari nella nostra vita di cristiani» (Udienza generale, 17 aprile 2013). Contemplare e agire. Come ci insegnano i santi, tra cui il nostro amato Sant’Agostino, la cara Santa Rita, la Beata Madre M. Teresa Fasce.
Unire spiritualità a impegno, però, non è una “cosa da santi” e ce lo indicano tanti esempi di uomini e donne più vicini ai nostri tempi. Ognuno di noi può fare, agire nella e per la società, sull’esempio di Gesù Cristo, Primo Modello. È così, che un santo può diventare tale. L’importante, quando siamo al bivio della scelta “dove schierarmi?”, è tenere presente che l’alternativa alla violenza non è la nonviolenza, intesa come semplice negazione della stessa.
Sempre dalla parte della vita, anche se costa fatica
La scelta che abbiamo davanti è tra la violenza e la vita. E la vita ha a che fare con la verità. Sembra banale, chiaro che scegliamo tutti la vita. Nei fatti, però, la storia dell’umanità dimostra che, al momento della decisione, quando si trova davanti a quel bivio, l’uomo sceglie più facilmente la violenza, l’odio, rispetto alla vita e alla verità.
Scegliere la vita e la verità richiede molto lavoro, impegno, perché questi valori presuppongono la solidarietà, il rispetto, la messa in discussione. E soprattutto il coraggio. Sì, perché scegliere la verità e la vita richiede lavoro. Ma, ricordate: «il Signore crocifisso e risorto ci guida; con noi ci sono tanti fratelli e sorelle che nel silenzio e nel nascondimento, nella loro vita di famiglia e di lavoro, nei loro problemi e difficoltà, nelle loro gioie e speranze, vivono quotidianamente la fede e portano, insieme a noi, al mondo la signoria dell’amore di Dio, in Cristo Gesù risorto, asceso al Cielo, avvocato per noi» (Papa Francesco, Udienza generale, 17 aprile 2013).
Santa Rita ha guardato a Cristo
La realtà in cui Rita è vissuta, seppur diversa, non è mai stata più facile di quella in cui noi viviamo.
Pensiamo solo che le malattie minacciavano l’esistenza di tutti, soprattutto di quelli che, a causa di una povertà diffusa, non potevano alimentarsi a sufficienza; davanti a queste oggettive difficoltà, come purtroppo capita spesso, invece di fare causa comune a vantaggio di tutti, la popolazione si era divisa in fazioni che, conducendo l’una contro l’altra una sanguinosa guerra, non facevano che aggiungere dolore al dolore.
Davanti a questo quadro, Rita, invece di perdersi d’animo o chiudersi in un universo privato, si è rimboccata le maniche e ha iniziato ad agire con forza per rispondere ai bisogni del suo tempo. La tradizione riferisce della sua premura nel soccorrere gli ammalati e i poveri, e soprattutto davanti alle lotte fratricide, che portarono all’uccisione di suo marito Paolo, reagì invocando e ottenendo perdono reciproco e riconciliazione.
La santità non è mai disimpegno e presa di distanza dalla sofferenza delle persone: questo aveva capito Rita, come tutti gli altri santi del passato e del presente. I Vangeli ci danno la viva rappresentazione del Signore Gesù sensibile alle sofferenze dell’umanità, fino al punto di prendere su di sé, da innocente, il peccato di tutto il mondo: è proprio Lui, il modello per ogni cristiano che voglia davvero amare in modo concreto e operoso, donandosi con gioia e gratuitamente, senza aspettarsi nulla in cambio, se non la dolce consapevolezza di essersi speso nell’imitazione del maestro, il Signore Gesù.