La Beata Fasce ha riformato il monastero con l’Amore

In Dalle Api alle Rose di luglio-agosto, lo storico agostinianista Mauro Papalini accende i riflettori su un aspetto molto interessante della vita della Beata Maria Teresa Fasce, la storica Badessa del Monastero, che ha lasciato un’impronta speciale nella storia di Cascia e del culto ritiano.

Papalini ci mostra come la Madre, così la chiamano ancora oggi le sue consorelle e chiunque ne conosce la storia, restaurò la stretta clausura all’interno del Monastero, ma all’interno aprì la sua comunità, al Bene e al servizio del prossimo.

Una riforma necessaria

Le leggi soppressive dello Stato Italiano del 1866 avevano provocato decadenza e rilassatezza nei conventi e monasteri. Nei primi del ‘900 le cose cambiarono e molti monasteri rifiorirono. Le Clarisse scoprirono la regola di Santa Chiara che sostituì pian piano quella di Urbano IV; si svilupparono movimenti di riforma come le trappiste. Nel 1917 Benedetto XV promulgò il primo codice di diritto canonico.

In questo quadro va inserita l’opera riformatrice di Maria Teresa Fasce. Appena eletta Abbadessa si impegnò a fondo per riformare radicalmente la sua comunità, ma ella non impose nulla con la forza; con i suoi insegnamenti e soprattutto con i suoi esempi divenne la pietra miliare su cui ricostruire una comunità religiosa propriamente detta.

Madre e maestra

Ella stessa si fece madre e maestra delle sue monache. Il suo ideale, la sua guida in questa grande opera di riforma furono il Vangelo, la Regola di Sant’Agostino e le costituzioni dell’Ordine agostiniano allora in vigore.

La prima cosa che realizzò pienamente fu la perfetta vita comune; sapeva bene che alla base di tutto vi è la carità con quegli attributi che leggiamo in San Paolo (Prima lettera ai Corinzi 13, 1-13). Innanzitutto curò particolarmente la formazione spirituale delle monache, seguiva metodi pedagogici per educare e guidare la comunità, ben sapendo che ogni monaca era un caso a sé e che ognuna aveva le proprie esigenze spirituali e materiali; in questo era molto esigente cioè pretendeva il massimo da tutte a seconda delle rispettive capacità, naturalmente.

Tutte le suore dovevano avere un loro compito e tenersi sempre occupate, per prima cosa nella contemplazione, nella meditazione e nella preghiera. Ma anche nelle tante attività materiali necessarie a mandare avanti la vita quotidiana del monastero. Anche nei momenti liberi esse avevano un rosario da recitare, un pensiero da meditare, un ambiente da pulire o l’orto del monastero da custodire.

La Beata Maria Teresa si adoperò perché a nessuna mancasse il necessario e vi riuscì egregiamente, secondo le testimonianze delle suore che hanno confermato con molti dettagli i vari aspetti della sua maternità spirituale.

Leggeva nei visi delle monache

Possedeva anche un finissimo intuito e una profonda penetrazione psicologica che le permettevano di sapere ciò che le suore pensavano in quel momento; lo faceva decifrando l’espressione del loro viso e sfruttando al meglio i carismi che lo Spirito Santo le aveva elargito. Questo fu molto importante perché dava modo alla Beata di avere sempre la situazione sotto il suo materno sguardo onde evitare rilassatezze e altri difetti che fanno tanto male alle anime consacrate.

Si dice anche che fosse molto severa. Se severità significa pretendere il massimo sempre, sì, ella lo era: rigida nell’osservanza scrupolosa della Regola Agostiniana e delle costituzioni del suo Ordine, non transigeva nemmeno nei minimi dettagli.

Aveva una cura particolare per il silenzio, lo raccomandava sempre e ne esigeva il rigoroso rispetto suonando un campanellino. Restaurò la stretta clausura, ma all’interno aprì la sua comunità nell’amore.

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